lunedì 30 gennaio 2012

La "rivalutazione" del centro storico di Cosenza di Mario Occhiuto

 Sono passati quasi 8 mesi dall'investitura del sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, ma della sua rivalutazione del centro storico pare non esserci tracce, e ciò si evince sopratutto la domenica dove il locali sono chiusi e il centro storico di Cosenza è avvolto da un silenzio assordante.  




Posso anche permettermi di mostrare una foto del giugno 2011 visto che da mesi, ogni domenica, nel centro storico, poco o nulla cambia



Inoltre ci si chiede quando riprenderanno i lavori su lungo crati






Questa porta precaria e pericolante a Santa Lucia ben descrive la simile situazione in cui versa il centro storico di Cosenza, sopratutto nelle sue zone interne


Sempre nella stessa zona si possono trovare case abbandonate e fatiscenti come questa, dove solo i gatti e i disperati osano dormire, con disagi di cui possiamo immaginare di chi vive nella zona.



E proprio fuori da quella porta, i rifiuti ammassanti non danno un bello spettacolo di se a Santa Lucia.

sabato 28 gennaio 2012

A dicembre i contributi per alcuni quotidiani

Dal fatto quotidiano del 28/01/2012

Prima che l’ex sottosegretario all’Editoria Carlo Malinconico fosse costretto alle dimissioni dalla scoperta del Fatto Quotidiano che l’imprenditore De Vito Piscicelli, il costruttore indagato nell'inchiesta sulla "cricca" per gli appalti del G8, gli avrebbe pagato le vacanze, un numeroso gruppo di testate aveva ricevuto a dicembre il bonifico bancario con i finanziamenti pubblici: 5,9 milioni per Avvenire ; 5,2 per L'Unità; 3,4 per La Padania ; 3,2 per Il Manifesto; 2,9 per Liberazione ; 2,1 per La Discussione, 2 per Terra.
Per un cavillo, il Fog l i o (2,9 milioni) e il Secolo d'Italia (2,4 milioni) dovranno aspettare (ma ieri quest’ultimo si è visto sbloccare i fondi).
In attesa che finisca la partita giudiziaria fra la famiglia Angelucci e l'Autorita di garanzia per le comunicazioni, l'ormai ex sottosegretario Malinconico aveva accantonato 5,8 milioni per Libero e 2,2 per Il Riformista (adesso con una nuova proprietà). Da segnalare anche i 2,2 milioni bloccati per L ' Avanti che fu di Valterino
Lavitola

giovedì 26 gennaio 2012

Il Riformista a un passo dalla chiusura

 di Claudio Plazzotta su ItaliaOggi del 25/1/2012

Liberazione ha chiuso, City ha chiuso, Il Foglio non arriva più nelle isole, al Messaggero c'è lo stato di crisi e 40 esuberi.
Un bell'inizio d'anno per i quotidiani.
Il prossimo della lista?
Il Riformista.
La redazione è già in contratto di solidarietà, alla fine del 2011 ha lasciato la prestigiosa sede in via delle Botteghe Oscure (a Roma), nella quale i giornalisti erano letteralmente in vetrina, e si è trasferita in via della Trinità dei Pellegrini,
dove c’è la sede legale della proprietà (Edizioni Riformiste, cooperativa controllata dalla Fondazione Le ragioni del socialismo e in cui governano Emanuele Macaluso e Gianni Cervetti).
Le vendite sono attorno alle 2-3 mila copie, e sotto la direzione di Macaluso il tracollo è stato ancor più evidente.
Delle firme più importanti, chi ha potuto se ne è già andato (Tonia Mastrobuoni alla Stampa), mentre chi resiste si ritaglia un portfolio di collaborazioni extra, come Tommaso Labate con Lettera43 e il settimanale A, o Sonia Oranges con Il Secolo XIX.

mercoledì 25 gennaio 2012

IL MANIFESTO e la legge svuotacarceri

di Marco Travaglio sul fatto quotidiano del 25/01/2012

Secondo Mauro Palma, nientemeno che “ex presidente del comitato europeo contro la tortura”, le nostre critiche alla legge svuotacarceri sarebbero “feroci e disinformate” (il manifesto di ieri), mentre la legge serve a sanare la piaga del sovraffollamento carcerario.
E’ la stessa illusione che stava alla base dell’indulto Mastella-Forza Italia-Udc-Ds-Dl-verdi-Prc del 2006, sposato dall’informatissimo manifesto e criticato dal disinformatissimo sottoscritto.
Risultato: un anno dopo le carceri erano di nuovo al collasso.
Forse perchè l’alto numero dei detenuti è il risultato del numero insufficiente di posti cella in rapporto a quello elevatissimo dei delitti puniti dal Codice (non dal Fatto) col carcere.
Quindi, non potendo ridurre per legge i criminali, bisognerebbe depenalizzare una serie di reati, cancellare la ex Cirielli che moltiplica le pene ai recidivi e intanto aumentare i posti cella.
Invece si continua a svuotare il mare col cucchiaino, con indulti più o meno mascherati.
Per l’ingenuo Palma la nuova legge “non è uno sconto di pena ma un’esecuzione penale anche se avviene in luogo diverso dal carcere”.
Oh bella: da che mondo è mondo i delinquenti sognano di scontare la pena “in luogo diverso dal carcere”. Possibilmente a casa propria, come prevede la Severino per gli ultimi 18 mesi.
Per carità, è un’idea come un’altra.
Ma, se lo scopo è sfollare le carceri, perchè non escludere dal beneficio i condannati per corruzione, frode fiscale e bancarotta, che ora in carcere non ci sono, ma potrebbero presto finirci?
Chissà che ne pensano della proposta dal Fatto i lettori del manifesto.

martedì 24 gennaio 2012

Risoluzione problema perdita d'acqua nel centro storico di Cosenza

Qualche giorno fa nel post intitolato "il centro storico di Cosenza nella politica gattopardesca" avevamo segnalato un problema di una copiosa perdita d'acqua, che a giudicare dalle immagini dei lavori che si stanno facendo sembra in via di risolvimento  

domenica 22 gennaio 2012

Why Not, il gup rinvia a giudizio de Magistris «Abusi sui tabulati»

di Massimiliano Amato sull'unità del 22/01/2012

Non finisce mai, Why Not: un’onda lunga che a distanza di anni porta a riva ogni sorta di relitto.
L’inchiesta calabrese aperta nel 2006dall’attuale sindaco di Napoli Luigi de Magistris, poi arenatasi per gran parte in sede di udienza preliminare, continua per partenogenesi a produrre altri processi.
L’ennesimo capitolo di questa infinita saga politico–giudiziaria è il rinvio a giudizio dello stesso de Magistris e del superconsulenteinformatico Gioacchino Genchi, per concorso in abuso d’ufficio, disposto ieri dal gup del Tribunale di Roma Barbara Callari, che ha accolto la richiesta del procuratore aggiunto Alberto Caperna.
Il dibattimento comincerà il 17 aprile davanti alla seconda sezione penale: de Magistris e Genchi dovranno difendersi dall’accusa di aver aggirato le norme sull’acquisizione e l’uso dei tabulati riguardanti il traffico telefonico di esponenti del Parlamento.
Nel corso dell’inchiesta Poseidone, poi confluita in Why Not , il pm all’epoca in servizio presso la Procura di Catanzaro e il consulente tecnico avrebbero ficcato il naso nelle conversazioni di Romano Prodi, Clemente Mastella, Francesco Rutelli, GiancarloPittelli, PinoGalati e altri parlamentari senza richiedere le necessarie autorizzazioni alle Camere di appartenenza.
De Magistris, che ha sempre difeso la correttezza del proprio operato, non l’ha presa bene.
In una nota si dice «amareggiato», contestando la competenza territoriale dei giudici della Capitale e la fondatezza dell’impianto accusatorio: «Non mi aspettavo questo rinvio a giudizio, perché l’accusa rivoltami è quella di aver acquisito tabulati di parlamentari senza necessaria autorizzazione del Parlamento stesso : mai un pm potrebbe essere così ingenuo.
Ritenevo e ritengo un dovere costituzionale indagare nei confronti di tutti, anche dei parlamentari e dei potenti. Mi auguro che la magistratura giudicante, nella sua autonomia e indipendenza, riconosca la correttezza del
mio comportamento e l’infondatezza degli addebiti formulati dalla Procura di Roma.
L’unica nota positiva di questa giornata amara è che in un pubblico dibattimento tutti si potranno rendere conto della incredibile storia da cui ancora oggi sono costretto a difendermi».
Nessuna reazione da parte di Genchi.
Pure lui, come de Magistris, oggi fa un altro mestiere: si è congedato dalla polizia e si è messo a fare l’avvocato.
Entrambi, pm e consulente tecnico, “vittime” dell'inchiesta Why Not e dell’alluvionale strascico di polemiche (e controinchieste) che ne è seguito.
De Magistris era stato trascinato in tribunale, a Salerno, dall’ex Guardasigilli Mastella, ma è stato poi prosciolto da ogni accusa.

PARTE LESA
Sopravvive, sempre a Salerno, un altro processo, nell’ambito del quale però il sindaco di Napoli figura come parte lesa.
Tra gli imputati nel dibattimento in corso davanti ai giudici della prima sezione penale del tribunale campano c’è anche l’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Salvatore Murone, il quale, è questa la tesi dell’accusa, insieme al procuratore dell’epoca, Mariano Lombardi,che nel frattempo è deceduto, avrebbe “scippato” a de Magistris le inchieste Poseidone e Why Not quando queste cominciarono a interessare l’estabilishment politico–istituzionale calabrese e nazionale.
Nel corso di una delle ultime udienze,ilsindaco di Napoli ha parlato del ruolo di Genchi: «Avevo bisogno – ha spiegato ai giudici l’ex pm–di un esperto in grado di ricostruirmi attraverso i tabulati i rapporti tra gli indagati. Stava emergendo una vicenda associativa e bisognava annotare le relazioni, i contatti , ma anche localizzare i luoghi, visto che emergevano movimenti finanziari in banche del nord Italia.
Non conoscevo Genchi, non l’avevo mai visto prima»,ha affermato il sindaco,sottolineando come le sue indagini necessitassero della massima riservatezza, mentre c’erano continue fughe di notizie.
«Avevo quindi bisogno di un tecnico esterno. Raccolsi informazioni su Genchi, e siccome erano buone, gli conferii l’incarico. Comunicavamo via email le procedure di lavoro e di acquisizione dei tabulati.
Insieme al consulente Savona, ebbe un ruolo molto importante nel rafforzare le indagini». ❖

Perugini suona la carica ma la base del Pd non c’è

All’incontro al cinema Italia solo Franchino e Laratta

di Camillo Giuliani su Calabria ora del 21/01/2012

Ripartire dal territorio per affrontare e superare la crisi: è questa la strada da imboccare secondo il Partito democratico cosentino se davvero si vuole che gli italiani tornino ad apprezzare la politica.
Lo hanno detto e ripetuto in tanti ieri sera, durante un incontro pubblico organizzato al cinema Italia da Salvatore Perugini, Marco Ambrogio e Luigi Formoso, i tre consiglieri di quel che resta del Pd a Palazzo dei Bruzi.
La scelta del luogo della manifestazione forse non è stata tra le più felici, molti posti sono rimasti vuoti nell’ampia sala sulle sponde del Busento.
Certo, tra il pubblico c’erano consiglieri regionali come Mario Franchino e deputati come Franco Laratta. C’era pure chi, come Maria Lucente, nelle scorse amministrative aveva scelto di candidarsi insieme a un sindaco diverso da quello appoggiato dalla segreteria nazionale.
Mancavano, però, molti volti noti del principale partito di centrosinistra, primi tra tutti quelli del presidente della Provincia, Mario Oliverio, e degli uomini a lui più vicini.
Assenti giustificati a detta di Perugini, considerato che ieri a Roma c’era l'assemblea nazionale dei democrat; assenti preventivabili - vedendo le cose con un pizzico di malizia in più - visto il persistere delle lacerazioni che caratterizzano da tempo il partito di Bersani in tutta la Calabria e - in maniera, se possibile, ancora più accentuata - in provincia di Cosenza.
Ecco perché, più della crisi dell’Italia e dell’Europa, l’argomento principale della serata è stato proprio il Pd locale.
Tutti hanno parlato di come sia arrivato il momento di superare la fase delle contrapposizioni tra le varie correnti per ritrovare una posizione unitaria da mostrare a un elettorato sempre più disilluso e distante.
Le parole d’ordine, secondo gli intervenuti al dibattito, dovranno essere dialogo e sintesi: dialogo non solo col territorio, ma tra esponenti di un partito che invece sembrano pensare soltanto a farsi la guerra a vicenda a colpi di pacchetti di voti; sintesi come linea politica unitaria da seguire tutti insieme, nessuno escluso, dopo aver discusso con gli iscritti di problematiche reali, riallacciando così i rapporti con quella base che, come sottolineato da Ambrogio, «si è vista relegare, tranne nei periodi elettorali, ad un ruolo passivo dai dirigenti». Niente più litigi, insomma, e spazio maggiore alla partecipazione dal basso se davvero si vuole rinnovare qualcosa.
«O ci mettiamo alle spalle il passato, discutendo coi cittadini invece che tra dirigenti, o il Pd non si costruisce», sostiene Franchino.
«Scopelliti e il centrodestra perdono colpi su colpi e, per colpa delle nostre divisioni, rischiamo che il vuoto che lasceranno venga riempito dal populista di turno, come De Magistris a Napoli», profetizza Laratta invocando un ricambio alla guida del partito qui in Calabria.
«Io sono convinto - afferma Perugini - che la società calabrese sia in grado di trasformare la crisi in opportunità: la politica deve, però, rinnovare metodi e comportamenti, liberandosi dalla palla al piede dell’individualismo e del protagonismo per ricominciare ad ascoltare i problemi reali e progettare soluzioni efficaci».
«Mettiamoci al servizio della comunità, svegliamo chi la pensa come noi e mobilitiamo le energie dal basso», la sua esortazione finale prima del prossimo incontro pubblico.
«L’incontro di oggi - spiega infatti l’ex sindaco - sarà ribadito per intensificare i momenti di confronto con chi ci ha votato: i cittadini devono sapere che noi ci siamo».
Camillo Giuliani

La rosa nel pugno tra "i più grandi naufraghi della storia"

Tratto da "il misfatto" inserto satirico del fatto quotidiano del 22/01/2012



Uno dei più spaventosi naufragi nella storia della navigazione.
La Rosa Nel Pugno, messa in cantiere nel 2005  da una società costituita dallo SDI del nuovo socialista Boselli e dai Radicali di Pannella, si prefiggeva di fare rotta verso nuovi e inusitati orizzonti, con a bordo milioni di elettori aventi a cuore la laicità.
In verità segnali nefasti si scorsero fin dal principio: i nuovi socialisti si scazzarono subito con Bobo Craxi che prima accettò di essere a bordo della RNP, poi si fece una barchetta per conto suo che manco salpò.
Ma nell’entusiasmo generale e grazie ai discorsi di Pannella che pur di farlo star zitto va sempre accontentato, la Rosa Nel Pugno fu varata e salutata in pompa magna.
Affondò subito, alle prime ondate elettorali, nel 2006.
I voti ottenuti insieme da Nuovi Socialisti Litigiosi e Pannelliani Rassegnati furono meno di quelli che ottenevano da soli prima del varo.
Il relitto della Rosa Nel Pugno non fu mai recuperato e chi passa in quel tratto si fa il segno della croce.

sabato 21 gennaio 2012

Il centro storico di Cosenza nella politica gattopardesca

La tanto promessa politica del cambiamento a Cosenza ancora sembra che stenti a decollare, sopratutto nel centro storico di Cosenza dove stamattina esercenti e residenti hanno dovuto fare i conti con una vera e propria cascata d'acqua, con tutte le problematiche che da essa ne deriva, problemi che lo scorso anno coloro che sedevano all'opposizione davano responsabilità alla maggioranza e oggi nella stessa in cui i signori criticoni siedono, ma forse, visto che il sindaco Mario Occhiuto su Calabria ora del 20/1/2012 non vuol sentire critiche, non gli si vuole dare disturbo, ma qui non stiamo mica a dire che "va tutto ben, madama la marchesa" qui facciamo critiche si, ma costruttive, come quella dell'ennesimo fiume d'acqua che investe il centro storico.


Guardi il sindaco Mario Occhiuto come ad esempio, Pino l'edicolante di Corso Telesio abbia dovuto ingegnarsi per far fronte a quella cascata d'acqua che è scesa proprio di fronte alla sua edicola, per non parlare della difficoltà di chi abita e/o lavora nella popolare "calata da corda" divenuta calata d'acqua, la stessa difficoltà che il sottoscritto ha avuto per salire.

 E salendo ho trovato l'origine del fiume d'acqua, un tombino otturato proprio di fronte alla casa dell'on. Giacomo Mancini, attualmente assessore alla regione Calabria, e c'è da chiedersi perché questi signori che predicavano il cambiamento non abbiano preventivamente fatto opera di pulizia dei tombini intasati in modo che situazioni come questa non accadano, e spero si prodighino perché l'inverno con le sue piogge è ancora lungo.


venerdì 20 gennaio 2012

Che intellettuali le signore della notte

UN SAGGIO DI SCARAFFIA RICOSTRUISCE L’ILLUSTRISSIMA CLIENTELA DELLE CASE CHIUSE

di Nanni Delbecchi  sul fatto quotidiano del 20/01/2012

Leggendo Le signore della notte di Giuseppe Scaraffia, prosecuzione con altri mezzi del precedente Cortigiane, si rimane colpiti dal declino che l'amore non esattamente romantico ha subito negli ultimi 50 anni (ossia dalla messa fuorilegge delle case chiuse in Italia e Francia).
Non tanto per quanto riguarda il business, sempre floridissimo, uno dei tanti rami sommersi e ovviamente esentasse della nostra economia, quanto sul piano dell'immagine.
Oggi tutti si scandalizzano al solo sentir parlare di sesso a pagamento.
Eppure, come Scaraffia documenta con amabile, perfida acribia, un numero impressionante tra i più grandi spiriti dell’Ottocento e della prima metà del Novecento erano assidui frequentatori dei bordelli.
L'APPELLO completo non si può fare per ragioni di spazio ma, tanto per intenderci, non mancano Anatole France, Andrè Breton, Georges Simenon, Scott Fitzgerald, Joyce, Tolstoj, Marinetti, Buzzati, e perfino insospettabili (sotto il profilo sessuale) come Proust e Verlaine.
Non parliamo poi degli artisti, che notoriamente, veri maschi alfa, vanno al sodo assai più dei poeti.
Da Picasso in giù presenti in forze anche loro, con gli impressionisti al gran completo.
Né si pensi che si gingillassero tra signorine e maitresse solo per piacere.
C’era anche il dovere, come dimostrano Jeanne Duval, la mulatta che ispirò a Baudelaire I fiori del male o le stesse Daimoselles d ' Avignon, con cui Picasso fonda il Cubismo.
Quando un giornalista chiese a William Faulkner quale fosse secondo lui l’ambiente più adatto alla scrittura, la risposta fu: “Il miglior posto che mi abbiano offerto è quello di tenutario di una casa chiusa” (e non era una battuta).
Insomma, Le signore della notte ci dimostra a suon di prove che tra artisti e puttane c’è un’innegabile affinità elettiva, al punto da chiedersi se siano più artiste le puttane o più puttane gli artisti.
“È una nobile gara”, risponde Scaraffia.
“Certo, gli artisti sono più consapevoli di essere puttane, mentre il problema di queste ultime è che se sentono di dare troppo hanno la sensazione di svendersi,se non di regalarsi;così a differenza delle cortigiane, che erano vere artiste, vivono al confine con l’artigianato”.
Sta di fatto che durante la loro epoca d’oro nei bordelli si cercava - e si trovava - di tutto.
C'è chi, come Baudelaire, incontra la sua musa, chi varca ogni volta la soglia sperando di trovare la donna della vita, come Mario Soldati, e chi finirà per sposarsi davvero, come accade a Stephen Crane.
Ma ci sono anche quelli, come Pierre Drieu
La Rochelle, di parere avverso: “Le donne non si pagano per averle prima, si pagano perché se ne vadano dopo. Una volta ci provò a dare un appuntamento a una ragazza che lo aveva particolarmente colpito, ma, come se la vide arrivare in abiti ‘borghesi’, fuggì terrorizzato dal caffè dove le aveva dato appuntamento”.
C'è anche la terza via: quella di Georges Simenon, che nei migliori bordelli di Parigi si presentava sempre accompagnato dalla moglie, oppure dall'amante di turno.
Graham Greene, invece, da bravo cattolico, arrivava esclusivamente con le amanti.
E oggi?
Come è possibile che questa gloriosa tradizione sia finita nel nulla?
Sono rimasti solo i politici ad avere un debole per le escort?
“Intanto per gli intellettuali ci sono anche problemi economici. Si erano già alzate le tariffe, poi Berlusconi ha definitivamente rovinato la piazza. Ma è anche vero che vige una straordinaria ipocrisia sulla prostituzione, una caccia alle streghe contro quello che è al tempo stesso un fantasma ricorrente,una specie di ossessione.
E noi sappiamo che l'ossessione è il ritorno del rimosso”.
Non sarà anche che oggi le signore della notte subiscono una sorta di concorrenza da parte di tutte le altre donne, a tutte le ore e in tutti gli ambienti?
“Ma certo. Oggi le donne vogliono essere tutto, manager e femme fatali in un colpo solo, vogliono portare la minigonna, i tacchi a spillo e pure i pantaloni.”
IN EFFETTI, una certa confusione dei ruoli è innegabile; fino a venti, trent’anni fa distinguere una signora della notte era possibile al primo colpo d'occhio,già solo per il modo di abbigliarsi, mentre oggi è molto più difficile.
“Direi impossibile, anche perché la moda degli ultimi vent'anni si è ispirata non poco al marciapiedi. Ma non mi riferisco solo al look, anche ai gesti, ai toni, alla provocazione costante. Pensi alle immagini della pubblicità; almeno in un caso su due foto e spot potrebbero essere pubblicità della prostituzione”.
Povera “professionista ”.
Quale consiglio potremmo darle per reagire a questa concorrenza sleale?
“Forse come carta estrema le si potrebbe consigliare un passo indietro, sembrare la ragazza della porta accanto di una volta; l'unico modo per riprendersi un po' di quel mistero che nel passato apparteneva alla nudità. Ma oggi non c'è nulla di più qualunque di una ragazza che cammina per strada mezza nuda”.

giovedì 19 gennaio 2012

A domanda rispondo - voglio cancellare il porcellum



Caro Furio Colombo, voglio cancellare il Porcellum. Avevo firmato il referendum, ma è stato
dichiarato inammissibile. Adesso?
Gian Maria

ADESSO il problema è non perdere tempo.
Adesso è presentare subito una, due, cento proposte di legge elettorale.
Spiegazione: tante proposte è meglio di convegni e dibattiti che non lasciano traccia e non intaccano lo scorrere implacabile del non tanto tempo a disposizione del Parlamento.
È urgente cancellare l'orrore della legge Calderoli, un tipico scherzo malevolo e senza scrupoli della Lega contro la Repubblica italiana, che i leghisti odiano e intendono spaccare (benché in quel tempo infelice la Lega fosse al governo).
Sto dicendo questo: ci sono più opinioni diverse su come dovrebbe essere una buona legge elettorale, di quanti siano i gruppi parlamentari presenti al momento nelle due Camere.
Il problema non è di metterci d'accordo prima.
Il problema è di fare in modo che i due presidenti di Camera e Senato siano indotti, dalla presentazione delle proposte, non importa quanto numerose e diverse, a "calendarizzare" la riforma della legge elettorale vigente. La parola significa stabilire a partire da quale giorno si comincia a discutere in Commissione e in aula e in quale sequenza.
Più presto avviene tale "calendarizzazione" e più tempo resta per il fiume di discussioni che ci aspetta.
Le proposte che si conoscono sono molto diverse l'una dall'altra e riflettono visioni politiche e non solo tecniche, molto lontane, dal “proporzionalistico” al “presidenziale ”.
Poiché la situazione che si è creata dopo il disastro Berlusconi richiede frequenti incontri fra partiti e coalizioni che, prima, potevano solo scontrarsi, potrebbe anche esserci la buona occasione per consultazioni che consentano una diminuzione delle varie soluzioni proposte e una identificazione meno difficile di un modello da trasformare in legge.
Forse è un’illusione e una concessione all'ottimismo che non mi è tipica.
E forse è impossibile se si tiene conto della strana destra monopolista che continua, con il fantasma di Berlusconi, a controllare la maggioranza Pdl.
Ma neppure il giusto dubbio sull'esito esonera dalla necessità di cominciare subito.
Ripeto: il tempo è pericolosamente breve.
È più probabile che succeda qualcosa di utile se si comincia adesso, che se ci si abbandona a una lunga serie di discussioni sul meglio che, più che mai, questa volta, è nemico del bene.

Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
lettere@ilfattoquotidiano.it

La piscina abbandonata di Sant'Ippolito

Della piscina di Sant'Ippolito inaugurata nell'aprile 2011 dall'allora sindaco di Cosenza Salvatore Perugini e oggi abbandonata a se stessa come del resto l'intera struttura che vi sta intorno.


 Oggi, la struttura potrebbe essere utilizzata con notevoli vantaggi da persone meno abbienti senza il bisogno, sopratutto se abitano nel centro storico di Cosenza e zone limitrofe, di usufruire di impianti sportivi e ricreativi per il benessere psicofisico
L'impianto, non solo può fungere da piscina, ma dotato anche di sala congressi, ma a tutt'oggi e abbandonato.
 Era prevista la costruzione di una seconda piscina proprio di fronte alla prima, ma come possiamo vedere il progetto è stato abbandonato forse per mancanza più di interessi che di fondi


e speriamo che chi di dovere si attivi al più presto prima che le intemperie e/o i vandali possano danneggiare la struttura come è già successo a questa finestra

Mi rivolgo quindi a Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza; Carmine Vizza, assessore allo Sport, Impiantistica sportiva, Tempo libero; Marina Machì, assessore alla città a misura di bambino.
Mi rivolgo al sindaco e agli assessori nella misura in cui si parla di una rivalutazione del centro storico, che può partire proprio da qui, ma non solo, l'attività sportiva non solo può giovare al benessere psicofisico ma può essere un efficace mezzo di distrazione nonché deterrente contro tentazioni di percorrere vie criminali da parte di giovani.

mercoledì 18 gennaio 2012

Kamasutra elettorale

Di Fabrizio d’Esposito sul fatto quotidiano del 18/01/2012

Prima domanda: qual è il sistema elettorale più astruso e incomprensibile in tutto l'orbe terracqueo?
La risposta è di un esperto studioso, Kenneth Benoit: “Il sistema elettorale ungherese è, dimostrabilmente, il
più complicato al mondo”.
Ora, qual è la proposta di riforma elettorale del Pd di Pier Luigi Bersani?
Semplice: la linea ufficiale del partito, ratificata nel giugno dell'anno scorso, è rappresentata dal sistema ungherese.
Il quale, detto per inciso, combina quattro tipi di elezione per la stessa Camera (no, non chiedeteci di spiegarli) e adesso, in quel Paese, sta spalancando le porte a una dittatura di destra.
Incredibile ma vero.
L'eterno tafazzismo della sinistra si incasella nella voce sadomasochismo passivo (oppure semplice masturbazione) dell'italianissimo Kamasutra intitolato “Porcellum con le ali”.
Ossia tutti i modi possibili per riformare la legge elettorale senza fare nulla.
Meglio, senza fare nulla subito e in maniera chiara.
Dopo il doppio no della Consulta ai referendum contro la “porcata” ideata dal leghista Roberto Calderoli (sistema proporzionale corretto con premio di maggioranza e liste bloccate senza preferenze) è infatti partita un'estenuante melina politica (effetto ritardante, non stimolante) per discutere della riforma da fare. Ovviamente ci sarà un tavolone, tripartisan non bipartisan, coi partiti che sostengono il governo di Mario
Monti: Pd, Pdl e Udc.
A Napoli, tavolone è sinonimo proprio di orgia.
Un tavolone con triangolo in cui le posizioni sono aggrovigliate: Casini vuole il tedesco corretto, il Pd ha l'ungherese, ma come sintesi del francese e un po' del tedesco, il Pdl propende per la spagnola, intesa come via.
Trasversalmente, poi, si sta sviluppando una passione per il sistema anglosassone.
C'è chi gode così, bisogna farsene una ragione.
Almeno fino a ottobre, quando dopo nove mesi di gravidanza isterica, i partiti della Grande Coalizione “tecnica” partoriranno presumibilmente la creatura in vista delle elezioni politiche del 2013.
Indovinare il sesso, cioè la “nazionalità”, del neonato è impossibile.
Sempre che non ci sia prima il coitus interruptus, nella prossima primavera, del voto anticipato.
In quel caso il tavolone della Terza Repubblica salta e si ritorna al bunga bunga della Seconda con il Porcellum.
Nel Kamasutra per la legge elettorale, le varie posizioni sono una gradazione mista dei due sistemi universali: maggioritario e proporzionale. C'è chi vuole il 75 per cento del primo e il 25 del secondo, chi 70 e 30, chi 80
e 20 e chi si complica la vita con l'ungherese in salsa italiana (Bersani): modello maggioritario a doppio turno con quota proporzionale, soglia di sbarramento e diritto di tribuna.
Non solo: la scelta della legge implica una scelta di sistema: rimanere nel bipolarismo (tendenza maggioritario) oppure ritornare alla partitocrazia sic e et simpliciter (tendenza proporzionale alla Casini)?
Il politologo Giovanni Sartori sostiene da sempre che le leggi elettorali devono tenere conto di un potenziale di coalizione dei partiti o di un loro potenziale di ricatto.
Ecco, probabilmente sarà un sistema misto anche in questo, con prevalenza del ricatto sulla coalizione.
Nel nostro Paese, il Kamasutra del Porcellum ha passato in rassegna pure il sistema neozelandese.
Merito del costituzionalista veltroniano Stefano Ceccanti, un patito delle leggi elettorali, che alcuni anni fa
mandò in piena notte un sms ad amici politici e giornalisti per manifestare il suo entusiasmo per gli effetti del neozelandese.
Oggi questo sistema (misto con il 45 per cento di proporzionale) piace a esponenti di vari partiti anche se lo stesso Ceccanti si è orientato verso altre ipotesi: mantenere l'uninominale con varie alternative, non esclusa
quella australiana che prevede turno unico con voto alternativo trasferibile e ballottaggio preventivo.
Non è da tutti pensare queste cose.
Resta da capire solo come si comporrà il trenino finale del post-Porcellum al tavolone triangolare.
Bersani, con la linea ungherese, ha tutte le carte in regola per finire davanti a tutti, la posizione peggiore.

domenica 15 gennaio 2012

«Treni, governo disattento sulle Fs»

Principe (Pd): per rilanciare il Sud servono infrastrutture europee, non tagli
Antonio Cantisani intervista Sandro Principe su Calabria ora del 15/01/2012

Dalla questione meridionale e calabrese plasticamente resa dalla vicenda del taglio dei treni fino alle tante emergenze sul tappeto.
Parla il capogruppo del Pd alla Regione Sandro Principe, che traccia una sorta di road map per il 2012.
Presidente Principe, il Pd e il Mezzogiorno...
«Ritengo sia giusto riconoscere che il Pd, da più tempo, sostiene che il rilancio del Mezzogiorno sia indispensabile per la ripresa economica dell’intero Paese. Lo slogan “se cresce il Mezzogiorno cresce l’Italia” non è per nulla uno spunto propagandistico, ma la consapevolezza che per aumentare il Pil dell’Italia è necessario partire dalla crescita economica delle regioni del Sud.  Questa linea politica chiara ha fatto registrare evidenti passi in avanti, in termini di elaborazione e volontà politica, a partire dall’assemblea nazionale di febbraio, ed è stata confermata e ulteriormente sviluppata nel forum di venerdì scorso, che ha avuto a oggetto le politiche per il rilancio del Mezzogiorno. Non può sorgere dunque alcun dubbio sul-
la volontà granitica del Pd di considerare una priorità la questione meridionale e quindi calabrese».
L’elenco delle emergenze da affrontare però è infinito: da dove partire?
«Si avverte l’esigenza di un risorgimento della coscienza civica delle popolazioni meridionali. E invero, senza la consapevolezza che queste terre posseggono valori culturali, bellezze ambientali, potenzialità turistiche e nell’agroalimentare, capacità di elaborare innovazione e un vasto serbatoio di energie giovanili da mettere al servizio dello sviluppo, nessuna politica di sostegno, pur necessaria, proveniente dall’esterno può avere successo. Ciò significa sostenere e incoraggiare i compiti insostituibili della Chiesa, delle categorie sociali,
del mondo del lavoro e delle professioni, delle associazioni, del mondo della scuola, della cultura e della università, per partorire, attraverso un rigoroso confronto, un modello di sviluppo elaborato nelle regioni meridionali e adeguato a queste, senza commettere ancora una volta l’errore di pretendere che l’avvenire del Mezzogiorno possa avvenire importando e copiando modelli nati e sviluppatisi in altre realtà. Non v’è
dubbio però che la valorizzazione del Mezzogiorno non può prescindere dall’esigenza di romperne l’isolamento, garantendo la tranquillità delle popolazioni residenti e di chi intende investire nei nostri territori».
Ne consegue?
«Ecco dunque emergere il ruolo dello Stato, che deve liberare i nostri territori dalla presenza asfissiante della criminalità organizzata, sostenuto, in questo, dall’impegno culturale delle agenzie sociali. Lo Stato deve altresì rilanciare il completamento e l’ammodernamento delle reti infrastrutturali (autostrade, strade statali, ferrovie, aeroporti e porti) attraverso ingenti investimenti. A esempio, da più tempo sosteniamo che Gioia Tauro può e deve diventare la porta d’Oriente dell’Europa, ma viene naturale chiedersi come ciò possa avvenire senza
collegare il nostro grande porto con il resto del continente attraverso efficienti reti ferroviarie ed autostradali. Così come va sostenuta l’imprenditoria meridionale e quella nazionale o estera che ha intenzione di investire nel Sud, attraverso sane politiche di incentivi finalizzati alla crescita e alla occupazione, che non debbono più significare contributi a fondo perduto - spesso causa di azioni delittuose - ma viceversa sgravi fiscali e contributivi, onesto accesso al credito e realizzazione delle reti dei servizi necessari».
Come giudica i primi passi del governo Monti rispetto alla Calabria e al Mezzogiorno?
«Allo stato non è possibile dare un compiuto giudizio sull’impegno per il Sud e per la Calabria del governo Monti, poiché dal suo insediamento non sono trascorsi neanche due mesi. È utile rilevare, però, che l’aver affidato a un uomo come Passera un ministero che unisce le competenze per lo sviluppo a quelle per le infrastrutture ci fa ben sperare, in quanto finalmente si è compreso che il rilancio del Mezzogiorno ha
bisogno di infrastrutture moderne, di tipo europeo. Dispiace constatare, però, la disattenzione del governo sul modus operandi di Trenitalia, che non aiuta certo ad avvicinare la Calabria all’Italia e all’Europa, poiché
sta portando avanti una politica di soppressione di importanti treni a lunga percorrenza. Tuttavia sento il dovere di aggiungere che Monti, in un lasso di tempo brevissimo, ha recuperato all’Italia una grande credibilità nel contesto europeo. Ciò dovrebbe consentire al nostro governo di ottenere dall’Ue l’autorizzazione per provvedimenti di sostegno alle imprese, incentrati su sgravi fiscali e contributivi».
E le questioni del lavoro?
«In Calabria le emergenze più laceranti manifestano i primi segnali che rapidamente diventano acuti, prima di dare segnali nel resto del Paese; mi riferisco all’emergenza lavoro, con particolare riguardo ai giovani e
alle donne. Il governo Monti sembra intenzionato a confrontarsi con le parti sociali, con l’augurio che, unitamente alla “ equità protettiva”, si persegua la “efficienza regolativa e organizzativa”, che attivano investimenti e producono crescita e occupazione. In questo contesto andrebbe dato qualche segnale al Mezzogiorno e alla Calabria, prendendo in considerazione anche l’assegno minimo garantito, che in Europa è considerato fondamentale nel sistema di welfare, accompagnato naturalmente dalla formazione e dall’obbligo, per il beneficiario, di non rifiutare le opportunità di lavoro che gli venissero offerte. Il Pd calabrese si sta muovendo perché l’intero partito sia protagonista nel condurre questa battaglia di equità sociale e di civiltà, che faccia partorire un vero e proprio Piano per il lavoro, soprattutto per il Mezzogiorno e la Calabria».
In tutto questo contesto come si sta muovendo la giunta regionale?
«La luna di miele del governo Scopelliti è finita. I tanti nodi vengono al pettine e le risposte sono fievoli e inadeguate; né è pensabile continuare a coltivare il vecchio alibi che in Calabria tutto è negativo e omologabile al binomio inefficienza-malaffare. Viceversa, fatti inequivocabili dimostrano che cose positive si possono fare anche in Calabria, a condizione che si smetta con la politica degli annunci, della propaganda, dell’assistenza e dell’intervento a pioggia e ci si impegni con il duro e diuturno calvario del programmare e del governare. Sanità, trasporti, dissesto idrogeologico sono settori in cui regna la più totale confusione o l’abbandono di qualunque iniziativa. Sull’attuazione del Por Calabria si sono fatte tante belle parole, mentre è tuttora incombente il rischio di non riuscire ad impegnare le ingenti risorse disponibili: e non ci si riferisce solo ai pericoli di non realizzare le metropolitane leggere o l’Apq “Gioia Tauro”, ma al programma nel suo complesso. Peraltro è attuale il rischio che, dopo aver perso i fondi Fas, anche i fondi strutturali europei possano essere utilizzati, non in modo aggiuntivo, ma per sostituire lo Stato nella realizzazione di programmi e opere di sua esclusiva competenza».
Antonio Cantisani

giovedì 12 gennaio 2012

Su Rende “piove” fango «A chi diamo fastidio?»

Il sindaco Cavalcanti convoca i suoi: «Non lasciateci da soli»


Di Luigi Maria Chiappetta su Calabria ora del 21/01/2012


O superficialità o invidia.
Due sono le opzioni che mette sul piatto il primo cittadino di Rende Vittorio Cavalcanti.
Due possibili giustificazioni agli attacchi, mediatici e non, subìti negli ultimi mesi dall’amministrazione comunale d’oltre Campagnano.
O meglio, da tutta la città, visto che la presunta “macchina del fango” non sta risparmiando niente e nessuno. Dunque serviva una risposta forte, decisa, concreta.
Anzi, un’ «azione di difesa contro le vergognose contumelie», come l’ha apostrofata il sindaco stesso.
Il quale, evidentemente, non ha ritenuto sufficiente che se ne discutesse nella sola aula del consiglio comunale. Ma che ha pensato fosse necessario qualcosa in più per mettere al corrente tutti che «Rende non si tocca».
E niente di meglio ci poteva essere di una conferenza stampa ad hoc per fare chiarezza sui fatti e tutelare l’immagine della città.
Lanciando appelli al mondo della politica e non solo.
Ieri mattina, all’indomani del documento liquidato dall’Assise con la sola astensione del Pdl, Cavalcanti era lì, nella sede municipale di via Rossini, attorniato dalla sua giunta al completo.
E dagli amici: primo fra tutti Sandro Principe, accomodato in primissima fila.
Più un “ospite d’onore”, proveniente dagli ambienti di piazza XV Marzo, che sedeva al fianco sinistro del primo cittadino: vale a dire Franco Iacucci, sindaco di Aiello Calabro, a fare le veci del presidente della Provincia Mario Oliverio.
L’incontro di ieri, in ogni caso, non è stato che la prima tappa di una «lunga battaglia», come ha sottolineato l’erede di Bernaudo, che ha esordito con un «come vedete non ho nessuna coppola in testa».
Una battaglia, la sua, tesa a dimostrare che Rende è sì un’anomalia, ma in senso assolutamente positivo: «La nostra città è un esempio per tutti - ha più volte ripetuto il sindaco - e forse il problema è proprio questo.
Chi ci getta fango addosso non ha visto l’Unical, contrada Lecco e tutti gli altri nostri fiori all’occhiello.
Per non parlare del livello di democrazia che in tanti anni è stato faticosamente raggiunto, cosa che probabilmente a qualcuno non fa piacere».
Niente nomi, però.
Ma va da sè che gran parte dei riferimenti siano tutti per quella trasmissione televisiva locale che, negli ultimi tempi, ha puntato i riflettori sulle presunte “magagne” rendesi tra politica e malaffare.
Per quanto non sia certo l’unico dettaglio a dare filo da torcere alla compagine amministrativa: infatti, Cavalcanti tende a sminuire il peso della trasmissione incriminata («stiamo parlando di una cosa che non ha a che fare col vero giornalismo») lasciando intendere, piuttosto, come questa sia stata una delle gocce che
hanno fatto traboccare il vaso, insieme agli strascichi delle recenti vicende giudiziarie degli ex amministratori Bernaudo e Ruffolo.
Il messaggio finale, appoggiato anche da Principe, è tutto per i politici, Pd in testa: «Rende non deve essere lasciata sola, trovo giusto che ci sia una solidarietà più ampia».
E qui il primo cittadino non si trattiene, ammettendo la «difficoltà d’espressione del Pd locale», con la speranza che «vengano definiti meglio gli assetti e si punti alle grandi sinergie».
Nell’annunciare che, laddove risulti possibile, si procederà per vie legali, l’ultimo passaggio - targato tutto Sandro Principe - è su industriali e costruttori che operano in città: «Anche loro devono essere coinvolti e farsi sentire», dal momento che quanto detto in tv li tocca da vicino.
Vedremo.
In attesa della prossima tappa.

mercoledì 11 gennaio 2012

Stop agli attacchi mediatici il consiglio tira fuori le unghie

Tratto da Calabria ora del 11/01/2012

Giù le mani da Rende.
Che nessuno tocchi la nostra bella città: è il grido unanimelevatosi, ieri pomeriggio, nella sala consiliare di piazza Matteotti.
Unanime se non si considera il Pdl: gli esponenti del partito di centrodestra hanno optato per la strada dell'astensione.
Il monito è stato messo nero su bianco all'interno del documento approvato ieri dal consiglio comunale d'oltre Campagnano.
Il tutto in riferimento e come risposta ad alcuni attacchi subiti ultimamente.
Sopratutto attraverso il tubo catodico, com'è facilmente intuibile.
«La città di Rendeè vittima di inqualificabili comportamenti denigratori, attraverso la sua comunità interna - si legge nel documento - tendenti a minarne le sue fondamente civili e democratiche. Rendesi trova catapultata in un vortice quotidiano di fango e maldicenze con cui si tenta di farla passare per la città della mafia, dominata dal “silenzio tombale” di tutte le categorie sociali, dai professionisti agli imprenditori, dai commercianti ai politici, dalle associazioni ai semplici cittadini, rispetto a un sistema di illegalità diffusa. Il consiglio - si legge ancora - respinge con forza una rappresentazione mistificante che è l'esatto contrario di ciò che Rende è nella realtà, e cioè una città civile, democratica, operosa, colta, da sempre che respinge ogni forma di degenerazione e inquinamenti. È una città che ha sempre rappresentato e continua a rappresentare complessivamente un esempio di buona e virtuosa amministrazione della cosa pubblica».
lumac

martedì 10 gennaio 2012

Re: Perché l’Italia non fa più sognare gli africani

Prendo in prestito il post da femminismo a sud preso in prestito a sua volta da http://www.slateafrique.com/80519/italie-florence-rever-africains (Traduzione a cura di EveBlissett e Luna)
Aggiungo alla fine del post delle mie considerazioni non pubblicate da Femminismo a sud

Reportage di Jamila Mascat

Un mese fa mi trovavo all’ufficio postale del mio quartiere, a Roma, per ritirare una raccomandata. Dopo una coda interminabile l’impiegato allo sportello mi ha mormorato qualcosa di incomprensibile. “Mi scusi, può ripetere?” “Siamo in Italia e se non parli italiano è un tuo problema”, ha risposto, perfettamente comprensibile, stavolta. L’ho guardato interdetta, irritata, e gli ho detto, all’infinito: “Io non capire. Tu spiegare meglio”. Dietro di me, nella fila, c’era un altro cliente, anche lui con l’aria piuttosto irritata, che non ha esitato ad intervenire nello scambio: “Ti si deve parlare in turco per farti capire?”, mi ha detto.

Mezz’ora più tardi sono andata a pranzo con Ibrahim, un amico ivoriano, e gli ho raccontato quello che mi era successo. “Ti rendi conto?”. Incredibile, siamo entrambi d’accordo. Un cameriere di un bar vicino all’Olimpico ha fatto pagare ad Ibrahim tre prezzi diversi per una stessa bibita in tre giorni di seguito, fino a quando lui, il quarto giorno, gli ha detto che era africano, non idiota: una scena di ordinario razzismo, nel senso letterale dell’espressione. Alla fine abbiamo riso tutti e due: il razzismo è così stupido che fa ridere.

Dal razzismo di tutti i giorni alla tragedia

Una ventina di giorni dopo, però, quello che è successo a Firenze è stato tutt’altro che divertente : due venditori ambulanti senegalesi uccisi, altri tre gravemente feriti, un assassino suicida, la cui identità ha suscitato immediatamente un dibattito piuttosto caldo. Gianluca Casseri, 60 anni, di Pistoia: un uomo solitario, depresso, autore di saggi sull’esoterismo e sul neo paganesimo, “grande appassionato di fantascienza e ossessionato dal concetto di razza” secondo Il giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi; un eroe acclamato da centinaia di fan che, su Facebook, proponevano la canonizzazione con slogan tipo “Santo subito!”. Un malato mentale, secondo CasaPound, una delle principali organizzazioni dell’estrema destra italiana di cui Casseri era un simpatizzante, che si è affrettata a prendere le distanze dall’assassino sottolineando che “Non era un’attivista”. Era un razzista.

I politici in prima linea…come al solito

Per il resto le dichiarazioni di tutte le forze politiche sui fatti di Firenze, l’allarme contro la xenofobia e le accuse reciproche hanno una sorta di aria di deja vu: abbiamo assistito allo stesso scenario nel 2008 a Milano, in seguito all’omicidio del giovane italiano, originario del Burkina Faso, Abdul Guibre, ucciso a colpi di mazza dal proprietario di un bar e suo figlio per aver rubato dei dolci; poi, nel gennaio 2010, dopo la rivolta dei braccianti agricoli africani a Rosarno, in Calabria, in risposta all’aggressione di tre di loro con fucili ad aria compressa da parte dei cittadini, che a quanto pare, si divertivano a sparargli. E ancora, recentemente, dopo l’’incendio a colpi di molotov del campo rom di Cascina Continassa, vicino Torino, in seguito alla denuncia di una sedicenne italiana che prima aveva accusato dei rom di averla violentata e poi ha ammesso di essersi inventata tutto. Qualche giorno più tardi ci sono stati gli omicidi di Firenze.

Crimini razzisti sullo sfondo delle “politiche dell’odio”

Nel suo rapporto 2009-2010 su “Razzismo e discriminazione in Italia”, l’ European Network Against Racism suggerisce che il governo dovrebbe sensibilizzare maggiormente la popolazione nei confronti dei “crimini razzisti”. I crimini, dunque. Non gli incidenti o le catastrofi naturali, di fronte ai quali non basta ripetersi all’infinito che il razzismo è orribile e sperare che un giorno scomparirà.
Pap Diaw, il rappresentante della comunità senegalese di Firenze, ha denunciato la “politica dell’odio” e le responsabilità di tutto l’ apparato istituzionale, nel migliore dei casi manchevole, nel peggiore complice del pesante clima di intolleranza che permea l’Italia. Nel corso della manifestazione antirazzista del 17 dicembre in solidarietà con le vittime, Diaw non ha risparmiato parole dure nei confronti della legislazione italiana in materia d’immigrazione e del sistema politico, accusato di aver sempre preso il razzismo alla leggera. “Una ferita non curata incancrenisce”, ha concluso Diaw, esigendo la chiusura di tutti quei luoghi che coltivano la xenofobia, in particolar modo Casapound. Ma Matteo Renzi, il sindaco di Firenze (Partito Democratico), non è d’accordo. “Non è certo dicendo che un centro sociale vada chiuso che si risolvono i problemi”. Forse. Ma non si risolvono nemmeno facendo apologia della tolleranza nei confronti di chi professa l’intolleranza.

La fascinazione del fascismo

Femminismo a Sud, un blog antisessista e antifascista, ha pubblicato una sorta di provocatorio “J’accuse” che ha suscitato un animato dibattito in rete. Il blog ha compilato una lista di giornalisti e politici di sinistra che avrebbero in un modo o nell’altro contribuito a sdoganare l’immagine dell’estrema destra italiana: dai reportage “fascio-trendy” fino alla sottoscrizione di un appello che difendeva il diritto di Casapound a “manifestare indipendentemente dal giudizio che si possa avere sui contenuti o sui promotori di tali manifestazioni”.

Si può leggere in questo post:

“il fascino fascista (…) ha contagiato un po’ di gente, anche insospettabili, tutti a citare Voltaire, tutti a immolarsi pur di fare parlare un neofascista, tutti a dare lezioni di libertarismo agli antifascisti, (…) gli antifascisti che avvisavano tutti del fatto che la legittimazione culturale a certa gente significa legittimazione alle orrende azioni che da quella cultura sono istigate e ispirate”.

Il post solleva delle obiezioni legittime sui limiti della tolleranza. Fino a che punto ?

Potremmo dire che dipende dal livello d’intolleranza. È stato quindi detto che i militanti di Casapound, i fascisti del terzo millennio, fossero dei “fascisti soft”, che dalla bocca di certi portavoce di partiti rappresentati al Parlamento si odono esternazioni ben più xenofobe. Può darsi. Chiamiamoli allora fascisti del XXI° secolo se preferite, dei razzisti soft che non si rifanno alle teorie della razza ma chiedono il blocco delle frontiere poiché l’immigrazione nuoce agli immigrati, e ciò li turba. Sarebbero quindi, questi, dei razzisti tollerabili ?

D’altra parte, Casapound non è un caso isolato in Italia. Nella galassia dell’estrema destra neofascista, fenomeno che si è sviluppato in maniera inquietante nel corso degli ultimi quindici anni, ce n’è per tutti i gusti. La destra radicale italiana è sempre più composita, e coloro i quali subiscono il fascino del richiamo xenofobo non hanno che l’imbarazzo della scelta.

Casapound, lungi dall’essere un caso isolato

Così abbiamo Forza Nuova, organizzazione catto-fascista che chiede l’abrogazione della legge sull’aborto, tesse le lodi della colonizzazione e denuncia, tramite dei video caricati su youtube, il razzismo degli immigrati nei confronti degli italiani. C’è poi Fiamma Tricolore, che nel suo programma sull’immigrazione elenca le sottili differenze tra le predisposizioni morali degli immigrati: i magrebini creano sempre problemi, i filippini sono piuttosto tranquilli, i rumeni sono indispensabili ma criminali. E La Destra, partito d’ispirazione “cattolica, solidale, europea, occidentale e cristiana”, il cui fondatore e segretario, Francesco Storace, ex presidente della regione Lazio, è convinto che l’Italia sia troppo tollerante, addirittura un po’ “cogliona” nei confronti delle culture “degli altri”.

Verso una banalizzazione del razzismo?

La questione della soglia tollerabile del razzismo somiglia a quella della soglia di tolleranza del dolore fisico, essendo l’una e l’altra variabili e legate alle abitudini. La banalizzazione del razzismo in Italia ha contribuito ad innalzare la soglia ad un livello successivo. Infatti il numero di croci celtiche e di scritte razziste che si possono vedere un po’ dappertutto sui muri di Roma, gli insulti e gli slogan xenofobi negli stadi, le mani destre alzate, sono direttamente proporzionali all’espressione del razzismo istituzionale. L’abituale retorica della Lega Nord ne è un esempio più che rivelatore se si considera che un deputato europeo del partito, Mario Borghezio, non esita durante i raduni ad invitare i suoi sostenitori a fare pulizia, a “disinfettare gli immigrati”.
Se da un lato dunque, la legge Mancino (1993) vieta ogni parola, gesto e simbolo che incita alla discriminazione per “motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” dall’altra il parlamento italiano ha votato tra il 2008 e il 2010 due “pacchetti sicurezza” che includono, tra le altre cose, le leggi per trasformare lo stato di clandestinità degli immigrati senza documenti in reato e che danno più potere ai sindaci in materia di “sicurezza urbana”. Sindaci come Fabio Tosi, anch’egli Lega nord, che amministra la città di Verona dal 2007 e che secondo un recente sondaggio pubblicato nel quotidiano Il sole 24 ore è uno dei più amati d’Italia. Tutto ciò nonostante il fatto che nel 2001 sia stato condannato in tribunale per violazione della legge Mancino, dopo aver lanciato la campagna “Firma anche tu per mandare via gli zingari dalla nostra città”

Il razzismo, sempre più tollerato

Secondo l’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) nel 2011 ci sono state 1.005 denunce di razzismo in Italia, una cifra certamente ben al di sotto della realtà. E secondo un’inchiesta realizzata dal comitato italiano dell’Unicef il 54% degli adolescenti di origine straniera dichiara di aver vissuto un’esperienza di razzismo; si può quindi immaginare una cifra ancora più elevata nei casi degli immigrati appena arrivati. L’abitudine fa sì che la soglia di tolleranza sia diventata molto alta anche tra le vittime degli atti razzisti.
Confesso che davanti al razzismo da stadio o ordinario (il proprietario del bar di quartiere dove bevevo regolarmente il mio cappuccino a Roma mi chiamava “negretta bella”), a volte tendo a pensare che tutto questo sia troppo ridicolo per essere preso sul serio. Come prendere sul serio le centinaia di tifosi che fanno il verso dello scimpanzé dagli spalti quando un giocatore nero della squadra avversaria tocca la palla?

Posted in Anticlero/Antifa, R-esistenze, Scritti critici.


By anarcofem – gennaio 10, 2012



domenica 8 gennaio 2012

UN REFERENDUM DA FARE

Parlano gli avvocati che difenderanno alla Consulta le ragioni di chi vuole abolire il Porcellum

Di Elisabetta Reguitti sul fatto quotidiano del 8/1/2012

  1. Federico Sorrentino
    “Non resteremo senza una legge” 
     Il professor Federico Sorrentino, avvocato costituzionalista, rappresenterà il comitato referendario dinanzi alla Corte costituzionale difendendo il primo quesito: quello che punta all’abrogazione tout court dell’attuale legge elettorale .
    Perché, secondo lei, il primo quesito è ammissibile?
    Le condizioni stabilite dalla Corte per i referendum sono due: che sia chiaro nel quesito il fine intrinseco della richiesta, e che il referendum - ove approvato - lasci sopravvivere una disciplina elettorale, evitando il vuoto legislativo. Nel nostro caso il fine della richiesta è evidentemente l’abrogazione della legge Calderoli, e, in caso di successo, rimarrebbe applicabile la previgente disciplina, cioè la legge Mattarella.
    Quindi?
    Le Camere non rimarrebbero prive della “provvista elettorale”. Naturalmente, poiché la soluzione della reviviscenza della legge abrogata da quella contro cui si dirige il referendum è tutt’altro che pacifica e la Corte potrebbe disattenderla, noi abbiamo anche posto una questione subordinata.
    Quale?
    Porre in dubbio la legittimità costituzionale della norma della legge sul referendum che prevede la possibilità per il presidente della Repubblicadi differire al massimo di 60 giorni l’efficacia del referendum, in attesa dell’intervento riparatore del Parlamento. Se la Corte teme che, in caso di approvazione del referendum elettorale, si crei un vuoto legislativo e che 60 giorni siano insufficienti perché il legislatore possa intervenire, allora potrebbe sollevare questione sulla costituzionalità di quella norma in quanto non prevede che, in casi come questo, il Presidente della Repubblica possa stabilire termini più ampi per l’intervento riparatore del legislatore .
    Cosa potrebbe succedere se nemmeno in tale eventualità il Parlamento provvedesse a dettare la nuova disciplina?
    Intanto gli effetti del referendum rimarrebbero sospesi, ma sicuramente il Presidente con la sua autorevolezza spingerebbe il Parlamento a intervenire, nella consapevolezza che, dopo un voto popolare che abbia delegittimato la legge elettorale, il Parlamento rischierebbe di delegittimare se stesso.
    Non pensa che il clima che si è creato vada nella direzione di sostenere più la volontà di inerzia dei partiti sulla nuova legge elettorale, piuttosto che la volontà degli oltre 1 milione e 200 mila cittadini?
    Proprio per questa ragione confidiamo che la Corte costituzionale darà il via libera al referendum, restituendo lo scettro agli elettori.
  2. Alessandro Pace
    “La Calderoli è irrazionale”
    Il secondo quesito referendario anti-Porcellum verrà difeso davanti alla Consulta dal costituzionalista Alessandro Pace.
    Professore, che aria tira?
    Io sono ottimista, nonostante le anticipazioni.
    Perché il secondo quesito è ammissibile?
    Per il modo con cui la legge Calderoli ha abrogato la legge Mattarella - e la giurisprudenza della Corte costituzionale non “fa stato”in questo caso - perché fu un modo tutto peculiare. E ora il comitato referendario vuole abrogare norme che sono quasi tutti primi commi dei vari articoli della Calderoli.
    Si spieghi meglio
    Il Porcellum è una legge di pochi articoli, ma tutti molto lunghi. Il refendum non è peculiare per il modo con cui le domande sono formulate, ma per il loro oggetto. ll secondo quesito ha un approccio sistematico, che in passato non era mai stato dato e non comporta il rischio di alcuna manipolazione della legge attuale, perché provocherebbe la cancellazione di parti della Calderoli e riporterebbe
    in vigore il Mattarellum.
    In pratica?
    Il Porcellum verrebbe abrogato su due diversi versanti. Sul primo si mette in luce che è una legge derogatoria ai principi di razionalità dell’ordinamento .
    Perché?
    La clausola di sbarramento è diversificata da una regione all’altra senza motivo; il premio di maggioranza è abnorme; la lista bloccata è una eredità del fascismo.
    E il secondo versante?
    È relativo alla tesi della reviviscenza del Mattarellum: negare che l’abrogazione di norme per via referendaria porti al ripristino della normativa precedente priverebbe di senso lo strumento referendario.
    A chi ritiene che l’esito della decisione della Consulta potrebbe avere ripercussioni sul governo, cosa risponde?
    Dall’esito della decisione della Consulta il governo Monti non ha nulla da temere, perché non si è costituito in giudizio davanti alla Corte costituzionale: il problema di eventuali ripercussioni sull’esecutivo ci sarebbe stato solo se Palazzo Chigi si fosse costituito e venisse smentito da una via libera della Consulta al referendum.
    Quindi il governo...
    Ha tutte le possibilità di trovare un accordo per modificare l’attuale legge elettorale. Voglio ricordare che, pochi mesi fa, fu lo stesso Maroni a dire che, se la questione fosse messa in agenda, basterebbero pochi minuti a trovare un’intesa. In ogni caso, se la riforma della legge elettorale fosse fatta a seguito del via libera della Consulta,dovrebbe seguire scrupolosamente i principi indicati dal comitato promotore del referendum. Altrimenti (come l’anno scorso per il nucleare, ndr) la riforma potrebbe vanificare il referendum.