sabato 29 dicembre 2012

Elezioni, il vero palcoscenico (senza par condicio) è il web - Guido Scorza - Il Fatto Quotidiano

Elezioni, il vero palcoscenico (senza par condicio) è il web - Guido Scorza - Il Fatto Quotidiano

"Il web, però, a differenza della TV consente ed anzi impone forme di interazione con i cittadini costanti, trasparenti e partecipative con la conseguenza che i candidati online dovranno vedersela anziché con conduttori televisivi talvolta compiacenti e talvolta ingessati dalla paura di violare le regole della par condicio, con milioni di utenti che misureranno le parole e le promesse di ciascuno e le contesteranno, criticheranno o, magari, approveranno."
 Spesso la gente, ma sopratutto certi politici e i loro collaboratori, se lo dimenticano tant'è che ho visto commenti che erano super partes cancellati per lasciare solo il posto alla claque dagli applausi facili o siti e/o blog dove i commenti non sono permessi, come dire, dammi il voto ma non permetterti di interagire con me, tranne se non vuoi farmi un applauso o fare il ruffiano, questi metodi di solito, da sta gente che si presenta come democratica di solito sono in voga nelle dittature ergo, se vedete gente restia o non disposta a interagire con le persone negategli nel modo più assoluto il voto perché se il buongiorno si vede dal mattino figuratevi cosa possono fare una volta al potere

lunedì 12 novembre 2012

L'ufficio delle meraviglie di Mancini e Scopelliti

Siamo agli inizi dell'ottobre 2010 e Mancini con le fanfare mediatiche inaugurano la nuova sede degli uffici tributi di Cosenza ove tra le altre cose Scopelliti parla di  volontà e determinazione di questa giovane classe dirigente sempre più proiettata al futuro, che lavora con impegno e determinazione per questa nuova stagione all’insegna del cambiamento

Oggi 11 novembre 2012 dopo 2 anni e un mese dall'inaugurazione chi deve andare, suo malgrado all'ufficio tributi tanto proclamato dal duo Mancini-Scopelliti trova, all'ingresso la macchina per dare i ticket guasta




E questo è solo l'inizio, i numeri li dà Libero (e una volta tanto non parliamo del giornale) mezzi scritti a penna

E gli utenti vanno chiamati a voce in quanto non ci sono ne altoparlanti ne tabelle che segnalino a che numero si sia arrivati, c'è un televisore ma è spento
Ho sottolineato la frase di Scopelliti che parla di Futuro e cambiamento in quanto entrando in quest'ufficio di questi 2 elementi probabilmente c'è ne era parvenza all'inizio e sono durate lo spazio di un mattino in quanto è sembrato di fare un salto 50 anni indietro e non nel futuro.

domenica 11 novembre 2012

Franco Battiato nuovo assessore (MisFatto)

Tratto dalla vignetta di Antonello Romano sul MisFatto del 11/11/2012


Le correnti si sfidano a duello

Incontro tra i sostenitori di Bersani e quelli di Renzi. Il Pd fa autocritica ricordando Caposuvero

Esposti limiti e differenze, ma alla fine un po' tutti si riscoprono "rottamatori"

Di Valerio Panettieri sul quotidiano della Calabria del 11/11/2012


sabato 10 novembre 2012

Sistema (c)ottimo?

L'affidamento diretto di lavori entro cifre ben definite è la pratica più utilizzata dal comune di Cosenza per interventi considerati di massima urgenza

Di Michele Giacomantonio sul Corriere della Calabria n.74



venerdì 9 novembre 2012

La storia di Massimo D'Alema

In occasione della venuta di Massimo D'alema a Cosenza ricordiamo i suoi trascorsi nella politica e i suoi inciuci:
L'articolo è tratto da Max the fox di Marco Travaglio
“Ora è molto tardi per fare una legge sulle intercettazioni e del tutto inopportuno intervenire per decreto. Ma il problema c’è: non è giusto mettere sui giornali la vita privata delle persone. Leggiamo una valanga di intercettazioni che nulla hanno a che fare con vicende penali, ma sono sgradevolmente riferite a vicende personali. Non è una cosa positiva. Occorre proteggere i cittadini”.
Chi l’ha detto? Massimo D’Alema naturalmente. Puntuale come una merchant bank, ogni qualvolta B. è travolto in uno scandalo, arriva la Volpe del Tavoliere a levarlo d’impaccio. O almeno a fare pari e patta. Fa sempre così, da 17 anni.
Breve riepilogo delle puntate precedenti.
Nel ‘94 B. finisce nei guai a Milano per le tangenti alla Finanza: D’Alema finisce nei guai a Bari per un finanziamento illecito di 20 milioni dal re delle cliniche pugliesi, l’imprenditore malavitoso Cavallari (prescrizione).
Nel ’96 B. è politicamente morto e l’Ulivo di Prodi si accinge a una sonante vittoria: Max va in pellegrinaggio a Mediaset per esaltarla come “grande risorsa del Paese” e garantire che non la sfiorerà nemmeno con un dito. B. medita di ritirarsi a vita privata: D’Alema s’inventa la Bicamerale per riscrivere “insieme” la Costituzione, specie sulla giustizia, lo trasforma in padre ricostituente e manda in soffitta il conflitto d’interessi.
Nel ’98 Prodi e Ciampi portano l’Italia in Europa: Bertinotti li rovescia in men che non si dica e l’indomani D’Alema è già pronto con una maggioranza alternativa, rimpiazzando Rifondazione coi ribaltonisti di Mastella, Cossiga e Buttiglione e dichiarando morto l’Ulivo.
Nel ’99 Rete 4 perde la concessione, ma D’Alema – impegnatissimo a sponsorizzare i “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti e Consorte per l’assalto a Telecom – la salva regalandole la licenza per trasmettere in proroga sulle frequenze che spettano a Europa7.
Nel 2001 B. risorge dalle sue ceneri e governa cinque anni: unica opposizione i girotondi, i pacifisti, i no global, infatti D’Alema raccomanda di evitare la piazza.
Nel dicembre 2005 B. è alla canna del gas, dopo aver perso le amministrative e le europee, mentre l’Unione di Prodi ha 15 punti di vantaggio in vista del voto politico del 2006: ma ecco saltar fuori le intercettazioni sull’ultimo colpo di genio di Max, l’appoggio alla scalata illegale dell’Unipol di Consorte alla Bnl (“Vai, Gianni, facci sognare!”). Pari e patta con le scalate di Fiorani e Ricucci ad Antonveneta ed Rcs sponsorizzate dal centrodestra. Così l’Unione si mangia quasi tutto il vantaggio e Prodi vinciucchia per 25 mila voti, troppo pochi per governare senza i ricatti dei partitini.
Nel 2009 B., dopo un anno di governo, è già alla frutta per lo scandalo D’Addario-Tarantini: ben presto si scopre che “Gianpi” le mignotte le portava nei giorni pari a Palazzo Grazioli e in quelli dispari a Sandro Frisullo, vicepresidente della giunta Vendola e dalemiano di ferro. Una Bicamerale a luci rosse.
Nel 2010 B. è di nuovo sputtanato dalle rivelazioni di Wikileaks: Max non può mancare e infatti salta fuori un cablo dell’ambasciatore Spogli a Washington su quel che gli ha confidato D’Alema nel 2007: “La magistratura è la più seria minaccia per lo Stato italiano”. Infatti i giudici baresi arrestano anche l’altro assessore dalemiano di Vendola, Alberto Tedesco, provvidenzialmente rifugiatosi al Senato.
Nel 2011 B. perde comunali e referendum: D’Alema offre un bel governo istituzionale col Pdl. Scandalo P4: Bisignani trafficava con vari ministri, ma accompagnava pure il gen. Poletti da D’Alema (e da chi, se no?). Ora B. ci riprova col bavaglio ai giornali che pubblicano intercettazioni pubbliche. Max The Fox concorda, ma dice che “per una legge è tardi”. Ci penserà lui quando tornerà al governo. Per lui la missione del centrosinistra è sempre stata questa: completare l’opera del centrodestra. Il guaio è che quegli stronzi degli elettori non l’hanno ancora capito.
Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2011

In più sempre su D'alema ricordiamo un video youtube sempre di Marco Travaglio dal titolo "Più dell'inciucio potè D'Alema" per capire quanta "buona politica" abbia fatto D'Alema

martedì 6 novembre 2012

Bersani rinuncia alla segreteria che deve lasciare

Bersani rinuncia alla segreteria che deve lasciare 

 di Pierluigi Magnaschi  su ItaliaOggi del 06/11/2012

Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, parlando a Torino, ha detto che lascerà la segreteria del Pd, nel senso che non si ricandiderà al prossimo congresso nazionale del partito. E lo ha fatto con il suo solito linguaggio immaginifico, di tipo vetero rurale: «Credo», ha infatti detto, «che al prossimo congresso debba girare la ruota».
Illustrazione di Claudio Cadei
I siti internet e i vari blog si sono subito sbracciati davanti a questa che, ai loro occhi, sarebbe una strepitosa notizia politica. Si tratta invece di una semplice ovvietà. Qualora, com'è molto probabile al momento attuale, Bersani dovesse vincere le primarie di coalizione, egli si presenterà, alle elezioni politiche dell'aprile prossimo, come il naturale candidato del centrosinistra alla posizione di presidente del Consiglio. Siccome, stante il livello di smembramento e di decozione del centrodestra, Bersani vincerà molto probabilmente anche le elezioni politiche, il segretario del Pd si troverebbe nella impossibile condizione di dover ricoprire contemporaneamente sia la carica di segretario del partito sia quella di presidente del Consiglio. Da qui la necessità di rinunciare a una di essa. Che è quella di segretario del Pd, visto che non sarebbe valsa la pena sottoporsi al supplizio delle primarie per poi tornare al punto da cui era partito. La stessa soluzione avverrebbe anche nella ipotesi (che, ripeto, allo stato attuale, è molto improbabile) che Bersani perda le primarie. In questo caso infatti Bersani e i suoi supporter (cioè la quasi intera struttura burocratica del partito) subirebbero una sconfitta politica tale che gli equilibri interni del partito dovrebbero essere radicalmente ridiscussi, inventandosi, da una parte e dall'altra, un candidato alla segreteria dei partito diverso sia da Pierluigi Bersani (perché ha perso) sia da Matteo Renzi (perché se ne andrebbe alla presidenza del consiglio). Ecco perché l'attuale segreteria del Pd è da considerare a termine (fino al prossimo congresso del partito che si terrà a metà del 2013) e perché, in ogni caso, Bersani non potrà continuare a essere il segretario del Pd. Ed ecco anche perché, quindi, la notizia della non ripresentazione di Bersani non è una notizia. Non è lui infatti che rinuncia ma le circostanze che lo portano, obbligatoriamente, a rinunciare.

martedì 23 ottobre 2012

venerdì 19 ottobre 2012

«Hanno violentato la suora»

L'appello. In primo grado furono emesse pene severissime. La difesa cita Enzo Tortora.
Il pg chiede la conferma delle condanne per padre Fedele e Gaudio
Di Roberto Grandinetti sul quotidiano della Calabria del 19/10/2012



Max The Fox - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano

Max The Fox - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano
“Ora è molto tardi per fare una legge sulle intercettazioni e del tutto inopportuno intervenire per decreto. Ma il problema c’è: non è giusto mettere sui giornali la vita privata delle persone. Leggiamo una valanga di intercettazioni che nulla hanno a che fare con vicende penali, ma sono sgradevolmente riferite a vicende personali. Non è una cosa positiva. Occorre proteggere i cittadini”.
Chi l’ha detto? Massimo D’Alema naturalmente. Puntuale come una merchant bank, ogni qualvolta B. è travolto in uno scandalo, arriva la Volpe del Tavoliere a levarlo d’impaccio. O almeno a fare pari e patta. Fa sempre così, da 17 anni.
Breve riepilogo delle puntate precedenti.
Nel ‘94 B. finisce nei guai a Milano per le tangenti alla Finanza: D’Alema finisce nei guai a Bari per un finanziamento illecito di 20 milioni dal re delle cliniche pugliesi, l’imprenditore malavitoso Cavallari (prescrizione).
Nel ’96 B. è politicamente morto e l’Ulivo di Prodi si accinge a una sonante vittoria: Max va in pellegrinaggio a Mediaset per esaltarla come “grande risorsa del Paese” e garantire che non la sfiorerà nemmeno con un dito. B. medita di ritirarsi a vita privata: D’Alema s’inventa la Bicamerale per riscrivere “insieme” la Costituzione, specie sulla giustizia, lo trasforma in padre ricostituente e manda in soffitta il conflitto d’interessi.
Nel ’98 Prodi e Ciampi portano l’Italia in Europa: Bertinotti li rovescia in men che non si dica e l’indomani D’Alema è già pronto con una maggioranza alternativa, rimpiazzando Rifondazione coi ribaltonisti di Mastella, Cossiga e Buttiglione e dichiarando morto l’Ulivo.
Nel ’99 Rete 4 perde la concessione, ma D’Alema – impegnatissimo a sponsorizzare i “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti e Consorte per l’assalto a Telecom – la salva regalandole la licenza per trasmettere in proroga sulle frequenze che spettano a Europa7.
Nel 2001 B. risorge dalle sue ceneri e governa cinque anni: unica opposizione i girotondi, i pacifisti, i no global, infatti D’Alema raccomanda di evitare la piazza.
Nel dicembre 2005 B. è alla canna del gas, dopo aver perso le amministrative e le europee, mentre l’Unione di Prodi ha 15 punti di vantaggio in vista del voto politico del 2006: ma ecco saltar fuori le intercettazioni sull’ultimo colpo di genio di Max, l’appoggio alla scalata illegale dell’Unipol di Consorte alla Bnl (“Vai, Gianni, facci sognare!”). Pari e patta con le scalate di Fiorani e Ricucci ad Antonveneta ed Rcs sponsorizzate dal centrodestra. Così l’Unione si mangia quasi tutto il vantaggio e Prodi vinciucchia per 25 mila voti, troppo pochi per governare senza i ricatti dei partitini.
Nel 2009 B., dopo un anno di governo, è già alla frutta per lo scandalo D’Addario-Tarantini: ben presto si scopre che “Gianpi” le mignotte le portava nei giorni pari a Palazzo Grazioli e in quelli dispari a Sandro Frisullo, vicepresidente della giunta Vendola e dalemiano di ferro. Una Bicamerale a luci rosse.
Nel 2010 B. è di nuovo sputtanato dalle rivelazioni di Wikileaks: Max non può mancare e infatti salta fuori un cablo dell’ambasciatore Spogli a Washington su quel che gli ha confidato D’Alema nel 2007: “La magistratura è la più seria minaccia per lo Stato italiano”. Infatti i giudici baresi arrestano anche l’altro assessore dalemiano di Vendola, Alberto Tedesco, provvidenzialmente rifugiatosi al Senato.
Nel 2011 B. perde comunali e referendum: D’Alema offre un bel governo istituzionale col Pdl. Scandalo P4: Bisignani trafficava con vari ministri, ma accompagnava pure il gen. Poletti da D’Alema (e da chi, se no?). Ora B. ci riprova col bavaglio ai giornali che pubblicano intercettazioni pubbliche. Max The Fox concorda, ma dice che “per una legge è tardi”. Ci penserà lui quando tornerà al governo. Per lui la missione del centrosinistra è sempre stata questa: completare l’opera del centrodestra. Il guaio è che quegli stronzi degli elettori non l’hanno ancora capito.
Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2011

giovedì 18 ottobre 2012

Cosenza, la beffa dei cori razzisti

Una decisione assurda per fatti mai avvenuti al San Vito. Mortificata la storia di un intera città
Il giudice sportivo punisce i tifosi rossoblù, da sempre contro le discriminazioni
Di Alfredo NardiAntonio Morcavallo sul quotidiano della Calabria del 18/10/2012



Scrive il quotidiano:
La società è chiamata a farsi sentire.
Anche, per difendere il proprio buon nome che la propria tifoseria si è guadagnato in decenni di partite, curve, trasferte in giro per l'Italia.
Una tifoseria che ora si trova multata come la Juve, il Verona, il Padova, il Brescia, il Grosseto e l'Atalanta: «per denigrazione per motivi di razza».
 Basti ricordare l'impegno degli Ultrà Cosenza al fianco di Padre Fedele Bisceglia, sin dagli anni Ottanta, in Africa per cercare di portare un aiuto agli ultimi.
Altro che razzismo.


domenica 7 ottobre 2012

Reggio Calabria, impiccata al cappio della ‘ndrangheta

Di Enrico Fierro sul fatto quotidiano del 07/10/2012

La città è col cappio al collo.
Stretto da una classe dirigente di ex fascisti diventati berlusconiani in doppio petto che ha portato il Comune sull’orlo del fallimento, infarcito la Regione di onorevoli che si inginocchiavano davanti a un boss in cambio di voti, o che al Café de Paris brindavano con mafiosi calabro-lombardi, oppure  – ed è l’infamità più grande – che ingannavano giovani disoccupati promettendo inesistenti posti di lavoro.
REGGIO  Calabria aspetta e trema.
Ormai non ci saranno più rinvii, il prossimo consiglio dei ministri deciderà se sciogliere il consiglio comunale per mafia e inviare una task-force di commissari.
Perché la ‘ndrangheta comanda a Reggio, ha eletto consiglieri comunali, ha parenti che sono pure assessori, è dentro le municipalizzate.
Il governo deciderà martedì, è la voce che rimbalza nei corridoi di Palazzo San Giorgio, la sede del Comune. E allora gli uomini di Berlusconi nella Fortezza Bastiani azzurra in riva allo Stretto, si ricordano di essere anche gli improbabili eredi di Ciccio Franco, il leader della rivolta del 1970.
Si appellano alla “rigginità”e chiamano alle armi.
Un manifesto firmato da 500 “personalità”, una manifestazione di studenti al grido d“non commissariate il nostro futuro”.
Due flop.
Perché alcuni firmatari dell’appello si sono dissociati e gli studenti in piazza erano una trentina.
Non è più tempio di rivolte.
MA DI CACCIA ai nemici sì, nel regno di Giuseppe Scopelliti, l’ex giocatore di basket diventato prima sindaco della città e poi governatore della Calabria.
“Vogliono alla gogna i nemici della città, i pochi non allineati al sistema. La verità è che stanno perdendo la testa, sentono che la stagione dell’impunità è finita e puntano sull’inganno della regginità. Come dire? Se finiamo nel baratro noi, ci finite tutti”.
La scrittrice Paola Bottero affonda senza pietà le mani negli angoli più oscuri del potere e nelle pieghe più purulenti della sua città.
“Reggio è grigia –dice – perché ormai ovunque, anche dove le ‘ndrine non sono arrivate, si respira questa cultura mafiosa, si cerca l’appartenenza a questa o quella fazione”.
Tremano i palazzi della politica e i loro voraci abitanti, portaborse, consulenti, gente che vive all'ombra del potere.
Guardano con allarme alle decisioni di Roma, e ancora di più alle notizie che filtrano dai brutti uffici del Cedir.
Un ginepraio di cemento e vetri dove lavorano i pm dell'antimafia.
Si parla di inchieste che colpiranno i “centri di potere della città ancora nell’ombra”, la massoneria e quei “tavolini” che guardano con interesse sia a destra che a sinistra.
Chi si gioca tutto è Giuseppe Scopelliti, l’inventore del “Modello Reggio”, festa, farina e forca (con le passeggiate in centro di Valeria Marini e dei Lele Mora boys) e l’illusione della città metropolitana.
Il risultato è un debito del Comune impossibile da quantificare e un disavanzo che oscilla tra i 160 e i 180 milioni.
Lui, il sindaco Demi Arena, e i politici che gli fanno da contorno, suonano la carica di una improbabile riscossa.
E negano un dibattito sulla legalità chiesto da un migliaio di aderenti all’associazione “Reggio Non Tace”. Brava gente che si è dovuta rivolgere al Tar per vedersi riconosciuto il diritto a un’assemblea sulla legalità, che il sindaco non vuole fare.
A tutti i costi, anche appellandosi al Consiglio di Stato.
Mezzucci.
L’eclissi violenta di un potere è iniziata.
Altri uomini, con insegne politiche diverse, sono pronti a sedersi allo stesso tavolino con i centri di potere occulto per fare il gioco di sempre.
Mangiarsi Reggio.

venerdì 5 ottobre 2012

«Non chiamatemi rottamatore»

L'ex sindaco parla dello stato di salute del Pd, i "guasti" delle preferenze e degli errori del passato

Salvatore Perugini spiega perché ha scelto Renzi, oggi in arrivo in città

Intervista di Maria Francesca FortunatoSalvatore Perugini sul quotidiano della Calabria del 05/10/2012




«Io sono un malandrino»

I dialoghi intercettati di Fuoco, principale indagato dell’inchiesta
Di Marco Cribari su Calabria ora del 04/10/2012

Oscar Fuoco non è il presidente, né un alto dirigente dell'Aterp.
Addetto alla manutenzione, rispondeva agli ordini del suo capoufficio, Giovanni Mazzuca, ma solo sulla carta.
«Sennò lui come ci diventava capoufficio? Ce l'ho fatto diventare io», spiegava lui stesso al telefono, ignorando di essere intercettato. Un semplice impiegato, dunque, ma in grado di influire sulle nomine dei funzionari, di redigere ordini di servizio per l'affidamento dei lavori e, più in generale, di determinare tutto ciò che c'era da determinare all'interno dell'azienda delle Case popolari.
Bum, dirà qualcuno, ma esagerato o no che sia, sembra che i politici e gli amministratori locali si rivolgessero effettivamente a lui per avere informazioni o, come scrive il gip: «ottenere trattamenti di favore».
Dal canto suo, poi, Fuoco non faceva fatica a riconoscere su di sé i segni del comando: «La differenza tra me e te, sai qual è? - raccontava a un compiacente interlocutore, vantandosi di una precedente conversazione avuta con un superiore in grado - Io vengo con il vestito, io cammino con un orologio, un Rolex, io cammino
con una macchina che costa. Questa è la differenza tra me e te».
Un punto di vista oggettivo, secondo lui, talmente pacifico da consentirgli di scrutare l'anima del prossimo («Capisco perché ti suscito invidia, ma non è colpa mia se sei nato così»).
Perché nel suo disegno d'onnipotenza, che ormai trascendeva quasi dalla dimensione terrestre, Oscar Fuoco non era più un semplice dipendente dell'Aterp: Oscar Fuoco, semmai era l'Aterp. «Se io mi prendo un impegno, per me è un impegno personale. Non c'entra l'Aterp, c'entra Oscarino Fuoco».
Basta il nome, insomma, soltanto quello.
Anche perché, «io sono un malandrino», diceva con orgoglio al telefono.
Disinvolto, forse troppo.
Probabilmente, fu questo uno dei motivi per cui, a metà degli anni '90, anche lui si ritrovò coinvolto nel processo “Garden”.
Proprio così, la maxi-inchiesta contro le cosche cosentine, faceva registrare il nome di Oscar Fuoco al numero sedici nell'elenco degli imputati.
Erano i tempi in cui curava le aste per conto del Comune, ma a un certo punto si ritrovò anche lui nel tritacarne giudiziario perché, un bel giorno, il boss pentito, Franco Pino, si ricordò di lui: «E' stato associato a noi. Siamo, diciamo, all'81, ma per un brevissimo periodo, si può dire due mesi, tre mesi, quattro mesi, non di più. Forse sono anche troppo quattro mesi».
E difatti, nessun altro collaboratore di giustizia confermò quelle dichiarazioni. Da Ciccio Tedesco a Roberto Pagano, passando per Angelo Santolla e Nicola Notargiacomo, nessuno aveva sentito parlare di Oscar Fuoco come “affiliato” a un gruppo criminale, tant'é che il verdetto finale fu di assoluzione «per non aver commesso il fatto».
Pagò, in quel caso, le cattive frequentazioni di gioventù e qualche intemperanza di troppo, ma quel processo “Garden” segnò anche il de profundis del Fuoco “malandrino”, o presunto tale.
Fu un brutto momento, ma il Nostro ne uscì alla grande, tant'é che, dieci anni dopo, nel 2006, eccolo candidato alle elezioni comunali nella lista “La Rosa nel Pugno”, a sostenere la candidatura di Giacomo Mancini a sindaco.
Risultato lusinghiero (144 preferenze), ma niente elezione in Consiglio.
«Lo so, suscito invidia. Perché purtroppo il carattere è questo», dirà in seguito al solito e sempre più ammirato interlocutore.
Per convincere il giudice, però, serviranno altri argomenti.

giovedì 4 ottobre 2012

Aterp, la "filiera istituzionale" dell'abusivismo - Corriere della Calabria

Aterp, la "filiera istituzionale" dell'abusivismo - Corriere della Calabria

La “filiera istituzionale” di Oscar Fuoco partiva da casa (tra gli indagati ci sono suo figlio, Oscarmaria, e sua moglie, la dipendente dell'Ufficio anagrafe del Comune di Cosenza, Maria Leonetti) e finiva nelle stanze dell'Aterp e di Palazzo dei bruzi. Nei faldoni custoditi in Procura sono finiti dirigenti e dipendenti. Colletti bianchi responsabili, secondo i magistrati, di aver chiuso un occhio e agevolato gli affari di Fuoco e dei clan cosentini che gli si rivolgevano.
Il fulcro del sistema era il funzionario dell'agenzia per l'edilizia popolare, che conosceva bene le condizioni di illegalità ma si guardava dal denunciarle. In piazza Clausi Schettini una serie di immobili non abitabili era stata trasformata in appartamenti. E Fuoco, secondo la Procura, era accondiscendente con i locatari. Di più: nella rete dell'inchiesta finisce anche Giuseppe Marchese, ex direttore generale dell'Aterp, che il 5 marzo 2010, presentava «all'Ufficio tecnico del Comune di Cosenza, richiesta del permesso di costruire per l'ampliamento e il cambio di destinazione d'uso dei locali» di quell'immobile.
È come se tutto il sistema si muovesse per agevolare gli interessi dei “proprietari” abusivi di quegli alloggi. Perché Pietro Mari, direttore del settore tecnico dell'Aterp e già storico esponente del socialismo manciniano (è stato anche assessore provinciale all'Urbanistica), «per aderire a “reiterate richieste verbali da parte di cittadini, accompagnate anche da presentazioni da parte di consiglieri circoscrizionali”, chiedeva di predisporre un progetto per la trasformazione di portici di fabbricati Erp siti in via Popilia, in locali commerciali». Un modo per trasformare in negozi delle strutture abusive.
L'unico ad accorgersi che qualcosa non va è un tecnico del Comune (al quale Fuoco fa capire che «gli abusi edili erano stati commessi da persone poco raccomandabili»). La sua segnalazione negativa arriva al Comune. E lì c'è un nuovo colpo di scena: la segnalazione «veniva ricevuta personalmente, in data 14 giugno 2010, dall'architetto Sabina Barresi, dirigente del settore Pianificazione del territorio del Comune di Cosenza, la quale, tuttavia, anziché provvedere alla demolizione degli abusi, confermava il parere favorevole al rilascio del permesso».
Dal direttore generale al direttore del settore tecnico fino al dirigente comunale: tutti insieme nell'iter che agevola le occupazioni abusive. Tutto da passare al vaglio delle indagini in corso. Ma anche tutto piuttosto inquietante.
Pratiche che passavano di livello in livello. Partendo dal più alto, quello di Giuseppe Marchese, il direttore generale «che qualificava gli interventi come “ampliamento” laddove, invece, si trattava di immobili interessati da interventi edilizi abusivi già realizzati e non sanabili in quanto in contrasto con gli strumenti urbanistici», per spingersi fino a quelli intermedi. Per i magistrati, Pietro Mari ha una «condotta partecipativa alla realizzazione dei falsi ideologici», perché avrebbe spinto per la sanatoria degli abusi e per la successiva realizzazione delle nuove attività commerciali.
Tutti d'accordo, secondo l'accusa, dietro la “sapiente” regia di Oscar Fuoco. L'anello di congiunzione tra i clan che avevano bisogno di favori “edilizi” e i colletti bianchi. E l'uomo di riferimento delle ditte che volevano lucrare sui lavori dell'Aterp. Un filone dell'inchiesta della Procura di Cosenza si occupa anche di questo aspetto e della curiosa assegnazione di alcuni lavori di “somma urgenza” per una frana a Castiglione Cosentino. Peccato che i lavori siano stati affidati a quasi tre anni dall'evento. Un altro dei paradossi del sistema Aterp. Che si cibava, secondo i magistrati, anche della diffusione di dati riservati. In questa branca dell'inchiesta sono indagati la moglie di Fuoco, Maria Leonetti, e Raffaele Gentile, dipendente dell'Aterp e sindacalista della Uil, fratello di Pino e Tonino Gentile, rispettivamente assessore regionale e senatore del Pdl.

mercoledì 3 ottobre 2012

Parte l’assalto dei renziani a un Pd sempre più diviso

Servizi di Saverio Paletta su Calabria ora del 03/10/2012

  • Cresce il sostegno al “rottamatore”, che venerdì torna in Calabria

    Certe pulsioni sono come il mare: non c’è diga che basti a trattenerle, se non si prepara per tempo un
    sistema di canali che le indirizzino e, perché no?, a volte le smorzino. E che questi canali fossero i congressi lo dimostra il consenso che Matteo Renzi sta riscuotendo in Calabria, dove riapproderà venerdì. Il toscanaccio non ha ancora varcato Lagonegro che già le file dei “suoi” crescono di
    ora in ora. Già: senza dibattiti pubblici e votazioni interne in che altro modo potrebbe sfogarsi la dialettica interna del Pd? Questo per restare alla “fisiologia”. Ad essere più maligni, si potrebbe chiedere: in che altro modo potrebbero trovare spazi adeguati gruppi e personalità che soffrono il
    commissariamento come una camicia di forza? Chiaro che, in questa situazione, le primarie prendano il posto dei congressi mancati.
    Ora, forse i comitati pro Renzi non sono (ancora) una corrente. Ma le somigliano moltissimo sin d’ora. E, come ogni corrente che si rispetti, hanno la loro brava “mozione”: un documento, straordinariamente sobrio se comparato ai papelli cui il Pd calabrese ci ha abituato per anni, firmato da un bel po’ di dirigenti e notabili del partito (per quanto ancora?) di Bersani. Tra questi spiccano Demetrio Naccari Carlizzi (assemblea nazionale Pd), per il comitato Renzi Adesso di Reggio Calabria, Giuseppe Basilee Stefano Viola, per il comitato Renzi Adesso della Locride, Peppe Campisi (il sindaco di Ardore), Vincenzo Bombardierie Pino Mammolitiper il comitato Renzi Adesso della Piana, e Michele Spanò. Su Crotone il renziano di punta è Pino Megna, dell’assemblea nazionale del
    Pd, e a Vibo Domenico Petrolo. A Catanzaro reggono il vessillo toscano Tonino Costantino(consigliere comunale a Lamezia), Francesco Cortellaro (del comitato Renzi “Adesso” Lametino), Michele Drosi(il sindaco di Satriano) e Ernesto Palma, docente universitario a Catanzaro. E ancora Mario Muzzì, già candidato alla segreteria regionale. Per tacere del battaglione cosentino, capitanato da Salvatore Perugini, l’ex sindaco di Cosenza e in cui spiccano vari esponenti politici, tra cui Ernesto Magorno, il sindaco di Diamante. E proprio a Cosenza, dove tornerà venerdì, a un anno e mezzo di distanza dalle precedenti amministrative, in cui si era speso per Perugini, il sindaco di Firenze inizierà il tour calabrese. E il documento? È un piccolo vademecum politico, in cui si parte da considerazioni generali sulla Calabria e in cui, per quanto sfumate, le critiche alla due giorni lametina “baciata” da Bersani sono percepibili: «Il metodo dell’incontro e il messaggio finale tradiscono una sorta di debolezza di visione che rischiano di ridurre lo sforzo alla celebrazione di un rito e di un passaggio solo formale perché senza capacità di innovazione». Stesso discorso per la “mozione Calabria”, ritenuta poco più che un’intenzione lodevole. Va da sé che il succo sta altrove, dove gli autori della mini mozione affondano il coltello. «Troppo spesso abbiamo subito l’imposizione di una parte di rappresentanti ormai lontani dalla nostra regione, che non conoscono realmente i problemi dei territori e che sono scelti a dispetto del consenso popolare», scrivono i renziani. Che passano dai problemi della democrazia punto a quelli, che a loro premono di più, della democrazia interna: «Noi non proponiamo alcuna apologia delle preferenze ma riteniamo che ormai si sia superato il limite della logica nella difesa diretta o indiretta di un sistema che è fondato su una cooptazione che ha già dato, almeno in Calabria, pessimi frutti». E giù un’altra “botta”: «Non è un caso che i primi dei non eletti del Pd alla Camera ed al Senato siano addirittura i fratelli dei sindaci Pdl di Catanzaro e Reggio». Serve altro per far capire che le primarie si annunciano senza esclusione di colpi?

  • Aspettando il rottamatore
    I “renziani” affilano le armi
    Perugini guida il gruppo che sostiene il sindaco di Firenze

    Sobrio e moderato in consiglio comunale, Salvatore Perugini resta pacato pure quando si prepara a salire sulle barricate. Cioè ad accogliere per la seconda volta in città Matteo Renzi, che inizierà proprio da Cosenza il suo “tour” calabrese venerdì prossimo. Le amministrative sono lontane e parecchie cose sono cambiate dall’ultima visita del rottamatore di Firenze. Allora, circa un anno e mezzo fa, il toscanaccio era venuto a dar forte all’ex collega sindaco cosentino. Altri tempi, altre ferite. Ora Renzi verrà per lanciare una sfida seria a tutta la classe dirigente del Pd: le primarie, vissute completamente “dal basso”, senza il contorno di parlamentari, consiglieri regionali e tanti amministratori “che contano”. Così è stato altrove e così in Calabria sarà “di più”. Il “rinnovamento”? «Non è una questione di anagrafe ma di idee e di proposte», ha dichiarato ieri al Museo del presente di Rende l’ex primo cittadino di Cosenza. «E io mi ritrovo in quelle di Renzi», ha chiosato. Perugini non si presenterà alla conta da solo: con lui ieri mattina c’era un gruppo di amministratori e dirigenti di
    partito di tutte le età, a partire da Ernesto Magorno per continuare con Giuseppe Rizzo, il sindaco di Cerzeto e Roberto Rizzuto, il suo collega di Villapiana. Più qualche outsider come Francesco Silvestri,
    consigliere comunale di Verbicaro di estrazione diessina. E non mancavano, visto che di rinnovamento trattasi, i giovani, con e senza virgolette, come Davide Lauria, il coordinatore dei renziani di Montalto Uffugo e Luigi Gagliardi, il responsabile provinciale dei comitati pro Renzi. Piccoli ma cresceranno? Difficile a dirsi, ma loro ci sperano: «La partecipazione si costruisce dal basso», ha insistito Perugini, a cui proprio non riesce di essere battagliero neppure quando combatte. Già, perché quando si parla di rinnovamento non c’è nulla da fare: tocca rimboccarsi le maniche e lottare. E poco importa che lo si faccia con la salacia toscanissima di Renzi o col vigore di molti di questi giovani che, negando a sé stessi ogni evidenza, si preparano a costruire una corrente.
    Che gli riesca o meno, è da vedere. Loro ce la mettono tutta per far capire che la “democrazia dei sindaci” è una cosa nuova e non un’aspirazione irrealizzata dei primi ’90. Di fronte al cambiamento ogni esigenza diventa secondaria. «O si cambia o si muore», ha dichiarato in una battuta finale Silvestri. A cui, con tutta probabilità, è sfuggito che questa frase era stato detta da qualcuno in ben altre situazioni e di ambienti politici ben diversi. Ora non resta che aspettare il toscanaccio. 

domenica 30 settembre 2012

ENZO TORTORA, TRA RICORDO E CINISMO

Di Andrea Scanzi sul fatto quotidiano del 29/09/2012

È labile il confine tra onorare la memoria e strumentalizzarne i riverberi. Giovedì Porta a porta ha parlato di Enzo Tortora. RaiUno trasmetterà domani e lunedì Il caso Enzo Tortora. Dove eravamo rimasti?. Scritta da Simona Izzo e Giancarlo De Cataldo, la fiction si basa su Fratello segreto di Anna Tortora e Applausi e sputi di Vittorio Pezzuto. In studio c’era Ricky Tognazzi, ex Carcioghiotto Rapper, regista e protagonista delle due puntate. Non mancava Paola Ferrari, chiamata per ricordarci quanto la tivù non sia migliorata:
ieri la Domenica Sportiva la illuminava Tortora, oggi lei. Uno degli avvocati di Tortora ha provato a distinguere tra chi ha alimentato un’ingiustizia feroce e chi, in Appello e Cassazione, assolse con formula piena il presentatore.
BRUNO VESPA sembrava quasi infastidito.
Molto più redditizio, tra un aneddoto e l’altro di Paolo Limiti, mazzolare pentiti (tutti) e magistrati (tutti?). Usando un “caso” celebre per fiaccare il giustizialismo. A 24 anni dalla morte, Enzo Tortora resta argomento ipersensibile. Le figlie Silvia e Gaia, con garbo raro, hanno preso le distanze dalla fiction. Forse perché potrebbe rivelarsi troppo rosa; forse perché in troppi la stanno già cavalcando; forse perché il cast non
risulta epocale. E forse perché un padre pubblico si preferisce ricordarlo in privato. Tortora era uomo di grande cultura, a molti antipatico anche per quello. Capace di anticipare meglio e peggio della tivù (Portobello), come pure di polemizzare tenacemente con chi riteneva meritevole dell’affondo (Gaber). Nazionalpopolare “nonostante” il suo scibile, unicum affascinante e stranissimo. Difficilmente raccontabile. Quello che l’ha fatto meglio è stato Antonello Piroso, in un monologo teatrale meticoloso e impietoso. Al “Tortora camorrista” vollero credere in tanti. Anche quelli che ora giocano allo Scarabeo del garantista.
Tortora si beccò più di 10 anni, e un cancro verosimilmente psicosomatico, per colpa di pentiti megalomani.
Giovanni Pandico lo mise nel mirino perché la redazione di Portobello aveva perso i suoi centrini (non è una battuta). Pasquale Barra era noto per avere sventrato Francis Turatello.E Giovanni Melluso, che in aula lo chiamava “Enzino”, due anni fa ha serenamente ammesso a L’Espresso che quelle accuse erano inventate.
Errori, storture. Niente prove. Arresto in favore di telecamere, carcere preventivo. Da divo a reietto in un attimo. Rivedere le arringhe di Diego Marmo, Pm nel processo di primo grado, con la bava alla bocca (letteralmente), mette ancora imbarazzo. Come la sentenza del 1985, che definiva Tortora “cinico mercante di morte”. Un incubo kafkiano, durato quattro anni, che solo grandissimi registi saprebbero narrare. E troppi situazionisti continuano a strumentalizzare

venerdì 28 settembre 2012

Il sindaco dichiara guerra alle prostitute da marciapiede

Dall'articolo su Calabria ora del 28/09/2012 di Stefania Sapienza, di nome ma non certo di fatto, si evince come abbiamo a che fare con l'ennesimo sindaco "sceriffo", questa volta Franco Tonnara il sindaco di Amantea, che vuole usare i metodi restrittivi e punitivi tanto cari al Pdl che ha inaugurato la stagione con il ddl Carfagna scritto con i piedi e a frange ultracattoliche quali l'istituto Papa Giovanni XIII.
Purtroppo non sono tutti sindaci illuminati come Luigi De Magistris, con la sua idea di un quartiere ad hoc, naturalmente ostacolato dalla più crassa ignoranza o del sindaco di Ravenna con la stessa idea.
L'articolo della Sapienza poi è un corollario incredibile di banalità: definisce i clienti spendaccioni e sporcaccioni con quale metro di misura non si sa, forse solo in base ai suoi luoghi comuni


Stop al “sesso a pagamento”. Da oggi, insomma, “famolo gratis”.
Il sindaco di Amantea, Franco Tonnara, ha deciso di dichiarare guerra alle prostitute da marciapiede, ma anche ai loro affezionati clienti, spendaccioni e sporcaccioni. Attraverso l’ordinanza contingibile e urgente numero 160 del 26 settembre scorso, il primo cittadino ha infatti gettato le basi per tentare di mettere la parola fine all’attività di “meretricio” nel territorio del suo Comune, ormai divenuto famoso o, meglio, famigerato, anche nella confinante provincia di Catanzaro. La prostituzione, infatti, «pur essendo attività di per sé non proibita dalla legge, costituisce grave disagio per i cittadini, un forte segnale di degrado sociale nonché un pregiudizio per la vocazione turistica», spiega Tonnara.
Amantea, tra l’altro, ci perde la faccia. Ma v’è dell’altro. Il primo cittadino è infatti convinto che «tali fenomeni possono impedire e/o rendere difficoltosa la libera fruizione di strade e spazi pubblici», visto che è ormai dato acclarato e documentato che «in varie parti del territorio comunale si verificano problematiche legate al fenomeno della prostituzione» le quali «possono dar luogo sia a fatti criminosi quali lo sfruttamento, sia a comportamenti lesivi del pubblico decoro».
Il sindaco, in poche parole, ordina agli automobilisti, per il periodo che va «dall’1 ottobre 2012 e fino al 31 dicembre 2012» (come dire: dal 1° gennaio scatenatevi tutti!), che «transitano sulla pubblica via e su tutte
le aree soggette a pubblico passaggio del territorio comunale», di stare attenti a quei «soggetti in atteggiamento particolare e con abbigliamento scollacciato atti ad attirare l’attenzione dei conducenti e che appaiono dediti all’offerta di prestazioni sessuali a pagamento». A costoro, in particolare, il sindaco ordina di «evitare brusche frenate o rallentare improvvisamente», ma anche di «non eseguire manovre di accostamento e/o fermata anche dichiaratamente solo per chiedere informazioni». Gli stessi comportamenti sono vietati anche quando i “clienti” delle affascinanti (si fa per dire) “squillo” fanno scendere queste ultime dai loro mezzi, dopo aver ricevuto momenti di intenso piacere… pagato a caro prezzo.
Ma ce n’è anche per le prostitute, le quali non possono «assumere atteggiamenti, modalità comportamentali né indossare abbigliamenti tali da offendere la pubblica decenza che manifestino inequivocabilmente l’intendimento di offrire prestazioni sessuali a pagamento».

giovedì 27 settembre 2012

A casa delle “bocche di rosa”, foglio di via per 4 portoricane


Di Saverio Paletta su Calabria ora del 27/09/2012

Sarà che, per quanto antico, il mestiere della prostituzione dà sempre nell’occhio, a prescindere dalla discrezione di chi lo pratica. Sarà pure che il centro della città è destinato “solo” alle attività commerciali, agli enti pubblici e agli studi professionali e quindi certe professioni sono incompatibili. Fatto sta che ieri pomeriggio i carabinieri del Nucleo operativo e della Stazione di Cosenza si sono recati in viale Trieste per perquisire un appartamento. Non un appartamento qualsiasi, ci mancherebbe: si trattava del domicilio e del “luogo di lavoro” di quattro cittadine portoricane dedite all’antichissimo mestiere. Che praticavano, stando pure ai risultati della perquisizione, con competenza tecnica e spirito manageriale. E pure con un certo successo, dato il viavai di clienti e curiosi. Le quattro donne – di età compresa tra i 41 e i 29 anni: abbastanza giovani per essere piacenti e sufficientemente mature per essere esperte – esercitavano, secondo le numerose segnalazioni giunte ai militari dell’Arma, a viale Trieste, a corso Mazzini e corso Umberto, parrebbe anche in pieno giorno.
Brave imprenditrici di sé stesse, non si sarebbero limitate all’esposizione dei prodotti “in vetrina” ma sarebbero ricorse a varie tecniche pubblicitarie: inserzioni sui giornali, annunci on line e via discorrendo. Non a caso i carabinieri hanno trovato nell’appartamento-azienda quindici telefonini con cui, presumibilmente le quattro avrebbero gestito i contatti con la clientela più affezionata. Una clientela, tra l’altro, non poco esigente, come testimonia l’assortitissimo arsenale da sexy shop trovato nell’appartamento. Già: la tecnologia cambia davvero tutto e, soprattutto nelle attività più “tradizionali”, aggiornarsi è una regola di sopravvivenza. Il tutto a prezzi modici: circa 50 euro per una prestazione. Quel che si dice saper stare nel mercato. Non finisce qui: oltre ai telefonini e ai “gadget” i militari hanno trovato alcuni grammi di marijuana. Ma questo è solo un piccolo dettaglio. Ben altri elementi saranno stati notati, nell’ultimo periodo, dagli abitanti della zona che, come nella canzone di De André, hanno deciso che quattro bocche di rosa in centro erano troppe. Le portoricane riceveranno il foglio di via. Un peccato per loro, che di sicuro non sono delle sprovvedute, come dimostra il fatto che avevano una regolare residenza in Italia (due di loro risiedevano a Follonica, una a Viterbo e una a Montecatini). Le ha tradite, forse, solo l’eccessivo successo dell’attività. Che ha finito col dare troppo nell’occhio. Pure più di tutto il resto.

mercoledì 26 settembre 2012

Forastefano e Giravite non volevano "lucciole"

Continuano intanto le sanzioni alle prostitute e ai clienti

Di Rossella Molinari su Calabria ora del 26/09/2012

Prosegue senza sosta l’attività delle forze dell’ordine a contrasto della prostituzione su strada, al fine di debellare il fenomeno e stroncare gli interessi criminali connessi.
I carabinieri della Compagnia di Corigliano diretta dal capitano Pietro Paolo Rubbo, continuano a monitorare il degradante spettacolo in bella mostra lungo la statale 106 jonica (sia sul vecchio tracciato sia sul raddoppio) identificando le “lucciole” che, ogni giorno, proprio lì, diventano protagoniste di un vero e proprio mercato della carne.
E nel periodo tra il 17 e il 23 settembre scorsi, i militari hanno identificato cinque prostitute, di nazionalità romena, per le quali, in ottemperanza a quanto previsto dall’ordinanza comunale n. 82 del 22 maggio scorso, è scattata la sanzione per “invito al libertinaggio”.
Parallelamente, sono stati sottoposti a controllo anche due automobilisti in sosta lungo i margini della carreggiata al fine di contrattare le prestazioni sessuali con le lucciole.
Per entrambi sono scattate le contravvenzioni sia per la violazione delle norme del codice della strada, sia in base ai dettami dell’ordinanza anti-prostituzione.
Un fenomeno presente ormai da anni sul territorio coriglianese e cassanese, che tempo addietro, indusse le due amministrazioni ad adottare ordinanze ad hoc nel tentativo di porvi un freno.
Proprio lo sfruttamento della prostituzione è, inoltre, al centro di un verbale reso nel maggio 2011 da Antonio Forastefano (foto in alto a destra) l’ex boss cassanese che ha deciso di collaborare con la giustizia, nel quale viene rievocato un colloquio ad hoc avuto diversi anni prima con Antonio Bruno alias “Giravite” ritenuto a capo della mala coriglianese e trucidato a colpi di kalashnikov il 10 giugno 2009.
«Abbiamo parlato delle numerose prostitute che c’erano nella zona di Corigliano – raccontava in quel verbale Forastefano al pm antimafia Vincenzo Luberto - e Antonio Bruno mi diceva che si stava prodigando al fine di evitare questo fenomeno.
Del resto, anch’io avevo dato mandato ai miei uomini di malmenare alcune che “lavoravano” sulla strada che porta alle terme di Spezzano».
Un fenomeno che non piaceva e la cui scarsa “tolleranza” da parte dei cosiddetti “uomini d’onore” emerge anche in altre inchieste.


Quando lo stato e l'antistato camminano a braccetto nell'ipocrisia

lunedì 24 settembre 2012

Stupratore o perseguitato? + aggiornamenti

Parte oggi il processo d’Appello contro Padre Fedele e il suo ex segretario

Di Marco Cribari su Calabria ora del 24/09/2012

Quattordici mesi dopo, Padre Fedele Bisceglia e il suo ex segretario, Antonello Gaudio, tornano in tribunale per affrontare il secondo grado di giudizio del processo che li vede sotto accusa per violenze sessuali, anche di gruppo, compiute ai danni di una suora. Si ripartirà dalle condanne inflitte il 6 luglio del 2011 dai giudici cosentini. Pene severe, ancor più di quanto richiesto dalla Procura. Il monaco cosentino, infatti, era stato condannato a nove anni e tre mesi di reclusione, quindici mesi in più del previsto. Gaudio, invece, si era fermato a sei anni e tre mesi rispetto ai sei invocati per lui in sede di requisitoria.
Dopo la lettura della sentenza, Bisceglia aveva usato parole di fuoco per tutti, dai giudici alla sua grande accusatrice, gridando nuovamente al «complotto», come del resto ha fatto fin dall'inizio di questa vicenda, partita nell’ottobre 2005 con la denuncia presentata dalla suora agli agenti della questura romana. Un racconto dettagliato in cui la religiosa denunciava cinque stupri da lei subiti nei mesi precedenti durante la sua permanenza all'Oasi francescana, ovvero la struttura d'accoglienza per poveri fondata dallo stesso Padre Fedele. Le successive indagini condotte dalla polizia non consentirono di trovare riscontri diretti agli “orrori”
denunciati dalla donna, ma solo una serie di elementi di contorno che misero in evidenza la personalità
sopra le righe del cappuccino, già artefice nel 1994 della “conversione” della pornostar Luana Borgia e poi protagonista di un'intercettazione telefonica in cui si intratteneva in conversazioni piccanti con una signorina. Intercettazione, questa, finita agli atti dell’inchiesta. Fatto sta che sulla base di questi elementi, a gennaio del
2006 per Bisceglia e Gaudio scattarono le manette, poi commutate nel tempo in domiciliari e, infine, nel ritorno in libertà. A quel punto, Bisceglia diede il via alla sua campagna innocentista, tentando di accreditare la tesi di un'oscura strategia per sottrargli il controllo dell'Oasi, cosa che in effetti, nel frattempo, si verificò. Tuttavia, non mai è emerso nulla di concreto a sostegno dell’ipotesi di una cospirazione vera e propria. La teoria del complotto, dunque, resta sullo sfondo di questo dramma in salsa clericale, caratterizzato anche dagli eccessi e dalle intemperanze di Padre Fedele.Nel frattempo, infatti, il monaco-ultrà subì dapprima la
sospensione a divinis dalla Curia e, poco tempo dopo, venne espulso dall'Ordine dei cappuccini.
Un provvedimento questo, slegato dalla vicenda giudiziaria e relativo, piuttosto, al mancato rispetto del “silenzio” impostogli dai suoi vertici religiosi. A quel tempo, infatti, per proclamare la propria innocenza, Padre Fedele aveva inscenato una serie di proteste, anche plateali: conferenze stampa, prediche, anatemi e, dulcis in fundo, una via crucis per le vie di Cosenza con un pesante crocifisso in legno confezionato per lui da un amico falegname.
Alla fine, però, tutto ciò non giovò in alcun modo alla causa. Nel frattempo, infatti, l’inchiesta andò avanti, culminando nel rinvio a giudizio dei due indagati e nell’inizio del processo.
In assenza di riscontri diretti all'effettiva consumazione degli stupri, tutto ruotava attorno ai fatti narrati
dalla parte offesa. Era credibile la suora? Alla fine, i magistrati cosentini decisero di sì, basandosi in particolar modo su un dettaglio approfondito in extremis, giusto un’udienza prima del verdetto. Fin dal principio, infatti, la religiosa d’origine siciliana aveva sostenuto di essere stata costretta ad assumere un farmaco in occasione della violenza di gruppo. Un medicinale che, a suo dire, l'avrebbe assoggettata alla volontà dei suoi aguzzini, indicati in Bisceglia, Gaudio e in un giudice del Tribunale dei minori di Catanzaro.
Quest'ultimo non è mai stato indagato per quei fatti, circostanza che, a tutt'oggi, rappresenta uno dei punti oscuri dell'inchiesta. Riguardo alla pillola incriminata, invece, il collegio giudicante aveva inteso approfondire l'argomento, dando incarico a un perito di verificare l'esistenza di un medicinale come quello descritto dalla parte offesa. Durante una delle ultime udienze, lo specialista aveva indicato nello Zolpiden, la probabile “rape drug” che la donna era stata costretta ad assumere e, con un colpo di coda, i giudici vollero acquisire il libretto illustrativo del farmaco, dimostrando così di tenere in grande considerazione questo particolare
aspetto della storia. Di diverso avviso, invece, erano i difensori degli imputati: Eugenio Bisceglia e Franz Caruso per il frate, Roberto Loscerbo ed Elisa Sorrentino per Gaudio che, a turno, si spesero a sostegno della tesi contraria. Ci riproveranno oggi in Appello.

Aggiornamento  (Ansa 24/09/2012 ore 13:10)

Padre Fedele:slitta appello, 'fiducioso'
Processo rinviato per difetto notifica a legale coimputato

(ANSA) - CATANZARO, 24 SET - ''Resto fiducioso nella giustizia''. Lo ha detto padre Fedele Bisceglia, l'ex frate condannato a nove anni e tre mesi di reclusione per violenza sessuale su una suora, lasciando il Palazzo di giustizia di Catanzaro dove avrebbe dovuto iniziare il processo d'appello.

L'udienza e' stata rinviata al 18 ottobre per un difetto di notifica ad uno dei legali dell'altro imputato, Antonio Gaudio condannato a sei anni e tre mesi. Padre Fedele continua a fare il missionario in Africa.

Sui tagli non accetto lezioni


Principe difende l'azione del Pd in consiglio e ribatte al commissario D'attorre. Il gruppo oggi disterà l'aula

Intervista di Adriano MolloSandro Principe sul quotidiano della Calabria del 20/09/2012



Padre Fedele oggi torna in aula

Pubblicato sul quotidiano della Calabria del 24/09/2012



Padre Fedele, al via il processo d'appello - Corriere della Calabria

Padre Fedele, al via il processo d'appello - Corriere della Calabria

COSENZA Lunedì, 24 settembre, torna in tribunale padre Fedele Bisceglia, il sacerdote accusato di violenza sessuale da una suora. Un anno dopo la sentenza di primo grado, che ha condannato il religioso a nove anni e tre mesi di carcere e il suo ex segretario Antonio Gaudio a sei anni e tre mesi, la complessa e lunga vicenda giudiziaria proseguirà davanti ai giudici della Corte d'appello di Catanzaro. Intanto, in tutto questo tempo padre Fedele ha continuato ad urlare la sua innocenza proprio come fece il giorno del verdetto sulle scale del tribunale bruzio. Secondo l'impianto accusatorio gli abusi sarebbero avvenuti nell'Oasi francescana, la struttura d'accoglienza fondata dal sacerdote.
Una vicenda cominciata il 23 gennaio del 2006 con l'arresto dell'ex frate (l'ordine dei Cappuccini lo ha espulso) e di Gaudio, e arrivata nelle aule del Tribunale nel gennaio del 2008 con il rinvio a giudizio e, due mesi dopo, con l'inizio del dibattimento.
Il giorno della prima udienza del processo, il «monaco» – come tutti lo chiamano a Cosenza – ai giornalisti aveva detto: «Sono innocente e, come hanno venduto Gesù Cristo, alcuni vogliono vendere anche me. Sono in galera perché ho difeso i bambini e i poveri dell’istituto “Papa Giovanni”. L’attaccamento al denaro e la superbia sono entrambe in questo complotto».
Per padre Fedele tutto ruoterebbe attorno alla sua opera missionaria e all'Oasi.
La Procura di Cosenza non ha dubbi sulla credibilità della religiosa (difesa dall'avvocato Marina Pasqua) che accusa padre Fedele Bisceglia e Gaudio di averla violentata per cinque volte. E per questo i pubblici ministeri, Adriano Del Bene e Salvatore Di Maio, al termine di una lunga requisitoria, avevano chiesto la condanna a otto anni di reclusione per il sacerdote e a sei anni per Gaudio con l'accusa di violenza sessuale. Secondo i pm, le “fondamenta” del castello accusatorio sono costituite dalla deposizione della suora, comprovata in alcuni passaggi dalle testimonianze di altre consorelle, dalle perizie dei consulenti e dai racconti delle ospiti dell’Oasi. E per l’accusa, quest’ultimi avrebbero fornito non proprio riscontri alle presunte violenze, ma elementi che contribuiscono a delineare lo scenario della vicenda. Per la Procura, in quella struttura veniva descritto un contesto inquietante. È un dato ampiamente accertato, per i pubblici ministeri, che le ospiti per ottenere il permesso di soggiorno dovevano sottostare ai “desideri” di padre Fedele e Gaudio, un elemento che – precisano i pm – «non è penalmente rilevante».
Dubbi sull'attendibilità della suora sono stati, invece, sempre manifestati dalla difesa, rappresentata dai legali Eugenio Bisceglia e Franz Caruso (per padre Fedele), Roberto Loscerbo ed Elisa Sorrentino (per Gaudio). Una serie di perplessità: possibile che nella struttura gestita da padre Fedele si sia consumata una decina di episodi di violenza senza che nessuno si sia mai accorto di nulla? Possibile che il religioso abbia organizzato due stupri di gruppo, a uso e consumo di due persone mai identificate, dietro il pagamento di 260mila euro, senza che di quei soldi sia stata trovata traccia? Possibile che la suora abbia deciso di non abbandonare l'Oasi francescana anche dopo essere stata stuprata?
Ora la parola passa ai giudici catanzaresi.


m.m.

domenica 23 settembre 2012

Miss, mia cara miss

Tratto dall'articolo "REGIONI DI LUSSO" Inchieste giudiziarie, delibere fantasiose e scandali politici: i 1.111 consiglieri regionali non si fanno mancare nulla di Chiara Paolin sul fatto quotidiano del 23/09/2012 nella sezione che riguarda la Calabria:

Nonostante i guai di deficit, la vita istituzionale calabrese è vivace.
Merito del giovane governatore Scopelliti, che come consulente giuridico ha scelto l’avvocato Cataldo Calabretta, amico delle star locali (Elisabetta Gregoraci in primis).
Anche l’assessore al Bilancio, Giacomo Mancini, ha scelto il ritmo della gioventù promuovendo a responsabile amministrativo Italia Caruso, già miss apprezzata e tutt’ora presentatrice di serate “Moda Mare a Cetraro”.
Per festeggiare questa ventata gioiosa, il presidente del consiglio regionale, Francesco Talarico, ha ben pensato di comprare 10 bandiere tricolori.
Costo: 12mila euro.

giovedì 20 settembre 2012

Un dibattito tra correnti nel Pd che guarda avanti

Renziani e bersaniani a confronto. Naccari Carlizzi critica D’Attorre

Di Saverio Paletta su Calabria ora del 19/09/2012

Se il “nuovo” che non avanza a dispetto delle troppe invocazioni, lo si potesse trovare nello “scenario”, solo per questo il dibattito di ieri pomeriggio meriterebbe un po’ d’attenzione.
La sala convegni del Museo del Presente di Rende -per capirci, a casa di Sandro Principe, il capogruppo del
Pd a palazzo Campanella-era piena di visi giovani e in buona parte sconosciuti.
Gli habitué dei dibattiti rendesi erano assenti, con l’eccezione di Mario Franchino e Pietro Ruffolo, e mancava pure il seguito che i big del Pd portano con sé.
Eppure il dibattito non è stato certo gestito da piccoli calibri del partito di Bersani: Demetrio Naccari Carlizzi, Mimmo Bevacqua, Ernesto Magorno e Giovanni Russo non sono degli ignoti.
Rappresentano (o dovrebbero rappresentare) i quadri “medi” del Pd, dentro e fuori le istituzioni, cioè quel
segmento di classe dirigente che forse soffre di più l’attuale commissariamento.
Logico che, da posizioni diverse, -“renziane” quelle del sindaco di Diamante e del battagliero esponente reggino, “bersaniane” quelle del vicepresidente della Provincia di Cosenza e del consigliere di Vibo- tentino di smuovere le acque.
Magari il titolo del convegno di ieri, “Al di la degli schieramenti, impegniamoci per riformare il Pd e la politica calabrese” era un po’ troppo “massimi sistemi” perché ne sortisse qualche esito concreto.
Tuttavia le critiche sono volate.
Innanzitutto verso D’Attorre, accusato da Naccari di «aver perpetuato l’errore di Capo Suvero impedendo i congressi: come allora il partito nazionale è intervenuto quando non doveva».
Certo, gli ha fatto eco il bersaniano Bevacqua, «i congressi devono essere un momento di discussione vera, non una semplice espressione di voto pilotata dall’alto».
E per meglio chiarirsi -più facile a dirsi data la foga- il vicepresidente della Provincia ha lanciato una proposta su cui ragionare, va da sé in maniera bipartisan: «Chi supera tre mandati deve andare a casa, non dobbiamo accettare candidati, calabresi e non, imposti da Roma, dobbiamo subito modificare la vergognosa legge elettorale», e via discorrendo.
Come dirgli di no, visto che i “quadri” e i “giovani” vogliono la stessa cosa, cioé farsi spazio? A proposito di spazi, la domanda piccante con cui si è concluso l’incontro, cioè il giudizio sul gruppo regionale del Pd, ha ottenuto risposte sfumate: si va dalle critiche accese di Bevacqua ai distinguo di Russo («Salverei Guccione e Censore»), ma nessuno ha tentato lo “scontro” diretto con il capogruppo.
Coi padroni di casa, si sa, tocca comunque essere educati.

domenica 16 settembre 2012

Maometto nelle mani degli ultracristiani - Alessandro Oppes - Il Fatto Quotidiano

Maometto nelle mani degli ultracristiani - Alessandro Oppes - Il Fatto Quotidiano

A indagare sul making of del film maledetto che ha scatenato l’ira dei musulmani, si scopre un’agghiacciante galassia di fondamentalismi pseudo-cristiani, ottusi e potenzialmente violenti. Piccoli gruppi conosciuti negli Usa per le loro sporadiche e bizzarre iniziative, forse considerati innocui perché di solito agiscono in modo indipendente l’uno dall’altro, guidati solo dal “verbo” ispirato di qualche esaltato predicatore. In questo caso, invece, un filo esiste.

Tutto ruota intorno alla figura controversa di quello che, sembra ormai certo, è il regista di The Innocence of Muslims: Nakoula Basseley Nakoula, 55 anni, cristiano copto californiano di origine egiziana. Un malfattore incallito , che due anni fa è stato condannato per truffa a 21 mesi di carcere e al pagamento di 790mila dollari di multa. La sua specialità era quella di creare conti bancari fraudolenti utilizzando identità e numeri della Social Security rubati. Poi staccava assegni a beneficio di altri conti fasulli dai quali prelevava denaro agli sportelli automatici. Un’attività per la quale si è dovuto inventare un bel numero di nomi di fantasia, cosa che spiega la girandola di identità approssimative circolate sul suo conto in questi giorni. Ci ha provato anche con i giornalisti della Associated Press, i primi a rintracciarlo, ai quali s’è presentato come Sam Bacile, “ebreo americano con cittadinanza israeliana”, risultato invece inesistente.

È bastata una rapida verifica sul numero di cellulare dal quale era partita la chiamata per scoprire che si trattava appunto di Nakoula Basseley (il nome può essere facilmente rintracciato sugli elenchi telefonici Usa, tra gli abbonati della località californiana di Cerritos). Ora la sua casa, a 40 chilometri da Los Angeles, è protetta dalla polizia, ma l’uomo potrebbe presto tornare in carcere se verrà accertato che ha violato i termini della libertà vigilata.

Ciò che in qualche modo sorprende, però, è che un personaggio di bassa lega come questo sia riuscito a catalizzare intorno al suo progetto (posto che l’idea sia stata davvero sua) l’interesse dei più svariati personaggi e gruppi dell’America anti-islamica. A cominciare dalla Ong Media for Christ, sede a Duarte, in California, che secondo quanto ha rivelato il Los Angeles Daily News, si sarebbe incaricata di produrre la pellicola. Lo stesso Nakoula Basseley viene indicato come un collaboratore di questa organizzazione (registrata come una business entity) guidata da Joseph Nasralla Abdelmasih, un cristiano copto egiziano conosciuto soprattutto per un’iniziativa provocatoria a cui partecipò due anni fa: l’11 settembre 2010, proprio nel giorno dell’anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle, con un discorso incendiario si oppose alla costruzione del “Park 51 Islamic Center” a Manhattan. “Sveglia, America”, disse Abdelmasih, aggiungendo che per edificare la nuova moschea sarebbero dovuti passare sul suo cadavere.

Le foto di quell’evento ritraggono accanto a Abdelmasih, sul palco del comizio di New York organizzato dagli attivisti islamofobi Pamela Geller e Robert Spencer, proprio quel Morris Sadek che nei giorni scorsi ha diffuso il trailer del film di Nakoula Basseley sul suo sito della National American Coptic Assembly. Nel quale, tra l’altro, compare un articolo dal titolo “La minaccia dell’Islam è reale”, in cui si presenta la religione musulmana come “una combinazione di paganesimo, culto al dio della luna Allah ed eresia cristiana”. Sadek è un sostenitore di “Act! For America”, un gruppo convinto che Barack Obama avrebbe aderito all’organizzazione dei Fratelli Musulmani.

Un altro conosciuto collaboratore di Nasralla Abdelmasih è poi Steve Klein, un ex-marine che in questi giorni ha dichiarato pubblicamente di aver partecipato come consulente alla realizzazione del film. Denunciato dal Southern Poverty Law Center come un “attivista dell’estrema destra religiosa che ha collaborato all’addestramento di milizie paramilitari in una chiesa californiana”, Klein è il fondatore dei Courageous Christians United, noti per i loro sit-in davanti a cliniche abortiste, moschee e templi dei mormoni.

Il Fatto Quotidiano, 15 Settembre 2012

venerdì 14 settembre 2012

IL PDL ASSALTA LA CANCELLIERI: REGGIO NON VA SCIOLTA PER MAFIA

Di Enrico Fierro sul fatto quotidiano del 14/09/2012

’Usciogghiunu”.
È il tormentone che infiamma questi giorni di settembre Reggio Calabria.
Il Comune sta per essere sciolto per mafia.
Lo ripetono come un brano rap consiglieri comunali e assessori che “’nnacano” lungo il corso cittadino per stringere mani e rassicurare elettori e fedelissimi.
Il terrore che agita le notti dei Demetrio Arena, detto Demi, e soprattutto del suo lord protettore Peppe Scopelliti, uno che in Calabria conta il 70% dei voti, è il tutti a casa decretato dal Viminale.
A CASA perché la ‘ndrangheta che succhia il sangue alla città è entrata in tutti gli angoli di Palazzo San Giacomo, dentro le società miste e le municipalizzate, ha suoi politici di riferimento, gente che ha chiesto i voti ai boss e li ha avuti: consiglieri comunali, assessori, uomini potenti che sono la vera macchina del consenso del Pdl.
C’è una relazione firmata dal prefetto Vittorio Piscitelli che in città definiscono “terribile”.
Una radiografia impietosa e allarmata su come i boss che da sempre comandano a Reggio hanno messo le mani sulla città.
Ma la partita ora si gioca a Roma ed è tutta politica.
Quelle pagine vergate dal prefetto e che portano a una sola, definitiva conclusione, lo scioglimento e il commissariamento per mafia, sono da settimane sul tavolo del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri. Tocca a lei proporre una decisione definitiva a Monti e all’intero consiglio dei ministri.
La responsabile del Viminale, che nei giorni passati ha inviato i commissari antimafia a Taurianova e a San Luca, ha chiesto tempo, vuole riflettere, analizzare altre carte e dossier e per questo ieri ha convocato a Roma il prefetto Piscitelli.
La decisione è di quelle da far tremare le vene ai polsi, perché mai, da quando esiste la legge sullo scioglimento per mafia dei comuni, è stata commissariata una città capoluogo di provincia.
Sarebbe una notizia mondiale.
Ma questa è solo una delle ragioni che hanno indotto la Cancellieri a chiedere un supplemento di indagine e a
rinviare la discussione prevista nel Consiglio dei ministri di oggi.
L’altra è più politica e riguarda le pressioni che sul Viminale sta esercitando il Pdl.
REGGIO è una roccaforte del partito di Berlusconi, una delle ultime in Italia e la prima nell’intero Mezzogiorno.
E Peppe Scopelliti è una delle giovani promesse del berlusconismo alla canna del gas.
In sua difesa è sceso in campo l’intero quartier generale del Pdl, con Gasparri e Cicchitto in prima fila.
“Ma la relazione del prefetto è una bomba –dice chi l’ha vista –, descrive in modo dettagliato la capacità
di penetrazione delle cosche nel tessuto istituzionale della città. Ci sono nomi ed episodi. Decidere di voltarsi dall’altra parte e di non sciogliere è praticamente impossibile”.
L’attenzione è altissima e il ministro si trova con le spalle al muro: se scioglie viene crocifissa dal Pdl, se non lo fa rischia l’effetto Crotone.
Da mesi sul suo tavolo c’è un durissimo dossier del prefetto dove si propone lo scioglimento della Provincia per infiltrazioni mafiose.
Non è stato ancora discusso dal governo provocando l’intervento dell’ufficio di presidenza della Commissione antimafia che ha chiesto di acquisire l’intero incartamento.
Clima tesissimo a Reggio, con il sindaco Arena che l’altro giorno, davanti a migliaia di reggini in processione per onorare la Madonna della Consolazione ha tuonato contro i “nemici della città”.
“Madre Santissima, intercedi affinché la cultura disgregante e autolesionista, il male principale della nostra comunità, sia definitivamente debellato”.
Non una parola contro la ‘ndrangheta, la malapolitica, i consiglieri regionali che per quattro voti baciavano le mani a boss del calibro di Peppe Pelle da San Luca, gli assessori amici degli amici.
TUTTI UNITI nella difesa del Modello Reggio.
Peppe Scopelliti ha fatto tappezzare la città di manifesti dove i reggini lo ringraziano.
Silenzio sui tre consiglieri regionali della sua maggioranza in galera, due per rapporti con la mafia, il terzo perché vendeva posti di lavoro farlocchi in cambio di voti.
Il Comune è sull’orlo del dissesto, ma negli anni del suo regno si sono buttati dalla finestra centinaia di migliaia di euro per portare starlette e figuranti del Grande Fratello.
Conta poco.
Nei giorni scorsi ha fatto arrivare da Milano Roberto Arditti, ex portavoce del ministro Scajola ed ex direttore del Tempo , per rivendicare in una intervista pubblica il suo modello.
Ha portato in città Lele Mora, Costantino, Belén: “Grazie a loro siamo entrati in un circuito di notorietà”.
La festa è finita da tempo e la musica è cambiata.
Si canta il rap, “’u sciogghiunu”.

La procura e il mistero delle coop comunali

I pm puntano a fare luce sulle diverse società, sui lavoratori e sui canali di reclutamento

Di Domenico Marino su gazzetta del sud del 14/09/2012


Congo: importante riconoscimento per Padre Fedele Bisceglia

Tratto da Telecosenza.it

Importante riconoscimento per Padre Fedele Bisceglia, l’ex frate e sacerdote condannato per violenza sessuale ai danni di una suora. Padre Fedele, che si e’ sempre professato innocente, si trova in Congo, dove sta organizzando alcune strutture umanitarie da lui realizzate in questi ultimi anni. Nei giorni scorsi ha ricevuto ufficialmente una “Attestazione di merito” consegnatagli dal prefetto del Dipartimento di Pointe-Noire. L’alto funzionario del ministero dell’Interno del Congo riconosce a Padre Fedele Bisceglia l’attestazione di merito “per il suo amore manifestato per i diritti dei ragazzi della strada, dei malati, degli orfani e per la costruzione di grandi opere”, citando in dettaglio “una clinica attrezzata”, “un orfanotrofio”, “una chiesa”, “un centro per i bambini della strada a Mvoumvou” e “un dispensario attrezzato e l’adduzione dell’acqua potabile a Pounga”.”E’ una cosa che non mi aspettavo e che mi rende pieno di gioia”, ha detto Padre Fedele, parlando al telefono dal Congo. “Ho sofferto tanto, ma il Signore mi sta rendendo felice, oggi”. “Presto tornero’ in Italia e mi e’ stato detto che in ottobre ricevero’ la visita ufficiale, a Cosenza, del segretario generale del Presidente della Repubblica del Congo e anche della segretaria generale della Fondazione Congo Assistenza. Che posso desiderare di piu’?”, dice il vulcanico frate.

mercoledì 12 settembre 2012

In bolletta il Paradiso di Padre Fedele

DiDi Saverio Paletta su Calabria ora del 12/09/2012

I fasti della carità cosentina degli anni ’90 sono lontani. E sono lontani pure i tempi in cui raccogliere i fondi per uno come Padre Fedele era uno scherzo. Non sembri un paradosso, ma la crisi manda in crisi pure chi, per vocazione e missione, si occupa delle crisi, piccole e grandi che scuotono i settori più poveri della società. Perciò quasi non meraviglia che il Paradiso dei poveri, la Onlus con cui l’ex frate cerca di continuare alla meno peggio dopo l’“Oasi” stenti a tirare avanti. Al riguardo, il paragone tra le due strutture, quella “maxi” che troneggia all’ingresso di piazza Riforma e quella “mini”, che resiste, quasi in segno di sfida, nell’appartamentino di via Montagna, è un po’ deprimente. Nel “Paradiso”, si nota soprattutto la voglia di continuare nonostante i tanti problemi e i pochi mezzi che, per povertà, ricordano il gruppo Tnt. Due stanzette più bagno al primo piano, pochi arredi, una Seicento parcheggiata sul lato opposto della strada e il “mitico” Mercedes Sprint, il furgone storico (ha 17 anni e migliaia di chilometri) di Padre Fedele, che finisce un giorno sì e uno no dal meccanico. Ieri, ad esempio, era in riparazione. «Lo dovremmo cambiare perché dà sempre problemi», dice Giovanni Valentino, un affezionato, anzi un ultrà, del monaco, legato a Padre Fedele dall’ormai lontano ’93. Inutile dire che i mezzi non si limitano a scarseggiare: mancano addirittura. Infatti, prosegue Giovanni, «il “Paradiso” esiste solo grazie alla pensione» che il religioso ha devoluto completamente con un atto notarile alla Onlus.
E da questa pensione “esce” tutto: i soldi dell’affitto, circa 200 euro al mese, le bollette di telefono e luce, entrambi in perenne rischio di sospensione per morosità, più gli imprevisti che, per chi si occupa di carità praticamente senza l’aiuto di finanziatori e appoggi esterni, sono tantissimi.
L’associazione esiste dal 2008 e ha sofferto di tutti gli alti e bassi della vita del suo fondatore: dopo il primo biennio di “gloria”, in cui, ricorda Giovanni, «gli aiuti e le donazioni arrivavano con una certa frequenza», c’è stato un certo declino.
Fino allo stop attuale, contrastato solo dalla testardaggine con cui il religioso e i suoi (pochi) volontari mandano avanti la baracca.
Come si può fare carità senza niente? «Ci sono due forni che ci regalano il pane da distribuire e poi da qualche mese abbiamo ottenuto di nuovo la collaborazione del Banco Alimentare che ci fornisce le derrate da distribuire a 35 bisognosi della città», i quali passano a ritirare le provviste in sede o ricevono a domicilio, quando il furgone non è dal meccanico.
Per il resto, niente.
«Abbiamo bussato dappertutto», pure a ditte grosse, tra l’altro già impegnate in operazioni di solidarietà, «senza avere risposte».
Nonostante i limiti si tira avanti.
La sede del Paradiso dei poveri è a dir poco spartana: una saletta con pochi mobili e un pc per il segretario e, a fianco, l’ufficio di Padre Fedele, adorno dei pochi cimeli dell’ex frate: le videocassette con le immagini
delle Missioni in Africa in cui il religioso ha trascorso larga parte della sua vita, qualche taccuino e degli opuscoletti.
Lui, Padre Fedele, è nella sua Africa dal 14 agosto.
Tornerà il 22 settembre, perché due giorni dopo inizierà il processo d’appello.
Forse il “Paradiso”, la sua ultima, gracile creatura, è pure un modo per dimostrare che il frate c’è ancora e che questo frate non è quello dipinto dalla sentenza di condanna che si appresta a combattere tra poco in appello.
«Tiriamo avanti come meglio possiamo», conclude Giovanni, «in attesa di vedere un po’ di luce».
Ma Padre Fedele e i suoi non sono soli: hanno i loro poveri nella sfida quotidiana, ai limiti dell’impossibile, di far del bene quando si è i primi ad aver bisogno d’aiuto.

martedì 11 settembre 2012

PRIMARIE PD Renzi rottama anche Veltroni

Sul fatto quotidiano del 11/09/2012

Alla sua collezione di figurine da rottamare, almeno a parole, ne mancava solo una.
Quella di Walter Veltroni.
E ieri, Matteo Renzi, l’ha trovata e sistemata accanto agli altri oligarchi del Pd.
Il principale competitor (da destra) del segretario Bersani ha liquidato così l’ideologo del buonismo e del maanchismo: “Direi che i successi maggiori li ha avuti come romanziere, gli auguro tanti romanzi belli per il futuro.
Manderei a casa Veltroni, come tutti quelli che hanno fatto più di quindici anni di Parlamento”.
La reazione dei veltroniani è stata furibonda (“Sgradevole, presuntuoso, stupido”), anche perché l’ex sindaco di Roma (assente alla chiusura delle festa del Pd bersaniano) è sospettato di fare il tifo per Renzi nella corsa delle primarie.
Ipotesi che da ieri appare molto remota.
Per par condicio, Renzi ha attaccato nuovamente anche il “nonno” D’Alema: “Ha avuto le sue occasioni ma se vinciamo noi lo manderemo a casa”.
E ancora, sempre ai vecchi: “Il vostro tempo è finito adesso tocca a noi”.

martedì 4 settembre 2012

Degrado nella zona dei "tredici canali"

Iniziamo con il selciato che in molte parti risulta assente, come possiamo vedere dalle foto

 Immondizia lasciata in mezzo alla strada evidentemente da persone con mancanza di senso civico
 Sotto la poca erba tagliata in occasione dell'arrivo di un importante personaggio
 e a pochissimi metri l'erba alta





 Qui manca una parte del pavimento e addirittura un rubinetto