martedì 3 aprile 2012

UN GRANDE meridionalista

«Ci manca con le sue scelte coraggiose e anche con le sue bizze»


Di Sandro Principe su Calabria ora del 03/04/2012


Di Giacomo Mancini in questi giorni si è scritto molto, e reputo assolutamente superfluo un mio ricordo che finisca per essere ripetitivo di valutazioni e giudizi largamente condivisi.
Preferisco, pertanto, sintetizzare la mia condivisione su quanto ho letto, dicendo che Giacomo è stato certamente un importante leader di caratura nazionale, un ottimo ministro, un bravo sindaco e, soprattutto, un appassionato meridionalista, innamorato visceralmente della Calabria e della sua Cosenza.
Un autentico socialista che ha attraversato una fase massimalista e frontista per approdare, nella parte più significativa della sua vicenda politica, ad un riformismo autentico fatto di programmi, di obiettivi e di realizzazioni.
Sul suo essere stato socialista e, quindi, un impegnato esponente della sinistra italiana non debbo aggiungere altro, poiché questo è sacralmente vero senza l’ombra del minimo dubbio; c’è da dire che questo bagaglio culturale racchiude un antifascismo militante e viscerale, che lo vide esponente della Resistenza a Roma, nemico della destra sempre, avversato scorrettamente dagli ambienti neo fascisti sino al punto da essere ferocemente e simbolicamente additato al pubblico ludibrio dai “Boia chi molla di Reggio Calabria”.
Trovo, pertanto, quanto meno di poco gusto vederlo oggi celebrato da costoro.
Con mio padre è stato amico sin dagli anni Quaranta, anche se Mancini era frontista con Nenni, mentre Cecchino Principe era autonomista nel ’48 con Pertini e, successivamente, con Nenni e per il resto della sua vita.
L’amicizia si incrinò nel 1963, quando mio padre fu il primo eletto in provincia e nella città di Cosenza e Giacomo Mancini, che aveva una visione aristocratica del partito, anche se condita con un tratto compiacente e sinceramente affettuoso per i ceti popolari, questo risultato non lo digerì e non lo perdonò.
Nel 1968, all’apice della sua potenza cercò di far fuori Cecchino Principe nelle elezioni politiche; non vi riuscì, ma impedì che mio padre fosse nominato ministro.
Seguirono periodi di alti e bassi, per finire al ritorno ad una sincera amicizia negli ultimi anni della loro vita.
Nei miei confronti, Giacomo Mancini, ha avuto un rapporto altalenante, condizionato dalla contingenza politica; mi apprezzò quando ero giovane dirigente politico perché sostenevo l’esigenza di un accordo stabile tra il vecchio Mancini ed il vecchio Principe.
Ero convinto, infatti, che, essendo la Calabria, all’epoca, la Regione più socialista d’Italia, una loro intesa avrebbe consentito a Mancini di restare segretario nazionale del Psi ed a Principe padre di diventare ministro. Del resto, a conferma di questo assunto, nel 1972 Mancini perse il Congresso di Genova poiché, in ragione delle liti intestine, gli iscritti della Calabria non furono conteggiati ai fini del risultato finale.
Eletto sindaco di Rende nel 1980, Mancini era convinto che avrei pagato quel risultato.
Poi, prendendo atto del mio successo ed anche dell’accoglienza che mi fece il partito e l’elettorato socialista calabrese nel 1987, soprattutto in provincia di Cosenza, dove arrivai prima di lui, mi avversò sordamente; in
modo particolare dopo il 1992, quando risultai il primo eletto in Calabria e Giacomo Mancini,con la preferenza unica, non risultò.
Quando divenne sindaco di Cosenza nel 1993, con la nostra opposizione, fece di tutto perché sul mio nome non si raggiungesse l’accordo di tutto il centrosinistra nelle elezioni amministrative di Rende del 1999.
Allorché fui, poi, eletto sindaco i rapporti si distesero molto e diventammo, si può dire, pur nella grande differenza di età, amici; ci consultavamo continuamente e quelli furono gli anni della grande collaborazione tra Cosenza e Rende, che partorirono il Psu, il Pit delle Serre Cosentine, che lui volle fosse da me presieduto, e la elaborazione e l’avvio di grandi progetti come il viale Parco, la metropolitana leggera, il Piano strategico Cosenza-Rende ed anche la gestione comune dei rifiuti che, in quella fase, funzionò abbastanza bene.
Questo periodo di serena condivisione di responsabilità municipali fu turbato solo durante le elezioni regionali del 1995, quando Giacomo Senior candidò Giacomo Junior con il Pse, ed io, pur non ostacolandolo minimamente, non lo sostenni poiché ero un dirigente dello Sdi.
Mi piace molto ricordare che, in uno dei nostri ultimi incontri, mi fece quasi giurare che non avrei mai litigato con Giacomo Junior e che uscendo dalla sala operatoria, poco prima della morte, mi fu riferito che avesse domandato: “Ma Sandro è venuto”?
Sul piano politico generale, in estrema sintesi ho già detto, ma mi preme aggiungere che il suo socialismo, che era caratterizzato certamente da una visione laica e garantista, era originale sulle questioni di macro economia, in quanto Mancini era assai critico verso il pensiero dominante del socialismo italiano che, se si prescinde da grandi pensatori, come ad esempio Salvemini, nella sua espressione partitica non ha mai posto la questione meridionale come questione centrale e nazionale.
Mancini era un meridionalista convinto, realista e pratico, nel senso che, giunto, per dirla con Nenni, “ nella stanza dei bottoni”, esercitò il potere per realizzare politiche meridionaliste.
Ed, invero, per quasi 140 anni la gran parte degli studiosi ha sostenuto che la minorità più emergente del Mezzogiorno era costituita dal suo isolamento.
Mancini ruppe l’isolamento del Mezzogiorno e della Calabria realizzando l’autostrada Sa- Rc, avviata con il governo Fanfani, ma che si era praticamente arenata prima che Mancini divenisse ministro dei LlPp.
Ruolo che gli consentì di dotare la nostra regione di acquedotti, fognature, scuole, ospedali, strade di ogni ordine e grado, al punto da poter dire che senza queste opere oggi la Calabria sarebbe altra cosa, e non certo
migliore.
Si diceva che sul suo tavolo di ministro ci
fossero 4 cartelle: Italia, Prov. di Cs, Prov. di Cz e
Prov. di Rc.
Si impegnò anche alacremente per avere l’Università della Calabria a Cosenza, che per verità avrebbe voluto localizzare a Piano Lago; con riferimento alla realizzazione dell’Unical, debbo aggiungere che è ingiusto non ricordare il ruolo svolto per l’ateneo da Riccardo Misasi e da Francesco Principe, che vincolò, quest’ultimo, 600 ettari di terreno per consentire ai progettisti partecipanti al concorso internazionale di redigere liberamente il progetto per localizzare l’Unical ad Arcavacata, e l’azione dei sindaci di Rende che si sono poi succeduti, che hanno favorito l’esproprio di ben 200 ettari di territorio, dotando dei servizi e delle opere necessarie questa grande fucina per la formazione delle future classi dirigenti calabresi e per la produzione di ricerca applicata di qualità, senza la quale la Calabria non potrà mai aspirare ad avere un avvenire produttivo; quel-
l’avvenire produttivo che Giacomo Mancini, con alcuni dei suoi colleghi del tempo, pur errando nella
scelta dei settori, quali la siderurgia, ormai matura, avevano tentato di assicurare alla Calabria sin dagli
anni Settanta.
La vicenda dell’autostrada del sole è paradigmatica per spiegare il Mancini ministro.
La volle fortissimamente imponendola al suo partito, al governo ed alla burocrazia ministeriale; la stessa cosa, ad esempio, non riuscì a fare, perché non dotato della stessa forza di carattere, Riccardo Misasi nel 1988,
allorchè la società Autostrade Spa, allora dell’Iri, era disposta ad ammodernare con tre corsie, corsia di
emergenza e con gli accessi vincolati la Sa-Rc, chiedendo la proroga della concessione al 2018.
Di questo episodio ho un ricordo vivo e personale perché ero deputato e membro della commissione ambiente e fui, nel mio piccolo, anche protagonista: la lobby dell’Anas si oppose e Misasi, che era
sottosegretario alla presidenza con De Mita, fece marcia indietro, e dopo 25 anni stiamo ancora patendo per una misera corsia di emergenza in più.
Sono convinto, anche se la storia non si fa con i se e con i ma, che se ci fosse stato in quel momento Mancini le cose sarebbero andate diversamente e l’Italia, che all’epoca aveva il primato autostradale in Europa, per la miopia dei successori di Mancini al ministero dei LlPp, non sarebbe precipitata all’ultimo posto, trascurando, nel contempo, totalmente di potenziare il trasporto su ferro e su acqua.
Mi piace in definitiva celebrarlo anche come sindaco, perché capì l’importanza del recupero e della rivitalizzazione del centro storico, puntando anche sulla cultura e sulla editoria, verso le quali era stato sempre sensibile ed attento con eventi, come il premio Sila, e con il suo impegno per sostenere iniziative per dare voce alla Calabria.
Il paesaggio lo inteneriva ed era apprezzato da Mancini, ed anche per questo da riformista capì che bisognava fermare il massacro del territorio, non solo nella Valle dei templi di Agrigento, ma in tutto il Paese, promuovendo e facendo approvare la legge Ponte ed il d.m. del ’68, sugli standards urbanistici.
Per onestà intellettuale, volendo dire la verità di ciò che penso, questa lucidità non l’ho ritrovata nel nuovo Prg di Cosenza, che, volendo far concorrenza a Rende sulla quantità, in definitiva ha finito per favorire Rende, perché il blocco dell’edilizia nella città di Arintha, in concomitanza con l’espansione cosentina, ha reso possibile una migliore qualità del disegno urbano rendese a discapito della nuova Cosenza, che avrebbe avuto bisogno di sventramenti, di demolizioni e ricostruzioni.
Penso che amasse molto i bambini e lo ha dimostrato introducendo il vaccino antipolio Sabin, quando era ministro della Sanità, salvandone molti da quel flagello.
Debbo dire che ci manca molto con la sua cultura politica, il suo lucido ragionare, la sua capacità di assumere decisioni coraggiose ed anche con le sue bizze e le sue impuntature, che hanno rappresentato una parte notevole nella vita del vecchio Partito Socialista, che ci manca tanto; ed insieme a lui, mio padre, per non parlare di grandi figure nazionali come Nenni, Pertini, Lombardi, De Martino, Craxi, etc.
Forse, per verità, ci manca meno quel suo essere aristocratico al punto da sfiorare una visione proprietaria del partito, che dava luogo a comportamenti che apparivano ritorsivi e vendicativi e che, sia pure non caratterizzanti di una personalità molto complessa e prevalentemente positiva, si fa tuttora fatica a giustificare.

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