domenica 30 settembre 2012

ENZO TORTORA, TRA RICORDO E CINISMO

Di Andrea Scanzi sul fatto quotidiano del 29/09/2012

È labile il confine tra onorare la memoria e strumentalizzarne i riverberi. Giovedì Porta a porta ha parlato di Enzo Tortora. RaiUno trasmetterà domani e lunedì Il caso Enzo Tortora. Dove eravamo rimasti?. Scritta da Simona Izzo e Giancarlo De Cataldo, la fiction si basa su Fratello segreto di Anna Tortora e Applausi e sputi di Vittorio Pezzuto. In studio c’era Ricky Tognazzi, ex Carcioghiotto Rapper, regista e protagonista delle due puntate. Non mancava Paola Ferrari, chiamata per ricordarci quanto la tivù non sia migliorata:
ieri la Domenica Sportiva la illuminava Tortora, oggi lei. Uno degli avvocati di Tortora ha provato a distinguere tra chi ha alimentato un’ingiustizia feroce e chi, in Appello e Cassazione, assolse con formula piena il presentatore.
BRUNO VESPA sembrava quasi infastidito.
Molto più redditizio, tra un aneddoto e l’altro di Paolo Limiti, mazzolare pentiti (tutti) e magistrati (tutti?). Usando un “caso” celebre per fiaccare il giustizialismo. A 24 anni dalla morte, Enzo Tortora resta argomento ipersensibile. Le figlie Silvia e Gaia, con garbo raro, hanno preso le distanze dalla fiction. Forse perché potrebbe rivelarsi troppo rosa; forse perché in troppi la stanno già cavalcando; forse perché il cast non
risulta epocale. E forse perché un padre pubblico si preferisce ricordarlo in privato. Tortora era uomo di grande cultura, a molti antipatico anche per quello. Capace di anticipare meglio e peggio della tivù (Portobello), come pure di polemizzare tenacemente con chi riteneva meritevole dell’affondo (Gaber). Nazionalpopolare “nonostante” il suo scibile, unicum affascinante e stranissimo. Difficilmente raccontabile. Quello che l’ha fatto meglio è stato Antonello Piroso, in un monologo teatrale meticoloso e impietoso. Al “Tortora camorrista” vollero credere in tanti. Anche quelli che ora giocano allo Scarabeo del garantista.
Tortora si beccò più di 10 anni, e un cancro verosimilmente psicosomatico, per colpa di pentiti megalomani.
Giovanni Pandico lo mise nel mirino perché la redazione di Portobello aveva perso i suoi centrini (non è una battuta). Pasquale Barra era noto per avere sventrato Francis Turatello.E Giovanni Melluso, che in aula lo chiamava “Enzino”, due anni fa ha serenamente ammesso a L’Espresso che quelle accuse erano inventate.
Errori, storture. Niente prove. Arresto in favore di telecamere, carcere preventivo. Da divo a reietto in un attimo. Rivedere le arringhe di Diego Marmo, Pm nel processo di primo grado, con la bava alla bocca (letteralmente), mette ancora imbarazzo. Come la sentenza del 1985, che definiva Tortora “cinico mercante di morte”. Un incubo kafkiano, durato quattro anni, che solo grandissimi registi saprebbero narrare. E troppi situazionisti continuano a strumentalizzare

venerdì 28 settembre 2012

Il sindaco dichiara guerra alle prostitute da marciapiede

Dall'articolo su Calabria ora del 28/09/2012 di Stefania Sapienza, di nome ma non certo di fatto, si evince come abbiamo a che fare con l'ennesimo sindaco "sceriffo", questa volta Franco Tonnara il sindaco di Amantea, che vuole usare i metodi restrittivi e punitivi tanto cari al Pdl che ha inaugurato la stagione con il ddl Carfagna scritto con i piedi e a frange ultracattoliche quali l'istituto Papa Giovanni XIII.
Purtroppo non sono tutti sindaci illuminati come Luigi De Magistris, con la sua idea di un quartiere ad hoc, naturalmente ostacolato dalla più crassa ignoranza o del sindaco di Ravenna con la stessa idea.
L'articolo della Sapienza poi è un corollario incredibile di banalità: definisce i clienti spendaccioni e sporcaccioni con quale metro di misura non si sa, forse solo in base ai suoi luoghi comuni


Stop al “sesso a pagamento”. Da oggi, insomma, “famolo gratis”.
Il sindaco di Amantea, Franco Tonnara, ha deciso di dichiarare guerra alle prostitute da marciapiede, ma anche ai loro affezionati clienti, spendaccioni e sporcaccioni. Attraverso l’ordinanza contingibile e urgente numero 160 del 26 settembre scorso, il primo cittadino ha infatti gettato le basi per tentare di mettere la parola fine all’attività di “meretricio” nel territorio del suo Comune, ormai divenuto famoso o, meglio, famigerato, anche nella confinante provincia di Catanzaro. La prostituzione, infatti, «pur essendo attività di per sé non proibita dalla legge, costituisce grave disagio per i cittadini, un forte segnale di degrado sociale nonché un pregiudizio per la vocazione turistica», spiega Tonnara.
Amantea, tra l’altro, ci perde la faccia. Ma v’è dell’altro. Il primo cittadino è infatti convinto che «tali fenomeni possono impedire e/o rendere difficoltosa la libera fruizione di strade e spazi pubblici», visto che è ormai dato acclarato e documentato che «in varie parti del territorio comunale si verificano problematiche legate al fenomeno della prostituzione» le quali «possono dar luogo sia a fatti criminosi quali lo sfruttamento, sia a comportamenti lesivi del pubblico decoro».
Il sindaco, in poche parole, ordina agli automobilisti, per il periodo che va «dall’1 ottobre 2012 e fino al 31 dicembre 2012» (come dire: dal 1° gennaio scatenatevi tutti!), che «transitano sulla pubblica via e su tutte
le aree soggette a pubblico passaggio del territorio comunale», di stare attenti a quei «soggetti in atteggiamento particolare e con abbigliamento scollacciato atti ad attirare l’attenzione dei conducenti e che appaiono dediti all’offerta di prestazioni sessuali a pagamento». A costoro, in particolare, il sindaco ordina di «evitare brusche frenate o rallentare improvvisamente», ma anche di «non eseguire manovre di accostamento e/o fermata anche dichiaratamente solo per chiedere informazioni». Gli stessi comportamenti sono vietati anche quando i “clienti” delle affascinanti (si fa per dire) “squillo” fanno scendere queste ultime dai loro mezzi, dopo aver ricevuto momenti di intenso piacere… pagato a caro prezzo.
Ma ce n’è anche per le prostitute, le quali non possono «assumere atteggiamenti, modalità comportamentali né indossare abbigliamenti tali da offendere la pubblica decenza che manifestino inequivocabilmente l’intendimento di offrire prestazioni sessuali a pagamento».

giovedì 27 settembre 2012

A casa delle “bocche di rosa”, foglio di via per 4 portoricane


Di Saverio Paletta su Calabria ora del 27/09/2012

Sarà che, per quanto antico, il mestiere della prostituzione dà sempre nell’occhio, a prescindere dalla discrezione di chi lo pratica. Sarà pure che il centro della città è destinato “solo” alle attività commerciali, agli enti pubblici e agli studi professionali e quindi certe professioni sono incompatibili. Fatto sta che ieri pomeriggio i carabinieri del Nucleo operativo e della Stazione di Cosenza si sono recati in viale Trieste per perquisire un appartamento. Non un appartamento qualsiasi, ci mancherebbe: si trattava del domicilio e del “luogo di lavoro” di quattro cittadine portoricane dedite all’antichissimo mestiere. Che praticavano, stando pure ai risultati della perquisizione, con competenza tecnica e spirito manageriale. E pure con un certo successo, dato il viavai di clienti e curiosi. Le quattro donne – di età compresa tra i 41 e i 29 anni: abbastanza giovani per essere piacenti e sufficientemente mature per essere esperte – esercitavano, secondo le numerose segnalazioni giunte ai militari dell’Arma, a viale Trieste, a corso Mazzini e corso Umberto, parrebbe anche in pieno giorno.
Brave imprenditrici di sé stesse, non si sarebbero limitate all’esposizione dei prodotti “in vetrina” ma sarebbero ricorse a varie tecniche pubblicitarie: inserzioni sui giornali, annunci on line e via discorrendo. Non a caso i carabinieri hanno trovato nell’appartamento-azienda quindici telefonini con cui, presumibilmente le quattro avrebbero gestito i contatti con la clientela più affezionata. Una clientela, tra l’altro, non poco esigente, come testimonia l’assortitissimo arsenale da sexy shop trovato nell’appartamento. Già: la tecnologia cambia davvero tutto e, soprattutto nelle attività più “tradizionali”, aggiornarsi è una regola di sopravvivenza. Il tutto a prezzi modici: circa 50 euro per una prestazione. Quel che si dice saper stare nel mercato. Non finisce qui: oltre ai telefonini e ai “gadget” i militari hanno trovato alcuni grammi di marijuana. Ma questo è solo un piccolo dettaglio. Ben altri elementi saranno stati notati, nell’ultimo periodo, dagli abitanti della zona che, come nella canzone di De André, hanno deciso che quattro bocche di rosa in centro erano troppe. Le portoricane riceveranno il foglio di via. Un peccato per loro, che di sicuro non sono delle sprovvedute, come dimostra il fatto che avevano una regolare residenza in Italia (due di loro risiedevano a Follonica, una a Viterbo e una a Montecatini). Le ha tradite, forse, solo l’eccessivo successo dell’attività. Che ha finito col dare troppo nell’occhio. Pure più di tutto il resto.

mercoledì 26 settembre 2012

Forastefano e Giravite non volevano "lucciole"

Continuano intanto le sanzioni alle prostitute e ai clienti

Di Rossella Molinari su Calabria ora del 26/09/2012

Prosegue senza sosta l’attività delle forze dell’ordine a contrasto della prostituzione su strada, al fine di debellare il fenomeno e stroncare gli interessi criminali connessi.
I carabinieri della Compagnia di Corigliano diretta dal capitano Pietro Paolo Rubbo, continuano a monitorare il degradante spettacolo in bella mostra lungo la statale 106 jonica (sia sul vecchio tracciato sia sul raddoppio) identificando le “lucciole” che, ogni giorno, proprio lì, diventano protagoniste di un vero e proprio mercato della carne.
E nel periodo tra il 17 e il 23 settembre scorsi, i militari hanno identificato cinque prostitute, di nazionalità romena, per le quali, in ottemperanza a quanto previsto dall’ordinanza comunale n. 82 del 22 maggio scorso, è scattata la sanzione per “invito al libertinaggio”.
Parallelamente, sono stati sottoposti a controllo anche due automobilisti in sosta lungo i margini della carreggiata al fine di contrattare le prestazioni sessuali con le lucciole.
Per entrambi sono scattate le contravvenzioni sia per la violazione delle norme del codice della strada, sia in base ai dettami dell’ordinanza anti-prostituzione.
Un fenomeno presente ormai da anni sul territorio coriglianese e cassanese, che tempo addietro, indusse le due amministrazioni ad adottare ordinanze ad hoc nel tentativo di porvi un freno.
Proprio lo sfruttamento della prostituzione è, inoltre, al centro di un verbale reso nel maggio 2011 da Antonio Forastefano (foto in alto a destra) l’ex boss cassanese che ha deciso di collaborare con la giustizia, nel quale viene rievocato un colloquio ad hoc avuto diversi anni prima con Antonio Bruno alias “Giravite” ritenuto a capo della mala coriglianese e trucidato a colpi di kalashnikov il 10 giugno 2009.
«Abbiamo parlato delle numerose prostitute che c’erano nella zona di Corigliano – raccontava in quel verbale Forastefano al pm antimafia Vincenzo Luberto - e Antonio Bruno mi diceva che si stava prodigando al fine di evitare questo fenomeno.
Del resto, anch’io avevo dato mandato ai miei uomini di malmenare alcune che “lavoravano” sulla strada che porta alle terme di Spezzano».
Un fenomeno che non piaceva e la cui scarsa “tolleranza” da parte dei cosiddetti “uomini d’onore” emerge anche in altre inchieste.


Quando lo stato e l'antistato camminano a braccetto nell'ipocrisia

lunedì 24 settembre 2012

Stupratore o perseguitato? + aggiornamenti

Parte oggi il processo d’Appello contro Padre Fedele e il suo ex segretario

Di Marco Cribari su Calabria ora del 24/09/2012

Quattordici mesi dopo, Padre Fedele Bisceglia e il suo ex segretario, Antonello Gaudio, tornano in tribunale per affrontare il secondo grado di giudizio del processo che li vede sotto accusa per violenze sessuali, anche di gruppo, compiute ai danni di una suora. Si ripartirà dalle condanne inflitte il 6 luglio del 2011 dai giudici cosentini. Pene severe, ancor più di quanto richiesto dalla Procura. Il monaco cosentino, infatti, era stato condannato a nove anni e tre mesi di reclusione, quindici mesi in più del previsto. Gaudio, invece, si era fermato a sei anni e tre mesi rispetto ai sei invocati per lui in sede di requisitoria.
Dopo la lettura della sentenza, Bisceglia aveva usato parole di fuoco per tutti, dai giudici alla sua grande accusatrice, gridando nuovamente al «complotto», come del resto ha fatto fin dall'inizio di questa vicenda, partita nell’ottobre 2005 con la denuncia presentata dalla suora agli agenti della questura romana. Un racconto dettagliato in cui la religiosa denunciava cinque stupri da lei subiti nei mesi precedenti durante la sua permanenza all'Oasi francescana, ovvero la struttura d'accoglienza per poveri fondata dallo stesso Padre Fedele. Le successive indagini condotte dalla polizia non consentirono di trovare riscontri diretti agli “orrori”
denunciati dalla donna, ma solo una serie di elementi di contorno che misero in evidenza la personalità
sopra le righe del cappuccino, già artefice nel 1994 della “conversione” della pornostar Luana Borgia e poi protagonista di un'intercettazione telefonica in cui si intratteneva in conversazioni piccanti con una signorina. Intercettazione, questa, finita agli atti dell’inchiesta. Fatto sta che sulla base di questi elementi, a gennaio del
2006 per Bisceglia e Gaudio scattarono le manette, poi commutate nel tempo in domiciliari e, infine, nel ritorno in libertà. A quel punto, Bisceglia diede il via alla sua campagna innocentista, tentando di accreditare la tesi di un'oscura strategia per sottrargli il controllo dell'Oasi, cosa che in effetti, nel frattempo, si verificò. Tuttavia, non mai è emerso nulla di concreto a sostegno dell’ipotesi di una cospirazione vera e propria. La teoria del complotto, dunque, resta sullo sfondo di questo dramma in salsa clericale, caratterizzato anche dagli eccessi e dalle intemperanze di Padre Fedele.Nel frattempo, infatti, il monaco-ultrà subì dapprima la
sospensione a divinis dalla Curia e, poco tempo dopo, venne espulso dall'Ordine dei cappuccini.
Un provvedimento questo, slegato dalla vicenda giudiziaria e relativo, piuttosto, al mancato rispetto del “silenzio” impostogli dai suoi vertici religiosi. A quel tempo, infatti, per proclamare la propria innocenza, Padre Fedele aveva inscenato una serie di proteste, anche plateali: conferenze stampa, prediche, anatemi e, dulcis in fundo, una via crucis per le vie di Cosenza con un pesante crocifisso in legno confezionato per lui da un amico falegname.
Alla fine, però, tutto ciò non giovò in alcun modo alla causa. Nel frattempo, infatti, l’inchiesta andò avanti, culminando nel rinvio a giudizio dei due indagati e nell’inizio del processo.
In assenza di riscontri diretti all'effettiva consumazione degli stupri, tutto ruotava attorno ai fatti narrati
dalla parte offesa. Era credibile la suora? Alla fine, i magistrati cosentini decisero di sì, basandosi in particolar modo su un dettaglio approfondito in extremis, giusto un’udienza prima del verdetto. Fin dal principio, infatti, la religiosa d’origine siciliana aveva sostenuto di essere stata costretta ad assumere un farmaco in occasione della violenza di gruppo. Un medicinale che, a suo dire, l'avrebbe assoggettata alla volontà dei suoi aguzzini, indicati in Bisceglia, Gaudio e in un giudice del Tribunale dei minori di Catanzaro.
Quest'ultimo non è mai stato indagato per quei fatti, circostanza che, a tutt'oggi, rappresenta uno dei punti oscuri dell'inchiesta. Riguardo alla pillola incriminata, invece, il collegio giudicante aveva inteso approfondire l'argomento, dando incarico a un perito di verificare l'esistenza di un medicinale come quello descritto dalla parte offesa. Durante una delle ultime udienze, lo specialista aveva indicato nello Zolpiden, la probabile “rape drug” che la donna era stata costretta ad assumere e, con un colpo di coda, i giudici vollero acquisire il libretto illustrativo del farmaco, dimostrando così di tenere in grande considerazione questo particolare
aspetto della storia. Di diverso avviso, invece, erano i difensori degli imputati: Eugenio Bisceglia e Franz Caruso per il frate, Roberto Loscerbo ed Elisa Sorrentino per Gaudio che, a turno, si spesero a sostegno della tesi contraria. Ci riproveranno oggi in Appello.

Aggiornamento  (Ansa 24/09/2012 ore 13:10)

Padre Fedele:slitta appello, 'fiducioso'
Processo rinviato per difetto notifica a legale coimputato

(ANSA) - CATANZARO, 24 SET - ''Resto fiducioso nella giustizia''. Lo ha detto padre Fedele Bisceglia, l'ex frate condannato a nove anni e tre mesi di reclusione per violenza sessuale su una suora, lasciando il Palazzo di giustizia di Catanzaro dove avrebbe dovuto iniziare il processo d'appello.

L'udienza e' stata rinviata al 18 ottobre per un difetto di notifica ad uno dei legali dell'altro imputato, Antonio Gaudio condannato a sei anni e tre mesi. Padre Fedele continua a fare il missionario in Africa.

Sui tagli non accetto lezioni


Principe difende l'azione del Pd in consiglio e ribatte al commissario D'attorre. Il gruppo oggi disterà l'aula

Intervista di Adriano MolloSandro Principe sul quotidiano della Calabria del 20/09/2012



Padre Fedele oggi torna in aula

Pubblicato sul quotidiano della Calabria del 24/09/2012



Padre Fedele, al via il processo d'appello - Corriere della Calabria

Padre Fedele, al via il processo d'appello - Corriere della Calabria

COSENZA Lunedì, 24 settembre, torna in tribunale padre Fedele Bisceglia, il sacerdote accusato di violenza sessuale da una suora. Un anno dopo la sentenza di primo grado, che ha condannato il religioso a nove anni e tre mesi di carcere e il suo ex segretario Antonio Gaudio a sei anni e tre mesi, la complessa e lunga vicenda giudiziaria proseguirà davanti ai giudici della Corte d'appello di Catanzaro. Intanto, in tutto questo tempo padre Fedele ha continuato ad urlare la sua innocenza proprio come fece il giorno del verdetto sulle scale del tribunale bruzio. Secondo l'impianto accusatorio gli abusi sarebbero avvenuti nell'Oasi francescana, la struttura d'accoglienza fondata dal sacerdote.
Una vicenda cominciata il 23 gennaio del 2006 con l'arresto dell'ex frate (l'ordine dei Cappuccini lo ha espulso) e di Gaudio, e arrivata nelle aule del Tribunale nel gennaio del 2008 con il rinvio a giudizio e, due mesi dopo, con l'inizio del dibattimento.
Il giorno della prima udienza del processo, il «monaco» – come tutti lo chiamano a Cosenza – ai giornalisti aveva detto: «Sono innocente e, come hanno venduto Gesù Cristo, alcuni vogliono vendere anche me. Sono in galera perché ho difeso i bambini e i poveri dell’istituto “Papa Giovanni”. L’attaccamento al denaro e la superbia sono entrambe in questo complotto».
Per padre Fedele tutto ruoterebbe attorno alla sua opera missionaria e all'Oasi.
La Procura di Cosenza non ha dubbi sulla credibilità della religiosa (difesa dall'avvocato Marina Pasqua) che accusa padre Fedele Bisceglia e Gaudio di averla violentata per cinque volte. E per questo i pubblici ministeri, Adriano Del Bene e Salvatore Di Maio, al termine di una lunga requisitoria, avevano chiesto la condanna a otto anni di reclusione per il sacerdote e a sei anni per Gaudio con l'accusa di violenza sessuale. Secondo i pm, le “fondamenta” del castello accusatorio sono costituite dalla deposizione della suora, comprovata in alcuni passaggi dalle testimonianze di altre consorelle, dalle perizie dei consulenti e dai racconti delle ospiti dell’Oasi. E per l’accusa, quest’ultimi avrebbero fornito non proprio riscontri alle presunte violenze, ma elementi che contribuiscono a delineare lo scenario della vicenda. Per la Procura, in quella struttura veniva descritto un contesto inquietante. È un dato ampiamente accertato, per i pubblici ministeri, che le ospiti per ottenere il permesso di soggiorno dovevano sottostare ai “desideri” di padre Fedele e Gaudio, un elemento che – precisano i pm – «non è penalmente rilevante».
Dubbi sull'attendibilità della suora sono stati, invece, sempre manifestati dalla difesa, rappresentata dai legali Eugenio Bisceglia e Franz Caruso (per padre Fedele), Roberto Loscerbo ed Elisa Sorrentino (per Gaudio). Una serie di perplessità: possibile che nella struttura gestita da padre Fedele si sia consumata una decina di episodi di violenza senza che nessuno si sia mai accorto di nulla? Possibile che il religioso abbia organizzato due stupri di gruppo, a uso e consumo di due persone mai identificate, dietro il pagamento di 260mila euro, senza che di quei soldi sia stata trovata traccia? Possibile che la suora abbia deciso di non abbandonare l'Oasi francescana anche dopo essere stata stuprata?
Ora la parola passa ai giudici catanzaresi.


m.m.

domenica 23 settembre 2012

Miss, mia cara miss

Tratto dall'articolo "REGIONI DI LUSSO" Inchieste giudiziarie, delibere fantasiose e scandali politici: i 1.111 consiglieri regionali non si fanno mancare nulla di Chiara Paolin sul fatto quotidiano del 23/09/2012 nella sezione che riguarda la Calabria:

Nonostante i guai di deficit, la vita istituzionale calabrese è vivace.
Merito del giovane governatore Scopelliti, che come consulente giuridico ha scelto l’avvocato Cataldo Calabretta, amico delle star locali (Elisabetta Gregoraci in primis).
Anche l’assessore al Bilancio, Giacomo Mancini, ha scelto il ritmo della gioventù promuovendo a responsabile amministrativo Italia Caruso, già miss apprezzata e tutt’ora presentatrice di serate “Moda Mare a Cetraro”.
Per festeggiare questa ventata gioiosa, il presidente del consiglio regionale, Francesco Talarico, ha ben pensato di comprare 10 bandiere tricolori.
Costo: 12mila euro.

giovedì 20 settembre 2012

Un dibattito tra correnti nel Pd che guarda avanti

Renziani e bersaniani a confronto. Naccari Carlizzi critica D’Attorre

Di Saverio Paletta su Calabria ora del 19/09/2012

Se il “nuovo” che non avanza a dispetto delle troppe invocazioni, lo si potesse trovare nello “scenario”, solo per questo il dibattito di ieri pomeriggio meriterebbe un po’ d’attenzione.
La sala convegni del Museo del Presente di Rende -per capirci, a casa di Sandro Principe, il capogruppo del
Pd a palazzo Campanella-era piena di visi giovani e in buona parte sconosciuti.
Gli habitué dei dibattiti rendesi erano assenti, con l’eccezione di Mario Franchino e Pietro Ruffolo, e mancava pure il seguito che i big del Pd portano con sé.
Eppure il dibattito non è stato certo gestito da piccoli calibri del partito di Bersani: Demetrio Naccari Carlizzi, Mimmo Bevacqua, Ernesto Magorno e Giovanni Russo non sono degli ignoti.
Rappresentano (o dovrebbero rappresentare) i quadri “medi” del Pd, dentro e fuori le istituzioni, cioè quel
segmento di classe dirigente che forse soffre di più l’attuale commissariamento.
Logico che, da posizioni diverse, -“renziane” quelle del sindaco di Diamante e del battagliero esponente reggino, “bersaniane” quelle del vicepresidente della Provincia di Cosenza e del consigliere di Vibo- tentino di smuovere le acque.
Magari il titolo del convegno di ieri, “Al di la degli schieramenti, impegniamoci per riformare il Pd e la politica calabrese” era un po’ troppo “massimi sistemi” perché ne sortisse qualche esito concreto.
Tuttavia le critiche sono volate.
Innanzitutto verso D’Attorre, accusato da Naccari di «aver perpetuato l’errore di Capo Suvero impedendo i congressi: come allora il partito nazionale è intervenuto quando non doveva».
Certo, gli ha fatto eco il bersaniano Bevacqua, «i congressi devono essere un momento di discussione vera, non una semplice espressione di voto pilotata dall’alto».
E per meglio chiarirsi -più facile a dirsi data la foga- il vicepresidente della Provincia ha lanciato una proposta su cui ragionare, va da sé in maniera bipartisan: «Chi supera tre mandati deve andare a casa, non dobbiamo accettare candidati, calabresi e non, imposti da Roma, dobbiamo subito modificare la vergognosa legge elettorale», e via discorrendo.
Come dirgli di no, visto che i “quadri” e i “giovani” vogliono la stessa cosa, cioé farsi spazio? A proposito di spazi, la domanda piccante con cui si è concluso l’incontro, cioè il giudizio sul gruppo regionale del Pd, ha ottenuto risposte sfumate: si va dalle critiche accese di Bevacqua ai distinguo di Russo («Salverei Guccione e Censore»), ma nessuno ha tentato lo “scontro” diretto con il capogruppo.
Coi padroni di casa, si sa, tocca comunque essere educati.

domenica 16 settembre 2012

Maometto nelle mani degli ultracristiani - Alessandro Oppes - Il Fatto Quotidiano

Maometto nelle mani degli ultracristiani - Alessandro Oppes - Il Fatto Quotidiano

A indagare sul making of del film maledetto che ha scatenato l’ira dei musulmani, si scopre un’agghiacciante galassia di fondamentalismi pseudo-cristiani, ottusi e potenzialmente violenti. Piccoli gruppi conosciuti negli Usa per le loro sporadiche e bizzarre iniziative, forse considerati innocui perché di solito agiscono in modo indipendente l’uno dall’altro, guidati solo dal “verbo” ispirato di qualche esaltato predicatore. In questo caso, invece, un filo esiste.

Tutto ruota intorno alla figura controversa di quello che, sembra ormai certo, è il regista di The Innocence of Muslims: Nakoula Basseley Nakoula, 55 anni, cristiano copto californiano di origine egiziana. Un malfattore incallito , che due anni fa è stato condannato per truffa a 21 mesi di carcere e al pagamento di 790mila dollari di multa. La sua specialità era quella di creare conti bancari fraudolenti utilizzando identità e numeri della Social Security rubati. Poi staccava assegni a beneficio di altri conti fasulli dai quali prelevava denaro agli sportelli automatici. Un’attività per la quale si è dovuto inventare un bel numero di nomi di fantasia, cosa che spiega la girandola di identità approssimative circolate sul suo conto in questi giorni. Ci ha provato anche con i giornalisti della Associated Press, i primi a rintracciarlo, ai quali s’è presentato come Sam Bacile, “ebreo americano con cittadinanza israeliana”, risultato invece inesistente.

È bastata una rapida verifica sul numero di cellulare dal quale era partita la chiamata per scoprire che si trattava appunto di Nakoula Basseley (il nome può essere facilmente rintracciato sugli elenchi telefonici Usa, tra gli abbonati della località californiana di Cerritos). Ora la sua casa, a 40 chilometri da Los Angeles, è protetta dalla polizia, ma l’uomo potrebbe presto tornare in carcere se verrà accertato che ha violato i termini della libertà vigilata.

Ciò che in qualche modo sorprende, però, è che un personaggio di bassa lega come questo sia riuscito a catalizzare intorno al suo progetto (posto che l’idea sia stata davvero sua) l’interesse dei più svariati personaggi e gruppi dell’America anti-islamica. A cominciare dalla Ong Media for Christ, sede a Duarte, in California, che secondo quanto ha rivelato il Los Angeles Daily News, si sarebbe incaricata di produrre la pellicola. Lo stesso Nakoula Basseley viene indicato come un collaboratore di questa organizzazione (registrata come una business entity) guidata da Joseph Nasralla Abdelmasih, un cristiano copto egiziano conosciuto soprattutto per un’iniziativa provocatoria a cui partecipò due anni fa: l’11 settembre 2010, proprio nel giorno dell’anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle, con un discorso incendiario si oppose alla costruzione del “Park 51 Islamic Center” a Manhattan. “Sveglia, America”, disse Abdelmasih, aggiungendo che per edificare la nuova moschea sarebbero dovuti passare sul suo cadavere.

Le foto di quell’evento ritraggono accanto a Abdelmasih, sul palco del comizio di New York organizzato dagli attivisti islamofobi Pamela Geller e Robert Spencer, proprio quel Morris Sadek che nei giorni scorsi ha diffuso il trailer del film di Nakoula Basseley sul suo sito della National American Coptic Assembly. Nel quale, tra l’altro, compare un articolo dal titolo “La minaccia dell’Islam è reale”, in cui si presenta la religione musulmana come “una combinazione di paganesimo, culto al dio della luna Allah ed eresia cristiana”. Sadek è un sostenitore di “Act! For America”, un gruppo convinto che Barack Obama avrebbe aderito all’organizzazione dei Fratelli Musulmani.

Un altro conosciuto collaboratore di Nasralla Abdelmasih è poi Steve Klein, un ex-marine che in questi giorni ha dichiarato pubblicamente di aver partecipato come consulente alla realizzazione del film. Denunciato dal Southern Poverty Law Center come un “attivista dell’estrema destra religiosa che ha collaborato all’addestramento di milizie paramilitari in una chiesa californiana”, Klein è il fondatore dei Courageous Christians United, noti per i loro sit-in davanti a cliniche abortiste, moschee e templi dei mormoni.

Il Fatto Quotidiano, 15 Settembre 2012

venerdì 14 settembre 2012

IL PDL ASSALTA LA CANCELLIERI: REGGIO NON VA SCIOLTA PER MAFIA

Di Enrico Fierro sul fatto quotidiano del 14/09/2012

’Usciogghiunu”.
È il tormentone che infiamma questi giorni di settembre Reggio Calabria.
Il Comune sta per essere sciolto per mafia.
Lo ripetono come un brano rap consiglieri comunali e assessori che “’nnacano” lungo il corso cittadino per stringere mani e rassicurare elettori e fedelissimi.
Il terrore che agita le notti dei Demetrio Arena, detto Demi, e soprattutto del suo lord protettore Peppe Scopelliti, uno che in Calabria conta il 70% dei voti, è il tutti a casa decretato dal Viminale.
A CASA perché la ‘ndrangheta che succhia il sangue alla città è entrata in tutti gli angoli di Palazzo San Giacomo, dentro le società miste e le municipalizzate, ha suoi politici di riferimento, gente che ha chiesto i voti ai boss e li ha avuti: consiglieri comunali, assessori, uomini potenti che sono la vera macchina del consenso del Pdl.
C’è una relazione firmata dal prefetto Vittorio Piscitelli che in città definiscono “terribile”.
Una radiografia impietosa e allarmata su come i boss che da sempre comandano a Reggio hanno messo le mani sulla città.
Ma la partita ora si gioca a Roma ed è tutta politica.
Quelle pagine vergate dal prefetto e che portano a una sola, definitiva conclusione, lo scioglimento e il commissariamento per mafia, sono da settimane sul tavolo del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri. Tocca a lei proporre una decisione definitiva a Monti e all’intero consiglio dei ministri.
La responsabile del Viminale, che nei giorni passati ha inviato i commissari antimafia a Taurianova e a San Luca, ha chiesto tempo, vuole riflettere, analizzare altre carte e dossier e per questo ieri ha convocato a Roma il prefetto Piscitelli.
La decisione è di quelle da far tremare le vene ai polsi, perché mai, da quando esiste la legge sullo scioglimento per mafia dei comuni, è stata commissariata una città capoluogo di provincia.
Sarebbe una notizia mondiale.
Ma questa è solo una delle ragioni che hanno indotto la Cancellieri a chiedere un supplemento di indagine e a
rinviare la discussione prevista nel Consiglio dei ministri di oggi.
L’altra è più politica e riguarda le pressioni che sul Viminale sta esercitando il Pdl.
REGGIO è una roccaforte del partito di Berlusconi, una delle ultime in Italia e la prima nell’intero Mezzogiorno.
E Peppe Scopelliti è una delle giovani promesse del berlusconismo alla canna del gas.
In sua difesa è sceso in campo l’intero quartier generale del Pdl, con Gasparri e Cicchitto in prima fila.
“Ma la relazione del prefetto è una bomba –dice chi l’ha vista –, descrive in modo dettagliato la capacità
di penetrazione delle cosche nel tessuto istituzionale della città. Ci sono nomi ed episodi. Decidere di voltarsi dall’altra parte e di non sciogliere è praticamente impossibile”.
L’attenzione è altissima e il ministro si trova con le spalle al muro: se scioglie viene crocifissa dal Pdl, se non lo fa rischia l’effetto Crotone.
Da mesi sul suo tavolo c’è un durissimo dossier del prefetto dove si propone lo scioglimento della Provincia per infiltrazioni mafiose.
Non è stato ancora discusso dal governo provocando l’intervento dell’ufficio di presidenza della Commissione antimafia che ha chiesto di acquisire l’intero incartamento.
Clima tesissimo a Reggio, con il sindaco Arena che l’altro giorno, davanti a migliaia di reggini in processione per onorare la Madonna della Consolazione ha tuonato contro i “nemici della città”.
“Madre Santissima, intercedi affinché la cultura disgregante e autolesionista, il male principale della nostra comunità, sia definitivamente debellato”.
Non una parola contro la ‘ndrangheta, la malapolitica, i consiglieri regionali che per quattro voti baciavano le mani a boss del calibro di Peppe Pelle da San Luca, gli assessori amici degli amici.
TUTTI UNITI nella difesa del Modello Reggio.
Peppe Scopelliti ha fatto tappezzare la città di manifesti dove i reggini lo ringraziano.
Silenzio sui tre consiglieri regionali della sua maggioranza in galera, due per rapporti con la mafia, il terzo perché vendeva posti di lavoro farlocchi in cambio di voti.
Il Comune è sull’orlo del dissesto, ma negli anni del suo regno si sono buttati dalla finestra centinaia di migliaia di euro per portare starlette e figuranti del Grande Fratello.
Conta poco.
Nei giorni scorsi ha fatto arrivare da Milano Roberto Arditti, ex portavoce del ministro Scajola ed ex direttore del Tempo , per rivendicare in una intervista pubblica il suo modello.
Ha portato in città Lele Mora, Costantino, Belén: “Grazie a loro siamo entrati in un circuito di notorietà”.
La festa è finita da tempo e la musica è cambiata.
Si canta il rap, “’u sciogghiunu”.

La procura e il mistero delle coop comunali

I pm puntano a fare luce sulle diverse società, sui lavoratori e sui canali di reclutamento

Di Domenico Marino su gazzetta del sud del 14/09/2012


Congo: importante riconoscimento per Padre Fedele Bisceglia

Tratto da Telecosenza.it

Importante riconoscimento per Padre Fedele Bisceglia, l’ex frate e sacerdote condannato per violenza sessuale ai danni di una suora. Padre Fedele, che si e’ sempre professato innocente, si trova in Congo, dove sta organizzando alcune strutture umanitarie da lui realizzate in questi ultimi anni. Nei giorni scorsi ha ricevuto ufficialmente una “Attestazione di merito” consegnatagli dal prefetto del Dipartimento di Pointe-Noire. L’alto funzionario del ministero dell’Interno del Congo riconosce a Padre Fedele Bisceglia l’attestazione di merito “per il suo amore manifestato per i diritti dei ragazzi della strada, dei malati, degli orfani e per la costruzione di grandi opere”, citando in dettaglio “una clinica attrezzata”, “un orfanotrofio”, “una chiesa”, “un centro per i bambini della strada a Mvoumvou” e “un dispensario attrezzato e l’adduzione dell’acqua potabile a Pounga”.”E’ una cosa che non mi aspettavo e che mi rende pieno di gioia”, ha detto Padre Fedele, parlando al telefono dal Congo. “Ho sofferto tanto, ma il Signore mi sta rendendo felice, oggi”. “Presto tornero’ in Italia e mi e’ stato detto che in ottobre ricevero’ la visita ufficiale, a Cosenza, del segretario generale del Presidente della Repubblica del Congo e anche della segretaria generale della Fondazione Congo Assistenza. Che posso desiderare di piu’?”, dice il vulcanico frate.

mercoledì 12 settembre 2012

In bolletta il Paradiso di Padre Fedele

DiDi Saverio Paletta su Calabria ora del 12/09/2012

I fasti della carità cosentina degli anni ’90 sono lontani. E sono lontani pure i tempi in cui raccogliere i fondi per uno come Padre Fedele era uno scherzo. Non sembri un paradosso, ma la crisi manda in crisi pure chi, per vocazione e missione, si occupa delle crisi, piccole e grandi che scuotono i settori più poveri della società. Perciò quasi non meraviglia che il Paradiso dei poveri, la Onlus con cui l’ex frate cerca di continuare alla meno peggio dopo l’“Oasi” stenti a tirare avanti. Al riguardo, il paragone tra le due strutture, quella “maxi” che troneggia all’ingresso di piazza Riforma e quella “mini”, che resiste, quasi in segno di sfida, nell’appartamentino di via Montagna, è un po’ deprimente. Nel “Paradiso”, si nota soprattutto la voglia di continuare nonostante i tanti problemi e i pochi mezzi che, per povertà, ricordano il gruppo Tnt. Due stanzette più bagno al primo piano, pochi arredi, una Seicento parcheggiata sul lato opposto della strada e il “mitico” Mercedes Sprint, il furgone storico (ha 17 anni e migliaia di chilometri) di Padre Fedele, che finisce un giorno sì e uno no dal meccanico. Ieri, ad esempio, era in riparazione. «Lo dovremmo cambiare perché dà sempre problemi», dice Giovanni Valentino, un affezionato, anzi un ultrà, del monaco, legato a Padre Fedele dall’ormai lontano ’93. Inutile dire che i mezzi non si limitano a scarseggiare: mancano addirittura. Infatti, prosegue Giovanni, «il “Paradiso” esiste solo grazie alla pensione» che il religioso ha devoluto completamente con un atto notarile alla Onlus.
E da questa pensione “esce” tutto: i soldi dell’affitto, circa 200 euro al mese, le bollette di telefono e luce, entrambi in perenne rischio di sospensione per morosità, più gli imprevisti che, per chi si occupa di carità praticamente senza l’aiuto di finanziatori e appoggi esterni, sono tantissimi.
L’associazione esiste dal 2008 e ha sofferto di tutti gli alti e bassi della vita del suo fondatore: dopo il primo biennio di “gloria”, in cui, ricorda Giovanni, «gli aiuti e le donazioni arrivavano con una certa frequenza», c’è stato un certo declino.
Fino allo stop attuale, contrastato solo dalla testardaggine con cui il religioso e i suoi (pochi) volontari mandano avanti la baracca.
Come si può fare carità senza niente? «Ci sono due forni che ci regalano il pane da distribuire e poi da qualche mese abbiamo ottenuto di nuovo la collaborazione del Banco Alimentare che ci fornisce le derrate da distribuire a 35 bisognosi della città», i quali passano a ritirare le provviste in sede o ricevono a domicilio, quando il furgone non è dal meccanico.
Per il resto, niente.
«Abbiamo bussato dappertutto», pure a ditte grosse, tra l’altro già impegnate in operazioni di solidarietà, «senza avere risposte».
Nonostante i limiti si tira avanti.
La sede del Paradiso dei poveri è a dir poco spartana: una saletta con pochi mobili e un pc per il segretario e, a fianco, l’ufficio di Padre Fedele, adorno dei pochi cimeli dell’ex frate: le videocassette con le immagini
delle Missioni in Africa in cui il religioso ha trascorso larga parte della sua vita, qualche taccuino e degli opuscoletti.
Lui, Padre Fedele, è nella sua Africa dal 14 agosto.
Tornerà il 22 settembre, perché due giorni dopo inizierà il processo d’appello.
Forse il “Paradiso”, la sua ultima, gracile creatura, è pure un modo per dimostrare che il frate c’è ancora e che questo frate non è quello dipinto dalla sentenza di condanna che si appresta a combattere tra poco in appello.
«Tiriamo avanti come meglio possiamo», conclude Giovanni, «in attesa di vedere un po’ di luce».
Ma Padre Fedele e i suoi non sono soli: hanno i loro poveri nella sfida quotidiana, ai limiti dell’impossibile, di far del bene quando si è i primi ad aver bisogno d’aiuto.

martedì 11 settembre 2012

PRIMARIE PD Renzi rottama anche Veltroni

Sul fatto quotidiano del 11/09/2012

Alla sua collezione di figurine da rottamare, almeno a parole, ne mancava solo una.
Quella di Walter Veltroni.
E ieri, Matteo Renzi, l’ha trovata e sistemata accanto agli altri oligarchi del Pd.
Il principale competitor (da destra) del segretario Bersani ha liquidato così l’ideologo del buonismo e del maanchismo: “Direi che i successi maggiori li ha avuti come romanziere, gli auguro tanti romanzi belli per il futuro.
Manderei a casa Veltroni, come tutti quelli che hanno fatto più di quindici anni di Parlamento”.
La reazione dei veltroniani è stata furibonda (“Sgradevole, presuntuoso, stupido”), anche perché l’ex sindaco di Roma (assente alla chiusura delle festa del Pd bersaniano) è sospettato di fare il tifo per Renzi nella corsa delle primarie.
Ipotesi che da ieri appare molto remota.
Per par condicio, Renzi ha attaccato nuovamente anche il “nonno” D’Alema: “Ha avuto le sue occasioni ma se vinciamo noi lo manderemo a casa”.
E ancora, sempre ai vecchi: “Il vostro tempo è finito adesso tocca a noi”.

martedì 4 settembre 2012

Degrado nella zona dei "tredici canali"

Iniziamo con il selciato che in molte parti risulta assente, come possiamo vedere dalle foto

 Immondizia lasciata in mezzo alla strada evidentemente da persone con mancanza di senso civico
 Sotto la poca erba tagliata in occasione dell'arrivo di un importante personaggio
 e a pochissimi metri l'erba alta





 Qui manca una parte del pavimento e addirittura un rubinetto


lunedì 3 settembre 2012

Padre Fedele Bisceglia, dove eravamo rimasti


Tra poco ci sarà l'appello per il processo di secondo grado che vede imputato Padre Fedele e Antonello Gaudio che partono dalle deposizioni della sentenza e come disse Marco Travaglio parlando delle motivazioni di una sentenza:
"E' per questo che si dice che le sentenze vanno rispettate. Rispettare le sentenze non vuol dire non discuterle. Rispettare le sentenze vuol dire leggerle e partire dal presupposto che il giudice possa essere in buona fede. Quando uno, dopo aver letto le sentenze, scopre che il giudice ha detto delle grandi stronzate, e magari le dice per coprire qualche papavero potente scaricando le colpe sui suoi sottoposti, allora uno può persino dire non solo che la sentenza è sbagliata, ma che è pure stata scritta in malafede da parte di un giudice che non ha il coraggio di prendersela coi potenti ma soltanto coi poveracci facendo volare gli stracci. Si può dire tutto delle sentenze a patto si siano lette."
Partendo da questo presupposto sulle motivazioni di una sentenza vediamo dai giornali che nei giorni in cui uscì la deposizione cosa scrissero:
  • Marco Cribari su Calabria ora del 17/11/2011

    La suora è credibile, Padre Fedele è un religioso «vittima dei propri istinti sessuali».
    E' questo, in estrema sintesi, il succo della sentenza che lo scorso 6 luglio sancì la condanna del frate e del suo segretario, Antonello Gaudio, riconosciuti colpevoli di violenze sessuali (anche di gruppo) compiuti ai danni di una monaca siciliana.
     Proprio ieri, i giudici hanno depositato le motivazioni di quel verdetto, culminato nei nove anni e tre mesi di pena inflitti a Bisceglia e nei sei anni e tre mesi accordati a Gaudio.
    Per spiegare la condanna, i giudici si sono anzitutto richiamati alla sentenza della Cassazione che recita: «Le dichiarazioni della persona offesa, vittima del reato di violenza sessuale, possono essere assunte, anche da sole, come prova della responsabilità dell'imputato, non necessitando le stesse di riscontri esterni».
    E in effetti di “riscontri esterni”, in questa vicenda, ce n'erano davvero pochi.
    Non a caso, tutto ruotava intorno alla denuncia presentata da suor T. a ottobre del 2005, in un ufficio della questura romana.
    A quel tempo erano passati già cinque mesi dall'ultimo e presunto stupro da lei subito.
     Cinque in tutto, che a partire dal febbraio di quell'anno, avrebbero scandito il suo periodo di permanenza all'Oasi francescana. Già, ma perché dopo il primo abuso, la donna continuò a soggiornare nella struttura di via Asmara con la prospettiva di subirne degli altri?
    «Per vergogna», spiegano i giudici, e per sorta di «dissociazione» che da un lato le impediva di ribellarsi alle violenze, dall'altro le consentiva di proseguire il suo lavoro all'Oasi come se niente fosse.
    Questo per ciò che riguarda la personalità della parte offesa. «E' depressa», diranno i periti del pubblico ministero durante il processo, facendo risalire la sua patologia proprio alle violenze subite.
    «E' schizo-affettiva e con disturbi dell'umore» replicheranno i consulenti della difesa, tentando di minarne la credibilità. Alla fine, però, i giudici hanno ascolto solo ai primi.
     Per quanto riguarda, invece, la personalità dell'imputato, il collegio giudicante non ha dubbi: quello di Fedele è uno stile di vita «scabroso».
    A supporto di questa tesi, vengono i dialoghi piccanti tra il monaco e altre donne, documentati dalle intercettazioni telefoniche e, soprattutto, i racconti di altre presunte vittime di violenza venuti fuori nel corso delle indagini.
    Quasi tutte straniere, quasi tutte ex ospiti dell'Oasi francescana.
    Racconti spesso «contraddittori» ammettono i giudici, e magari finalizzati all'ottenimento di «permessi di soggiorno per motivi di giustizia».
    Ciò nonostante, per i giudici rappresentano la dimostrazione pratica di come i comportamenti del frate non siano «in linea con l'abito talare».
    Anche questo servirà a motivare la condanna.
    Riguardo al complotto: «durante il processo non è emerso alcun elemento a supporto di questa tesi».
    Che dietro all'intera vicenda ci fosse un piano per sottrarre a Bisceglia il controllo dell'Oasi, è rimasto dunque un semplice pensiero partorito dalla mente del diretto interessato, ovvero lo stesso Padre Fedele.
    «Del resto, perché la suora avrebbe dovuto immolarsi, accettando le pesanti conseguenze giudiziarie della sua denuncia?».
    Una deduzione, quella messa nero su bianco dal giudice estensore, che anticipa di fatto la resa dei conti sintetizzata in poche ed efficaci battute: «Non c'è alcun elemento per dimostrare che il racconto della suora sia fantastico».
    Del resto, l'avevamo anticipato in partenza: nei casi di violenza sessuale, per la giurisprudenza, il racconto della parte offesa è di per sé una prova e tocca alla difesa dimostrarne l'inattendibilità.
    In caso contrario, il verdetto è di colpevolezza.
    Sempre i giudici, risolvono altre due diatribe.
    La prima: la supposta impotenza di Bisceglia all'epoca dei fatti.
    «Nessuna disfunzione erettile» per i periti della Procura e capitolo chiuso.
    La seconda invece riguarda suor T. Dalla visita ginecologica effettuata all'inizio del 2006, emerse che non era più vergine.
    E dal momento che lei stessa, aveva dichiarato «di non aver avuto rapporti sessuali prima di prendere i voti», quella “deflorazione”, suggeriscono i giudici, non può essere altro che il frutto della violenza subita.
    Secondo i tecnici della difesa, invece, lo stato dell'imene dimostrava una «lunga e prolungata attività sessuale», ma questo dato non è stato ritenuto scientificamente accertabile dal collegio dei togati.
    Allo stesso modo, non si è dato credito ad Alin Ancuta, un romeno già ospite in via Asmara.
    O meglio, se n'è dato solo alla sua deposizione in aula, quando smentì di aver avuto rapporti con suor T. In precedenza, invece, aveva inviato via fax, una lettera dalla Romania dichiarando l'esatto contrario.
    A quel documento, era allegata anche una copia del suo passaporto, proprio per dimostrare l'autenticità dello scritto. «Ma Alin ha smentito decisamente tale assunto - è scritto in sentenza - Sebbene in taluni passaggi della sua deposizione appaia non genuino».
    Genuina è invece la suora, anche «quando si contraddice».
    E’ un altro aspetto valorizzato nel verdetto stilato dai giudici cosentini che, in attesa del processo d’appello, scrive la parola fine sulla disavventura giudiziaria del monaco ultrà.
    Nel frattempo, come ogni anno, lui è già in Africa.

  • Quotidiano della Calabria del 17/11/2011

    E' arrivata la motivazione della sentenza dei giudici che lo scorso 6 luglio hanno condannato padre Fedele Bisceglia (a nove anni e tre mesi di reclusione) e il segretario Antonio Gaudio (sei anni e tre mesi) per i presunti abusi sessuali commessi, tra il febbraio e il giugno del 2005, all’interno dell’Oasi Francescana di Cosenza. La suora dunque è credibile, mentre il frate è stato definito "ossessionato dalle donne". Nella motivazione si legge: «Il profilo che probabilmente ha indotto - in primis e più degli altri - ad accostarsi istintivamente con prudenza e stupore alle drammatiche rivelazioni della suora è rappresentato - si legge - dalla circostanza che il principale imputato dei gravissimi e numerosi episodi delittuosi rubricati nei capi di imputazione fosse un frate. Ed invero più che la particolare qualità della persona offesa (che, se pur anch'ella religiosa, non sarebbe, purtroppo, per questo solo motivo al riparo dai turpi e patologici istinti belluini che si proiettano nelle nostre quotidianità con atti di violenze sessuali anche ai danni di minori e di portatrici di handicap psicofisici, come purtroppo le vicende che albergano nelle nostre aule di giustizia ci ricordano), ciò che ha colpito è che l'autore dei denunciati stupri vestisse il saio e quindi improntasse la sua vita terrena ai principi dell'amore, della carità e della fratellanza. In realtà - scrivono i giudici bruzi - l'istruttoria dibattimentale ha permesso di avere un quadro della personalità del Bisceglia affatto diversa da quella che si accosterebbe ad un religioso, ponendo in evidenza come l'imputato in parola sia stato soggetto, quantomeno negli anni coevi agli episodi denunciati, alla forza irrefrenabile di istinti sessuali che lo hanno portato ad atteggiamenti quantomeno lascivi nei confronti di diverse donne». A detta dei magistrati tale atteggiamento «contribuisce a connotare di intrinseca attendibilità e verosimiglianza le sconvolgenti dichiarazioni della suora, che, alla luce del quadro di personalità del Bisceglia quale emerge dalle intercettazioni e dalle numerose deposizioni dibattimentali di donne ospiti dell'Oasi Francescana, appaiono assolutamente coerenti con siffatta personalità». Per i giudici «del tutto esplicito è il contenuto di molte intercettazioni telefoniche, in cui il Bisceglia si dimostra in preda ai propri istinti sessuali, incapace di controllarli e praticamente ossessionato dalle donne. Emblematica, tra tutte, è la conversazione in cui il Bisceglia e una donna praticano sesso telefonico, raggiungendo l'orgasmo. Assai rilevante - si aggiunge - è da ritenere poi l'intercettazione ambientale svolta nell'autovettura di Antonio Gaudio in data 27.5.2006, nel corso della quale quest'ultimo, conversando con un uomo e una donna, e commentando la circostanza che il Bisceglia era risultato negativo, a differenza della Alesci, al test Hpv, quasi si stupisce della circostanza e del fatto che il Bisceglia non avesse contratto neppure l'Aids, nonostante i suoi comportamenti in Africa». Per i giudici cosentini «assai rilevante è da ritenere la deposizione, riscontrata dalle suore escusse, dell'assistente sociale D. M., che frequentava l'Oasi Francescana per motivi legati alla sua attività lavorativa, la quale ha dichiarato che alcune donne si rifiutavano, nonostante espressa indicazione in tal senso da parte dei servizi sociali, di chiedere aiuto economico all'Oasi perché sapevano che, in cambio, padre Fedele, avrebbe chiesto loro “di andare a letto” . La stessa Miceli ha inoltre confermato che, avendo parlato con Suor T., suor Loredana e suor Maria, queste ultime le avevano confidato che il Bisceglia le importunava e che aveva atteggiamenti lascivi nei confronti di ospiti dell'Oasi; la teste ha dichiarato che lei aveva consigliato loro di denunciare i fatti all'autorità giudiziaria, anche se le aveva avvertite del fatto che il Bisceglia era una persona molto conosciuta e che gli enti preposti avevano nei suoi confronti una fiducia maggiore di quella che potevano avere loro». Dalle dichiarazioni raccolte nel corso dell’istruttoria dibattimentale e dalle intercettazioni sarebbe emersa «da un lato la personalità morbosa del Bisceglia che era di fatto ossessionato dal tentativo di soddisfare i suoi desideri sessuali e di dimostrare la propria virilità, dall'altro la triste realtà delle ospiti femminili dell'Oasi Francescana». Per quanto riguarda Antonio Gaudio, definito il “braccio destro” di Bisceglia, per i giudici «sono emersi, dall'istruttoria, diversi e convergenti elementi in merito alle sue attenzioni di natura sessuale nei confronti delle ospiti dell'Oasi. Innanzitutto già dalle intercettazioni si ricava come anche il Gaudio ponesse in essere condotte sessuali esplicite all'interno dell'Oasi. A conferma dell'attendibilità delle dichiarazioni di suor T., suor Loredana e suor Maria circa la visione di immagini pornografiche da parte del Gaudio sul suo computer, vi sono gli elementi emersi a seguito del sequestro di materiale informatico operato dalla polizia giudiziaria a carico del Gaudio nei locali a piano terra dell'Oasi al momento dell'arresto di quest'ultimo e del Bisceglia, e su cui hanno deposto gli Ufficiali di polizia Mirabelli , Gentile e Tocci nonché il consulente del pm Tarsitano. In particolare - si ricorda nella motivazione - è stato rinvenuto, sebbene all'interno del computer portatile del Gaudio (e non nel pc dell'ufficio), un video contenente immagini pornografiche in cui erano immortalati due uomini e una donna vestita da suora (filmato, comunque, nel quale non si è riconosciuta la suora)». Le motivazioni sono ora in mano agli avvocati Eugenio Bisceglia, Franz Caruso, Roberto Loscerbo ed Elisa Sorrentino. Il tempo di leggerle e si procederà con l’impugnazione. Si andrà, insomma, in Appello. Evidenziata «la triste realtà delle ospiti della struttura»
  • Gazzetta del sud del 16/11/2011


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