martedì 19 giugno 2012

Sulla Salerno-Reggio Calabria il pizzo è una tassa. Le famiglie ‘ndranghetiste che chiedono il 3% alle imprese

Sulla Salerno-Reggio Calabria il pizzo è una tassa. Le famiglie ‘ndranghetiste che chiedono il 3% alle imprese

di Enrico Fierro da il Fatto quotidiano

Io non è che sono venuto da voi per mille euro, che io gli piscio, ma per la scostumatezza che avete avuto. Perché venite da fuori e avete fatto lavori a casa mia”. Autostrada Salerno-Reggio Calabria, 433 chilometri di ‘ndrangheta. “Il corpo di reato più lungo del mondo”, dove la mafia più potente chiede il pizzo, impone ditte per i subappalti, stabilisce buone relazioni con i colossi delle costruzioni italiane, mantiene l’ordine quando si può e quando gli accordi non vengono rispettati l’ordine lo sovverte a suon di bombe nei cantieri e minacce. Quello dell’autostrada, ci dice un investigatore, è un osso che i mammasantissima non molleranno mai. In ballo ci sono tanti soldi: almeno altri 10,2 miliardi (erano 5,8 secondo i calcoli fatti nel 2002) per tratti da appaltare o da progettare. Qui le carte le dà la ‘ndrangheta, il resto (Anas, colossi nazionali dei lavori pubblici e Stato) sono giocatori che sanno di dover perdere. Vittime o complici, a seconda dei casi e delle convenienze.

E CHI VARCA il check-point di Eboli non deve essere “scostumato”, come dice il boss intercettato in una delle tante inchieste (sette negli ultimi anni) sulle infiltrazioni mafiose nei lavori della Salerno- Reggio Calabria. Comportarsi in modo educato significa pagare. Almeno il 3% sull’importo dei lavori, che i boss gentilmente definiscono “tassa ambientale”. Basta versarla con puntualità e si vive tranquilli . Il geometra Talarico, che lavora per il consorzio Baldassini- Tognoli, un giorno vive la peggiore avventura della sua vita. Mentre sta lavorando in un cantiere viene avvicinato da due giovani che lo minacciano e gli chiedono il pizzo. É terrorizzato, non sa che fare. Si tranquillizza solo ventiquattro ore dopo, quando quei due picciotti impudenti si ripresentano accompagnati da un vecchio. Don Mico, si chiama, e dice poche parole: “Il geometra è con me, come vi siete permessi? Ora prendete quelle paline a aiutatelo a misurare il terreno, che gli avete già fatto perdere un sacco di tempo”. Talarico è allibito quando racconta la sua giornata nera a un amico: “Gioia Tauro, Rosarno e un altro paese che non mi ricordo il nome, lo chiamano il triangolo della morte. Te l’ho detto che mi hanno fermato e mi hanno puntato una pistola in faccia?”. Funziona così in Calabria, dove la ‘ndrangheta ha trovato un sistema scientifico per spremere fino all’osso i miliardi dell’autostrada. Lo racconta, da pentito, Antonino Di Dieco, commercialista imparentato con importanti boss e consigliori della famiglia Pesce di Rosarno. Intanto bisognava appianare tutti i contrasti tra le cosche che avevano provocato attentati e morti fino a tutti gli anni Ottanta. Per questo, una sera del 1999, le famiglie si riuniscono in un bar di contrada Bosco a Rosarno, il regno dei Pesce e dei Bellocco. “Le controversie tra le cosche – racconta il pentito – andavano sanate per permettere alle aziende di pagare regolarmente senza che venissero danneggiati i mezzi”. La “tassa ambientale”, per la ‘n d ra n g h e - ta. Il “cash flow”, per il manager di un grande consorzio. Ma come si stabilisce il pizzo, la quota da pagare? Lo spiega Di Dieco. “Esaminai i bilanci, i business plane e diedi la mia consulenza. Alterando le fatture di costo si poteva creare una somma di denaro che poi veniva destinata al pagamento del 3%. La ‘ndrangheta riceveva i soldi e la società che si era aggiudicata i lavori pagava senza mettere mano alle proprie casse, bensì da questo surplus che si creava dai costi elevati nelle fatture che presentavano le ditte in subappalto”. Si gonfia sul costo del noleggio delle attrezzature, ma anche truccando carotaggi e analisi. Sabbia di fiume e di mare, asfalti scadenti, vengono classificati come materiale eccellente.

COME HANNO reagito i grandi colossi, ce lo spiega un’inchiesta del pm Roberto Di Palma. “Sia Condotte che Impregilo avevano compreso molto bene la realtà mafiosa della Calabria, insediando rispettivamente nelle loro società D’Alessandro Giovanni e Miglio Francesco, personaggi che da sempre avevano avuto a che fare con esponenti della ’ndrangheta e con imprese di riferimento delle cosche”. I due tecnici vengono nominati entrambi capo area per la Calabria. La terra dell’autostrada della ‘ndrangheta. Con i suoi boss bisogna accordarsi, anche trovando, parola di un manager, ‘ditte a modo’ per i subappalti. Perché la ‘ndrangheta non è un fenomeno folk, tutto tarantella e ‘nduja, ma grande business criminale. Ce lo spiega l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia definendo la mafia made in Calabria “una presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore indefettibile di ogni potere politico e amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l’aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale”.

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