domenica 30 settembre 2012

ENZO TORTORA, TRA RICORDO E CINISMO

Di Andrea Scanzi sul fatto quotidiano del 29/09/2012

È labile il confine tra onorare la memoria e strumentalizzarne i riverberi. Giovedì Porta a porta ha parlato di Enzo Tortora. RaiUno trasmetterà domani e lunedì Il caso Enzo Tortora. Dove eravamo rimasti?. Scritta da Simona Izzo e Giancarlo De Cataldo, la fiction si basa su Fratello segreto di Anna Tortora e Applausi e sputi di Vittorio Pezzuto. In studio c’era Ricky Tognazzi, ex Carcioghiotto Rapper, regista e protagonista delle due puntate. Non mancava Paola Ferrari, chiamata per ricordarci quanto la tivù non sia migliorata:
ieri la Domenica Sportiva la illuminava Tortora, oggi lei. Uno degli avvocati di Tortora ha provato a distinguere tra chi ha alimentato un’ingiustizia feroce e chi, in Appello e Cassazione, assolse con formula piena il presentatore.
BRUNO VESPA sembrava quasi infastidito.
Molto più redditizio, tra un aneddoto e l’altro di Paolo Limiti, mazzolare pentiti (tutti) e magistrati (tutti?). Usando un “caso” celebre per fiaccare il giustizialismo. A 24 anni dalla morte, Enzo Tortora resta argomento ipersensibile. Le figlie Silvia e Gaia, con garbo raro, hanno preso le distanze dalla fiction. Forse perché potrebbe rivelarsi troppo rosa; forse perché in troppi la stanno già cavalcando; forse perché il cast non
risulta epocale. E forse perché un padre pubblico si preferisce ricordarlo in privato. Tortora era uomo di grande cultura, a molti antipatico anche per quello. Capace di anticipare meglio e peggio della tivù (Portobello), come pure di polemizzare tenacemente con chi riteneva meritevole dell’affondo (Gaber). Nazionalpopolare “nonostante” il suo scibile, unicum affascinante e stranissimo. Difficilmente raccontabile. Quello che l’ha fatto meglio è stato Antonello Piroso, in un monologo teatrale meticoloso e impietoso. Al “Tortora camorrista” vollero credere in tanti. Anche quelli che ora giocano allo Scarabeo del garantista.
Tortora si beccò più di 10 anni, e un cancro verosimilmente psicosomatico, per colpa di pentiti megalomani.
Giovanni Pandico lo mise nel mirino perché la redazione di Portobello aveva perso i suoi centrini (non è una battuta). Pasquale Barra era noto per avere sventrato Francis Turatello.E Giovanni Melluso, che in aula lo chiamava “Enzino”, due anni fa ha serenamente ammesso a L’Espresso che quelle accuse erano inventate.
Errori, storture. Niente prove. Arresto in favore di telecamere, carcere preventivo. Da divo a reietto in un attimo. Rivedere le arringhe di Diego Marmo, Pm nel processo di primo grado, con la bava alla bocca (letteralmente), mette ancora imbarazzo. Come la sentenza del 1985, che definiva Tortora “cinico mercante di morte”. Un incubo kafkiano, durato quattro anni, che solo grandissimi registi saprebbero narrare. E troppi situazionisti continuano a strumentalizzare

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