sabato 4 febbraio 2012

“Io e il boss: quando da piccoli giocavamo assieme”

di Fabrizio d’Esposito sul fatto quotidiano del 04/02/2012

Nino D’Angelo racconta e mima. Si stende sul divano di casa sua, con le mani dietro la testa, e rivela: “Le nostre case erano nella terra dell’aeroporto. Io e lui scavalcavamo il filo spinato e ci coricavamo sull’erba per guardare in cielo. Ci facevamo “passare” i Boeing addosso. Era uno spettacolo”. Sulla Cassia a Roma cadono fiocchi enormi di neve. Il cantautore napoletano, l’ex caschetto biondo padre di tutti i neomelodici, è reduce dalla prima nella Capitale del suo nuovo spettacolo: “C’era una volta... un jeans e una maglietta”, all’Ambra Jovinelli fino al 12 febbraio. La scena che sta descrivendo risale a quasi mezzo secolo fa. Nino è un
bambino che vive a Casoria, appena oltre l’ultimo quartiere a nord di Napoli, San Pietro a Patierno. La terra dell’aeroporto di Capodichino. “Io e lui”: due ragazzi di strada. Da grandi uno diventerà cantante, l’altro boss di camorra.
Vi siete più rivisti?
Quattro o cinque anni fa dal barbiere a Capodichino, come due clienti normali. Parlammo del Napoli, poi lui
mi chiese delle canzoni scritte dai camorristi in carcere. Allora ero direttore artistico della festa di Piedigrotta. Io selezionavo i testi, ma senza sapere dichi fossero, tutti in forma anonima.
Anche lui aveva scritto una canzone?
No, ma voleva sapere perché nessuno di questi testi avesse superato la selezione.Io gli risposi che tutti i detenuti scrivono la stessa cosa.
Cioè?
N’auciello che vola, un uccello che vola, è l’immagine più ricorrente. Ma tutti si credono di avere scritto una cosa originale. Lui continuava a parlare e io mi distraevo guardandolo, andavo con la testa al passato.
Le corse all’aeroporto.
E le partite a pallone nel nostro caseggiato di palazzine. Eravamo fortissimi tutti e due. Io mezza punta e lui mediano. Ritornando alla sua vita di boss, ricordo che gli chiesi: “Tu queste cose da piccolo non le facevi. Perché adesso sì?”. La sua famiglia campava normale, brava gente.
Che cosa rispose?
Voleva avere le stesse possibilità degli altri: comprarsi la macchina, permettersi il lusso. Mi diede l’impressione di un ribelle, persino di un comunista. Un ribelle con le risposte sbagliate. Andai a casa e composi una canzone al pianoforte, che oggi fa parte del mio ultimo album, “Tra terra e stelle”.
Da allora?
L’hanno ammazzato, l’ho saputo dal telegiornale. Mi è dispiaciuto, perché la morte non si augura a nessuno.
Il tuo primo 45 giri è la storia di uno scippatore. Un delinquente minorenne che ruba per sfamare la famiglia e alla fine viene perdonato dalla signora scippata e dai carabinieri.
Bisogna sempre distinguere tra guagliune e mieza ‘a via e guagliune ‘e malavita. Ragazzi di strada e ragazzi di malavita. I primi camminano su un filo, possono sbagliare perché non hanno alternative. I secondi sono persi.
Da ragazzo di strada ti sei salvato.
Sono stato fortunato a incontrare persone che mi hanno spronato a cantare. Una di queste, avevo tredici anni, un giorno tracciò una linea bianca per terra e mi diede i soldi per non superarla.
Che c’era dall’altra parte?
La delinquenza, la camorra. Il male non si gestisce mai, figuriamoci a quell’età. E solo oggi che vivo bene, che sono sazio, comincio a capire le ingiustizie di allora.
La malavita, come racconti nel tuo spettacolo, una sorta di signor N sulla tua carriera, l’hai solo cantata.
Erano gli anni Settanta e la fine del festival di Napoli fece sparire la canzone classica. Si sopravviveva con testi
che gli autori scrivevano copiando i titoli della cronaca nera, da “Calibro 9”a“Cella 17”
Si “facevano ”i matrimoni per guadagnare all’inizio.
In un giorno cantavo anche a dieci matrimoni. Sì, capitavano banchetti di camorristi, ma questo lo capivo dopo. Erano gli impresari a dirmi dove andare e io andavo.
Il tuo caschetto biondo è stato il capostipite dei neomelodici.
Poi io ho sviluppato un’altra strada, i neomelodici invece sono finiti già dieci anni fa. Spremuti e usati.
Anche oggi che sei stato sdoganato dalla critica nelle tue canzoni c’è l’ossessione dei ragazzi che sbagliano.
Quando lo Stato non c’è, la camorra diventa un’assistente sociale. E se qualcuno commette un’illegalità, lo Stato molte volte fa finta di non vedere perché sa di avere torto. Ci vorrebbero 500 mila Saviano per denunciare e abbattere il Sistema.
Mario Merola, di cui sei stato “figlio”ribelle, disse che sei andato via da Napoli perché non avevi le palle per dire di no a qualcuno.
Lasciamo stare Merola. Io sono scappato perché una mattina la camorra mi ha sparato sui vetri di casa e mi sono sentito offeso.
Quando è successo?
Dopo il primo Sanremo, nel 1987. Mia moglie andò subito a denunciare tutto.
Che volevano?
Erano cani sciolti, volevano soldi. Mia moglie, coi nostri figli, si trasferì a Roma. Ma io, cinque giorni alla settimana, vivo a Napoli. Non posso fare a meno di questa città e non mi sono mai messo paura.

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