sabato 31 dicembre 2011
Cattive abitudini a Cosenza
In questa lettera di un cittadino indirizzata al direttore del Corriere della Calabria, si evince con forza la cattiva abitudine da parte del comune di Cosenza di favorire prioritariamente e gratis le autorità cittadine nelle prime degli eventi del teatro Rendano e non solo mentre colui che scrive, Riccardo Filici, mette giustamente in paragone con altre realtà quale quella della Milano di Giuliano Pisapia dove lo stesso ha abolito tutte le tessere e i biglietti omaggio per gli spettacoli della Scala, mentre sembra ancora radicata questa cattiva abitudine a Cosenza, oltretutto dove molte non si registra nonostante tutto il pienone, e si chiede il lettore, sindaco, forse il nostro Teatro (Rendano) è più ricco della Scala?
venerdì 30 dicembre 2011
«La metro? È un imbroglio»
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Nella foto in ordine: Vittorio Cavalcanti sindaco di Rende (cs), Mario Maiolo e Sandro Principe consiglieri regionali, Cinzia Gardi e Carlo Guccione consigliere regionale - I consiglieri del Pd accusano: Scopelliti continua a mortificare Cosenza
Servizi di Saverio Paletta su Calabria ora del 29/12/2011Da copione l’incontro di ieri dei consiglieri regionali cosentini del Pd: attacco tosto - gestito a tre vocida Sandro Principe, Mario Maiolo e Carlo Guccione - alla giunta Scopelliti e difesa dell’area urbana diCosenza, di cui la metropolitana leggera, di cui i democrat temono il ritardo, dovrebbe essere il tassello iniziale. Da copione pure l’annunciata partecipazione di Carlo Guccione, a completo agio tra i colleghi. Assente giustificato Mario Franchino «che comunque combatte la nostra stessa battaglia», ha precisato il capogruppo del Pd. Da copione, ma non troppo, lo scenario: l’hotel San Francesco di Rende, chéz Sandro Principe. Il che dalla scena potrebbe portare dritto al retroscena: un Pd cosentino che, almeno a palazzo Campanella, inizia a compattarsi e a usare una voce sola. E l’occasione è stata offerta dal mancato avvio del bando per la metropolitana leggera. Che nel Principe-pensiero assume pure aspetti “ideologici”, perché fa tutt’uno con il concetto di area urbana e, in prospettiva, di città unica. «Il nostro è un lamento culturale», ha esordito il capogruppo regionale del Pd, «dovuto al fatto che l’idea di area urbana è in arretramento con l’attuale amministrazione di Cosenza», accusata di “cosentinismo”. E il dibattito sulla metro, annunciata a febbraio e finora mai appaltata (mentre l’appalto della metro catanzarese è partito proprio ieri), a dispetto di un cronoprogramma rigido, sarebbe il sintomo più importante di questo vento mutato, di cui Principe vede la premessa «nei fondi Pisu, che rischiamo di perdere per le decisioni di Mario Occhiuto di non completare le infrastrutture comuni all’area urbana» e le intenzioni «in una consonanza tra Palazzo Alemanni e Palazzo dei Bruzi». Il big del socialismo rendese si è fermato qui («non facciamo dietrologie ma ci basiamo su dati») e, prima di passare la pallaa Carlo Guccione, ha chiesto «risposte chiare e certe a Scopelliti, Gentile e Mancini, perché tra la metropolitana e i Pisu la nostra area urbana potrebbe ottenere oltre 200 milioni di fondi europei che, allo stato, rischiamo di perdere». Sulla stessa linea Carlo Guccione: «La metropolitana leggera è stata lanciata dal centrosinistra, che ha le carte in regola per parlare, a differenza del Pdl e del’Udc che ostacola il processo dell’area urbana, di cui i trasporti sono l’asse portante». Un’area urbana che, «se realizzata sarebbe la più importante tra Napoli e Reggio e che l’attuale governo regionale vuole abortire». Un siluro a tripla penetrazione: da Cosenza a Reggio attraverso Catanzaro. Con il solito aplomb gelido, Mario Maiolo si è lanciato in una serie di calcoli, con cui ha spiegato due cose: innanzitutto, perché la metropolitana è stata contabilizzata mentre l’appalto langue, e poi, in punta diallusione, perché i fondi potrebbero finire altrove. «La Regione dovrebbe rendicontare 370 milioni difondi Fesr, dai quali può defalcare le somme per le grandi opere», ha attaccato Maiolo. Infatti, «mettere a bilancio anche la metro cosentina ha consentito a Scopelliti di rendicontare “solo” 286milioni». Più piccante l’analisi dell’ex assessore sul secondo punto: «Ricordo che i sindaci arbreshe, quasi tutti cosentini, hanno protestato perché i fondi per le minoranze linguistiche, destinate anche ai loro comuni, sono stati spesi solo per le aree grecaniche». Nulla di strano, seguendo il ragionamento di Maiolo che i soldi finiscano altrove, visto che la volontà politica, secondo i consiglieri democrat è «tenere Cosenza sotto tono».
- I consiglieri del Pd accusano: Scopelliti continua a mortificare Cosenza
- Il Pd cosentino si compatta sulla metropolitana leggera
Dopo mesi di gelo politico Carlo Guccione ha partecipato ieri a un dibattito con Principe e Maiolo
Ciò che Cosenza divide - e divide tanto, visto che i democrat bruzi sono rimasti con poco proprio nella loro roccaforte - Catanzaro unisce. E così, dopo mesi di gelo, qualcosa si è mossa, nel Partito democratico cosentino. Infatti, ieri pomeriggio si è svolto a Rende un dibattito sulla metropolitana leggera, organizzato da Sandro Principe, il capogruppo del Pd a palazzo Campanella, al quale ha partecipato, dopo mesi di gelo politico, Carlo Guccione. Che ha dimostrato una consonanza quasi perfetta con Principe e Mario Maiolo. Il tema è di quelli grossi: la metropolitana leggera che, secondo i consiglieri bruzi, rischia di abortire perché, a differenza di quella catanzarese, non è stata ancora appaltata, a dispetto di un cronoprogramma rigido. E’ grosso pure il bersaglio: non tanto e non solo Palazzo dei Bruzi, le cui titubanze pesano comunque sui ritardi dell’opera. Ma addirittura la Regione, a cui tutti, Principe in testa, hanno rivolto un’accusa pesante: «Vogliono far fallire la nostra area urbana», di cui la metropolitana sarebbe uno degli assi portanti. L’accusa di “anticosentinismo” rivolta a Catanzaro - e quindi a Reggio - non è nuova: la si è sentita più volte in bocca ad Oliverio e a
molti sindaci della provincia. Stavolta è cambiata la portata, visto che i democrat bruzi hanno spostato il confronto dai territori provinciali ai capoluoghi. «Un’opera pubblica non può durare tanto», ha specificato Guccione. Mentre Maiolo ha paventato il rischio che i fondi possano finire in altre direzioni: «E’ già capitato con i finanziamenti per le minoranze linguistiche, rivolti in origine anche alle aree arbreshe e finiti solo in quelle grecaniche». E’ presto per dire che il Pd cosentino scoppi di salute. Ma
di sicuro il gruppo regionale ha dato un esempio di “disciplina” inedito da tempo, almeno sulle due sponde del Campagnano. Certo, non è casuale che il tutto si sia svolto a Rende, l’ultima roccaforte. Evidentemente, tutti i gruppi per risolvere i loro problemi cercano un Principe.
LA MAFIA? è anche nella politica...
Il pm Facciolla: Cosenza come Reggio, alla base delle connivenze interessi personali e grossi gruppi di potere che tutelano se stessi
Intervista a Eugenio Facciolla a cura di Marco Cribari e Francesco Ferro su Calabria ora del 29/12/2011
Eugenio Facciolla ha due espressioni: col sorriso o senza. Il tono di voce, invece, è sempre lo stesso, quasi baritonale. Un bel calabrese insomma. Magistrato di lungo corso, pur se ancora giovanissimo, negli ultimi 15 anni ha istruito le più importanti inchieste giudiziarie, antimafia e non, del Cosentino; prima nelle vesti di
pm della Dda catanzarese, poi come sostituto della Procura di Paola. Attualmente, ricopre il ruolo di sostituto procuratore della Corte d’appello di Catanzaro. Lo incontriamo proprio a Cosenza, la sua città, in occasione di un convegno sulla legalità a cui parteciperà come relatore. Un’occasione propizia per commentare con
lui i recenti scossoni giudiziari che hanno interessato la Calabria e che hanno messo in luce profonde
connivenze tra criminalità organizzata, politica e istituzioni.
Il comandante provinciale dei carabinieri ha affermato, di recente, che a Cosenza non c’è la mafia, riproponendo un po’ il “teorema Arlacchi” del gangsterismo.
«Io, però, ho dato una lettura diversa delle sue affermazioni. Ferace commentava provocatoriamente
l’esiguità delle denunce antiracket in città. Come a dire: se nessuno denuncia, allora vuol dire che la mafia non esiste?
Invece, la mafia esiste eccome, anche qui».
Ed è insidiosa come quella reggina?
«Sono bande organizzate che, però, si sono evolute, realizzando un salto di qualità in termini criminali.
Certo, a differenza di Reggio, la malavita cosentina è meno legata a forme tradizionali ed è poco propensa a compiere azioni eclatanti, ma ricordiamoci che solo nel 2000 qui si sono contati 24 morti. E che della vicenda s’interessò anche la Commissione antimafia di Lumia, mostrando molta sensibilità per ciò che stava accadendo a Cosenza».
Sono lontani, quindi, i tempi in cui, a torto o ragione, la città veniva considerata un’isola felice?
«E’ sempre stato uno stereotipo poco conforme alla verità. E con ciò non voglio dire che Cosenza non sia una realtà civile e al passo con i tempi. Ma le infiltrazioni, le commistioni, ci sono anche qui».
Il vescovo Nunnari ha detto che non è la politica a essere sporca ma sono sporchi alcuni uomini che fanno politica. I sospetti relativi a legami tra politica e criminalità, riguardano anche Cosenza o, salvo eccezioni, vanno circoscritti ad altre realtà calabresi?
«Il vescovo ha centrato il problema. Bisogna capire quali sono gli uomini che fanno politica e perché. C’è chi vede la politica come uno strumento per ottenere vantaggi personali. Ci sono poi degli imprenditori, o meglio ancora “prenditori”, che entrano in politica per tutelare se stessi. Di gente così ce n’è anche a Cosenza. La differenza con Reggio Calabria è che lì sono stati fatti dei grandi passi in avanti in termini investigativi.
Altrove, invece, il lavoro è appena all’inizio. Non è un caso se, da trent’anni a questa parte, nelle inchieste per usura, droga, estorsioni, ricorrono sempre gli stessi nomi».
In tutto ciò, le forze dell’ordine lanciano un grido allarme: i cittadini non denunciano.
«A Cosenza il pizzo lo pagano tutti. E questo, purtroppo, non è un mistero».
E gli amministratori pubblici, invece? Quale segnale virtuoso potrebbero dare alla gente?
«Beh, anche tra loro è difficile trovarne qualcuno propenso a denunciare. Io, personalmente in tutta la mia carriera, non ne ricordo neanche uno. La verità è che, alla fin fine, i voti servono a tutti e non si fa caso alla direzione dalla quale provengono. In generale sulle iniziative concrete prevalgono quelle “di facciata”».
Come le costituzioni di parte civile, ad esempio?
«Ad esempio. In particolare quelle nei processi antimafia, dove alla fine si impone al condannato un risarcimento che lo Stato non vedrà mai poiché, quasi sempre, si tratta di soggetti nullatenenti. La cosa
grave, invece, è che nei processi per truffa le costituzioni di parte civile servirebbero davvero e non ci sono mai. Le faccio un esempio definitivo: in questi anni sono stati incardinati numerosi processi per stangate milionarie alla 488 e non solo, culminati in condanne di primo grado e assoluzioni in Appello per intervenuta prescrizione. All’assoluzione, poi, coincide la restituzione dei beni posti sotto sequestro che, spesso e volentieri, ammontano a svariati milioni di euro. Un epilogo evitabile. Nei casi di prescrizione, infatti, la presenza delle parti civili avrebbe fatto in modo che quei soldi rimanessero nelle casse dello Stato».
Intervista a Eugenio Facciolla a cura di Marco Cribari e Francesco Ferro su Calabria ora del 29/12/2011
Eugenio Facciolla ha due espressioni: col sorriso o senza. Il tono di voce, invece, è sempre lo stesso, quasi baritonale. Un bel calabrese insomma. Magistrato di lungo corso, pur se ancora giovanissimo, negli ultimi 15 anni ha istruito le più importanti inchieste giudiziarie, antimafia e non, del Cosentino; prima nelle vesti di
pm della Dda catanzarese, poi come sostituto della Procura di Paola. Attualmente, ricopre il ruolo di sostituto procuratore della Corte d’appello di Catanzaro. Lo incontriamo proprio a Cosenza, la sua città, in occasione di un convegno sulla legalità a cui parteciperà come relatore. Un’occasione propizia per commentare con
lui i recenti scossoni giudiziari che hanno interessato la Calabria e che hanno messo in luce profonde
connivenze tra criminalità organizzata, politica e istituzioni.
Il comandante provinciale dei carabinieri ha affermato, di recente, che a Cosenza non c’è la mafia, riproponendo un po’ il “teorema Arlacchi” del gangsterismo.
«Io, però, ho dato una lettura diversa delle sue affermazioni. Ferace commentava provocatoriamente
l’esiguità delle denunce antiracket in città. Come a dire: se nessuno denuncia, allora vuol dire che la mafia non esiste?
Invece, la mafia esiste eccome, anche qui».
Ed è insidiosa come quella reggina?
«Sono bande organizzate che, però, si sono evolute, realizzando un salto di qualità in termini criminali.
Certo, a differenza di Reggio, la malavita cosentina è meno legata a forme tradizionali ed è poco propensa a compiere azioni eclatanti, ma ricordiamoci che solo nel 2000 qui si sono contati 24 morti. E che della vicenda s’interessò anche la Commissione antimafia di Lumia, mostrando molta sensibilità per ciò che stava accadendo a Cosenza».
Sono lontani, quindi, i tempi in cui, a torto o ragione, la città veniva considerata un’isola felice?
«E’ sempre stato uno stereotipo poco conforme alla verità. E con ciò non voglio dire che Cosenza non sia una realtà civile e al passo con i tempi. Ma le infiltrazioni, le commistioni, ci sono anche qui».
Il vescovo Nunnari ha detto che non è la politica a essere sporca ma sono sporchi alcuni uomini che fanno politica. I sospetti relativi a legami tra politica e criminalità, riguardano anche Cosenza o, salvo eccezioni, vanno circoscritti ad altre realtà calabresi?
«Il vescovo ha centrato il problema. Bisogna capire quali sono gli uomini che fanno politica e perché. C’è chi vede la politica come uno strumento per ottenere vantaggi personali. Ci sono poi degli imprenditori, o meglio ancora “prenditori”, che entrano in politica per tutelare se stessi. Di gente così ce n’è anche a Cosenza. La differenza con Reggio Calabria è che lì sono stati fatti dei grandi passi in avanti in termini investigativi.
Altrove, invece, il lavoro è appena all’inizio. Non è un caso se, da trent’anni a questa parte, nelle inchieste per usura, droga, estorsioni, ricorrono sempre gli stessi nomi».
In tutto ciò, le forze dell’ordine lanciano un grido allarme: i cittadini non denunciano.
«A Cosenza il pizzo lo pagano tutti. E questo, purtroppo, non è un mistero».
E gli amministratori pubblici, invece? Quale segnale virtuoso potrebbero dare alla gente?
«Beh, anche tra loro è difficile trovarne qualcuno propenso a denunciare. Io, personalmente in tutta la mia carriera, non ne ricordo neanche uno. La verità è che, alla fin fine, i voti servono a tutti e non si fa caso alla direzione dalla quale provengono. In generale sulle iniziative concrete prevalgono quelle “di facciata”».
Come le costituzioni di parte civile, ad esempio?
«Ad esempio. In particolare quelle nei processi antimafia, dove alla fine si impone al condannato un risarcimento che lo Stato non vedrà mai poiché, quasi sempre, si tratta di soggetti nullatenenti. La cosa
grave, invece, è che nei processi per truffa le costituzioni di parte civile servirebbero davvero e non ci sono mai. Le faccio un esempio definitivo: in questi anni sono stati incardinati numerosi processi per stangate milionarie alla 488 e non solo, culminati in condanne di primo grado e assoluzioni in Appello per intervenuta prescrizione. All’assoluzione, poi, coincide la restituzione dei beni posti sotto sequestro che, spesso e volentieri, ammontano a svariati milioni di euro. Un epilogo evitabile. Nei casi di prescrizione, infatti, la presenza delle parti civili avrebbe fatto in modo che quei soldi rimanessero nelle casse dello Stato».
mercoledì 28 dicembre 2011
“Soldi, truffe e doping è il calcio di sempre”
Intervista di Malcom Pagani e Andrea Scanzi a Carlo Petrini sul fatto quotidiano del 28/12/2011
Gli è rimasto qualche desiderio. “Mi piacerebbe bere un caffettino”. Ottiene una brodaglia nerastra allungata con l’acqua. Un fondo in cui leggere e diluire passato e presente. Il campo adesso è un divano, la mobilità un’illusione e l’orizzonte un muro di nebbia. “Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni.
Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. È stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra
una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni.
Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche ”. Ieri, abbattuto dalla leucemia se n’è andato anche
Sergio Buso. Saltava da portiere nella Serie A degli anni 70.
Quella raccontata da Carlo Petrini, centravanti di Genoa, Milan, Roma, Bologna e di altre stazioni passeggere: “Da mercenario che pensava solo a drogarsi, scopare, incassare assegni e alterare risultati”.
Vinse, perse, barò. Scrisse libri su doping e calcioscommesse. Fece nomi e cognomi.
Rimase solo. Il Carlo Petrini di ieri non c’è più. Il corpo che un tempo gli serviva per conquistare amori di contrabbando e tribune esigenti tra San Siro e il Paradiso, è un quotidiano inferno che gli presenta conti con gli interessi e cambiali da scontare. A 63 anni,con il vento che scuote Lucca e non lo accarezza più, non
c’è Natale o epifania possibile. A metà conversazione, mentre lamenta l’abbandono di chi un tempo gli fu amico: “Ciccio Cordova, Morini, non mi chiama più nessuno”, un segno. Squilla il telefono. La voce di Franco Baldini. Il dirigente della Roma. Il nemico di Luciano Moggi. Petrini gli parla: “Ho fatto molta chemio. Sto cercando di superare il male. Io spero, Franco. Spero ancora ”. Poi lacrima. In silenzio. Rumore di rimpianto. E di irreversibile.
Petrini, come si racconterebbe a chi non la conosce?
Un presuntuoso. Un coglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non ho niente.
Perché?
I miei errori iniziarono a metà dei ’60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore, Giorgio Ghezzi, ex portiere dell’Inter, ci faceva fare strane punture prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava. Altrimenti, nuovo preparato.
Cosa c’era dentro?
Mai saputo. L’anno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0 e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan.
Perché non vi ribellavate?
Venivamo da famiglie poverissime. Mio padre era morto a 40 anni, di Tetano. Rifiutare le punture, le pastiglie di Micoren o le terapie selvagge ai raggi X, significava essere eliminati. Fuori dal circo. Indietro, in cantina, senza ragazze o macchine di lusso. Nei nostri miserabili tinelli, con la puzza di aringa che mia madre metteva in tavola un giorno sì e l’altro anche.
Quindi continuò ad assumere sostanze proibite?
Ovunque andassi. A Roma il massaggiatore ce lo diceva ridendo: ‘A ragà, forza, fa parte der contratto’. A Milano, dove mi allenava Rocco, feci invece i raggi Roengten per guarire da uno strappo muscolare.
Non so se Nereo sapesse. Con me aveva un rapporto particolare: ‘Testa de casso, se avessi il cervello saresti un campiòn’.
Di radiazioni Roengten, secondo la famiglia, morì anche Bruno Beatrice.
Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri.
Si muore di pallone?
Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri l’anno.
Lei insinua.
Affermo, ma non ho le prove. Nonostante l’impegno di Guariniello, hanno nascosto tutto. Ai nostri tempi le punture le faceva chiunque e un minuto dopo, sentivi un mostro che ti sollevava e ti faceva volare.
Chi ha nascosto tutto?
Allenatori, calciatori, presidenti. Il sistema che ancora foraggia con le elemosine quelli capaci di non tradire. Gente che ogni mattina si alza con la paura e che continua a tacere anche se oggi, grazie agli ‘aiutini’ farmacologici o è una lapide con un’incisione o recita da vegetale.
Di chi parla Petrini?
Di quel piccolo uomo di Sandro Mazzola, che ha smesso di parlare al fratello Ferruccio. Di Picchio De Sisti, che nega l’evidenza nonostante la malattia. O del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla e che continua a sostenere che il pallone non c’entri nulla. Se non mi facesse piangere,
verrebbe da ridere.
E invece?
Sono triste. Vedendo come sei e come potresti essere, persino peggio di ora, ti vengono mille domande senza risposte. Parliamo di gente che non ha respirato amianto o fumi in miniera. Ha inseguito una sfera e muore nell’indifferenza in una guerra non dichiarata. Non sono un dottore, ma non può non esserci una relazione
tra le mie malattie e quelle di altri calciatori.
Prova rancore?
A volte li sogno. Con i loro sorrisi falsi. Le loro bugie. Vorrei cancellarli. Non ci riesco.
Lei fu tra i protagonisti del primo calcioscommesse, quello della primavera 1980.
E oggi succede la stessa cosa. Partite combinate, risultati compromessi, soldi gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta .
La ‘ndrangheta forse uccise Bergamini. Lei ci scrisse un libro.
Che è servito per riaprire l’inchiesta, dopo più di 20 anni. Bergamini era l’ingenuo, il ragazzo pulito, smarrito in una vicenda più grande di lui. La scoprì, provò a uscirne e lo fecero fuori. Dentro la sua squadra, il Cosenza, c’era chi organizzava traffici di droga. Bergamini era l’anello debole e fu suicidato.
Nel suo libro lei ha intervistato anche il compagno di stanza di Bergamini, Michele Padovano, appena condannato per traffico di stupefacenti. Il padre del calciatore Mark Iuliano lo ha chiamato in causa.
La sua condanna non mi stupisce. A fine intervista, Padovano si alzò di scatto, mi mandò a fare in culo e provò a distruggere la registrazione. Sono sicuro che lui sappia tutto della morte di Denis. Tutto. Bergamini ne subiva l’ascendente. Del padre di Iuliano non so cosa dire, su Mark si raccontavano tante cose, non solo sulla sua presunta tossicodipendenza. Si raccontava che mandasse baci alla panchina rivolti a Montero, un’ipotetica‘prova ’della sua omosessualità.
Dica la verità. Lei ce l’ha con la Juve, fin dal 1980.
Al contrario. La salvai. Nell’80 giocavo con il Bologna. Bettega chiamò a casa di Savoldi e ci propose l’accordo. Tutto lo spogliatoio del Bologna, tranne Sali e Castronaro, scommise 50 milioni sul pareggio. Prima della partita, nel sottopassaggio, chiesi a Trapattoni e Causio di rispettare i patti: ‘Stai tranquillo, Pedro, calmati’, mi risposero.
Tutta la Juve sapeva?
Certo. Rivedetevi le immagini, sono su Youtube . Finì 1-1. Errore del nostro portiere, Zinetti e autogol di Brio. Bettega ce lo diceva, durante la partita: ‘State calmi, vi faccio pareggiare io’. La gente ci fischiava e tirava le palle di neve. Una farsa. Quando lo scandalo esplose, Boniperti e Chiusano mi dissero di scovare Cruciani e convincerlo a non testimoniare contro la Juve: se li avessi aiutati, loro avrebbero aiutato me. Fui di parola, incontrai Cruciani al cancello 5 di San Siro, ero mascherato. Una scena surreale. Lui accettò e la Juve si salvò dalla retrocessione. Ma alla fine pagai soltanto io.
Le è rimasta la possibilità di raccontare.
Neanche quella. Ho dato fastidio a gente potente. Mi hanno minacciato di morte e poi coperto con gli insulti. Per i Savoldi e i Dossena ero un bugiardo, per Rivera un pornografo. Se l’era presa perché lo descrivevo per quello che era, una fighetta. I miserabili sono loro. Mi impedirono di andare persino a parlare nelle scuole.
Zitto dovevo stare, ma non ci sono riusciti.
E la scrittura?
Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà
l’ultimo.
Perché?
Mi dedicherò a ricordare mio figlio Diego. Morì a 19 anni di tumore, mentre chiedeva di vedermi e io ero in Francia, in fuga dai creditori. Non me lo sono mai perdonato. Gli farò un regalo. Proverò a sentirmi vivo. Sono distrutto e sofferente, ma non mollo. Vivere, ancora, mi piace.
Ci sarà tempo?
Non è detto. Penso sempre al giorno in cui ci sarà giustizia. Aspetto ma non viene mai.
Gli è rimasto qualche desiderio. “Mi piacerebbe bere un caffettino”. Ottiene una brodaglia nerastra allungata con l’acqua. Un fondo in cui leggere e diluire passato e presente. Il campo adesso è un divano, la mobilità un’illusione e l’orizzonte un muro di nebbia. “Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni.
Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. È stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra
una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni.
Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche ”. Ieri, abbattuto dalla leucemia se n’è andato anche
Sergio Buso. Saltava da portiere nella Serie A degli anni 70.
Quella raccontata da Carlo Petrini, centravanti di Genoa, Milan, Roma, Bologna e di altre stazioni passeggere: “Da mercenario che pensava solo a drogarsi, scopare, incassare assegni e alterare risultati”.
Vinse, perse, barò. Scrisse libri su doping e calcioscommesse. Fece nomi e cognomi.
Rimase solo. Il Carlo Petrini di ieri non c’è più. Il corpo che un tempo gli serviva per conquistare amori di contrabbando e tribune esigenti tra San Siro e il Paradiso, è un quotidiano inferno che gli presenta conti con gli interessi e cambiali da scontare. A 63 anni,con il vento che scuote Lucca e non lo accarezza più, non
c’è Natale o epifania possibile. A metà conversazione, mentre lamenta l’abbandono di chi un tempo gli fu amico: “Ciccio Cordova, Morini, non mi chiama più nessuno”, un segno. Squilla il telefono. La voce di Franco Baldini. Il dirigente della Roma. Il nemico di Luciano Moggi. Petrini gli parla: “Ho fatto molta chemio. Sto cercando di superare il male. Io spero, Franco. Spero ancora ”. Poi lacrima. In silenzio. Rumore di rimpianto. E di irreversibile.
Petrini, come si racconterebbe a chi non la conosce?
Un presuntuoso. Un coglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non ho niente.
Perché?
I miei errori iniziarono a metà dei ’60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore, Giorgio Ghezzi, ex portiere dell’Inter, ci faceva fare strane punture prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava. Altrimenti, nuovo preparato.
Cosa c’era dentro?
Mai saputo. L’anno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0 e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan.
Perché non vi ribellavate?
Venivamo da famiglie poverissime. Mio padre era morto a 40 anni, di Tetano. Rifiutare le punture, le pastiglie di Micoren o le terapie selvagge ai raggi X, significava essere eliminati. Fuori dal circo. Indietro, in cantina, senza ragazze o macchine di lusso. Nei nostri miserabili tinelli, con la puzza di aringa che mia madre metteva in tavola un giorno sì e l’altro anche.
Quindi continuò ad assumere sostanze proibite?
Ovunque andassi. A Roma il massaggiatore ce lo diceva ridendo: ‘A ragà, forza, fa parte der contratto’. A Milano, dove mi allenava Rocco, feci invece i raggi Roengten per guarire da uno strappo muscolare.
Non so se Nereo sapesse. Con me aveva un rapporto particolare: ‘Testa de casso, se avessi il cervello saresti un campiòn’.
Di radiazioni Roengten, secondo la famiglia, morì anche Bruno Beatrice.
Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri.
Si muore di pallone?
Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri l’anno.
Lei insinua.
Affermo, ma non ho le prove. Nonostante l’impegno di Guariniello, hanno nascosto tutto. Ai nostri tempi le punture le faceva chiunque e un minuto dopo, sentivi un mostro che ti sollevava e ti faceva volare.
Chi ha nascosto tutto?
Allenatori, calciatori, presidenti. Il sistema che ancora foraggia con le elemosine quelli capaci di non tradire. Gente che ogni mattina si alza con la paura e che continua a tacere anche se oggi, grazie agli ‘aiutini’ farmacologici o è una lapide con un’incisione o recita da vegetale.
Di chi parla Petrini?
Di quel piccolo uomo di Sandro Mazzola, che ha smesso di parlare al fratello Ferruccio. Di Picchio De Sisti, che nega l’evidenza nonostante la malattia. O del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla e che continua a sostenere che il pallone non c’entri nulla. Se non mi facesse piangere,
verrebbe da ridere.
E invece?
Sono triste. Vedendo come sei e come potresti essere, persino peggio di ora, ti vengono mille domande senza risposte. Parliamo di gente che non ha respirato amianto o fumi in miniera. Ha inseguito una sfera e muore nell’indifferenza in una guerra non dichiarata. Non sono un dottore, ma non può non esserci una relazione
tra le mie malattie e quelle di altri calciatori.
Prova rancore?
A volte li sogno. Con i loro sorrisi falsi. Le loro bugie. Vorrei cancellarli. Non ci riesco.
Lei fu tra i protagonisti del primo calcioscommesse, quello della primavera 1980.
E oggi succede la stessa cosa. Partite combinate, risultati compromessi, soldi gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta .
La ‘ndrangheta forse uccise Bergamini. Lei ci scrisse un libro.
Che è servito per riaprire l’inchiesta, dopo più di 20 anni. Bergamini era l’ingenuo, il ragazzo pulito, smarrito in una vicenda più grande di lui. La scoprì, provò a uscirne e lo fecero fuori. Dentro la sua squadra, il Cosenza, c’era chi organizzava traffici di droga. Bergamini era l’anello debole e fu suicidato.
Nel suo libro lei ha intervistato anche il compagno di stanza di Bergamini, Michele Padovano, appena condannato per traffico di stupefacenti. Il padre del calciatore Mark Iuliano lo ha chiamato in causa.
La sua condanna non mi stupisce. A fine intervista, Padovano si alzò di scatto, mi mandò a fare in culo e provò a distruggere la registrazione. Sono sicuro che lui sappia tutto della morte di Denis. Tutto. Bergamini ne subiva l’ascendente. Del padre di Iuliano non so cosa dire, su Mark si raccontavano tante cose, non solo sulla sua presunta tossicodipendenza. Si raccontava che mandasse baci alla panchina rivolti a Montero, un’ipotetica‘prova ’della sua omosessualità.
Dica la verità. Lei ce l’ha con la Juve, fin dal 1980.
Al contrario. La salvai. Nell’80 giocavo con il Bologna. Bettega chiamò a casa di Savoldi e ci propose l’accordo. Tutto lo spogliatoio del Bologna, tranne Sali e Castronaro, scommise 50 milioni sul pareggio. Prima della partita, nel sottopassaggio, chiesi a Trapattoni e Causio di rispettare i patti: ‘Stai tranquillo, Pedro, calmati’, mi risposero.
Tutta la Juve sapeva?
Certo. Rivedetevi le immagini, sono su Youtube . Finì 1-1. Errore del nostro portiere, Zinetti e autogol di Brio. Bettega ce lo diceva, durante la partita: ‘State calmi, vi faccio pareggiare io’. La gente ci fischiava e tirava le palle di neve. Una farsa. Quando lo scandalo esplose, Boniperti e Chiusano mi dissero di scovare Cruciani e convincerlo a non testimoniare contro la Juve: se li avessi aiutati, loro avrebbero aiutato me. Fui di parola, incontrai Cruciani al cancello 5 di San Siro, ero mascherato. Una scena surreale. Lui accettò e la Juve si salvò dalla retrocessione. Ma alla fine pagai soltanto io.
Le è rimasta la possibilità di raccontare.
Neanche quella. Ho dato fastidio a gente potente. Mi hanno minacciato di morte e poi coperto con gli insulti. Per i Savoldi e i Dossena ero un bugiardo, per Rivera un pornografo. Se l’era presa perché lo descrivevo per quello che era, una fighetta. I miserabili sono loro. Mi impedirono di andare persino a parlare nelle scuole.
Zitto dovevo stare, ma non ci sono riusciti.
E la scrittura?
Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà
l’ultimo.
Perché?
Mi dedicherò a ricordare mio figlio Diego. Morì a 19 anni di tumore, mentre chiedeva di vedermi e io ero in Francia, in fuga dai creditori. Non me lo sono mai perdonato. Gli farò un regalo. Proverò a sentirmi vivo. Sono distrutto e sofferente, ma non mollo. Vivere, ancora, mi piace.
Ci sarà tempo?
Non è detto. Penso sempre al giorno in cui ci sarà giustizia. Aspetto ma non viene mai.
sabato 24 dicembre 2011
Il calcio al femminile
Tratto da Bbc scienze di dicembre 2011 si chiede se "le donne sanno giocare a calcio?" con un risultato sorprendente alla fine
giovedì 22 dicembre 2011
'A penzione
Poesia di Antonio Martire in dialetto pedacese scritta nel marzo 1972 ma molto attuale
Roppu quarant'anni e tosta fatiga
s'è penzionatu marru Mattia!
- Finarmente cce signu arrivatu,
mo' me ricriju, me tignu guardatu! -
Progettava lu buanu 'zianu
faciannu 'i cunti ccu' le rue manu
e aspettava friscu e squitatu
quann'u librettu mannava lu statu.
Passau 'n'annu ccu' 'nsistimienti,
ma sordi ha trovatu chilli fetienti.
Marru Mattia è carutu malatu,
'na 'nfluenzella ll'ha ammunzzellatu,
roppu tri jurni s'ha cuoto i filati
mannannu a fa futtere pension'e arretrati.
Mentr'era stisu 'u libretto è benuto,
cci l'hau mmisu 'ntra lu tavutu.
Marru Mattia, vatinne squitatu,
tieni 'u librettu c'ha sospirato,
'mmatriculatu, bullatu e grisu
mo' te va paghi allu paradisu.
Si nun te quatre, mintecce sale,
c'u tiampu ce pierdi a te 'ncazzare;
chissu è l'usu 'ntra chissu statu,
ca roppu muartu, si accuntentatu.
Roppu quarant'anni e tosta fatiga
s'è penzionatu marru Mattia!
- Finarmente cce signu arrivatu,
mo' me ricriju, me tignu guardatu! -
Progettava lu buanu 'zianu
faciannu 'i cunti ccu' le rue manu
e aspettava friscu e squitatu
quann'u librettu mannava lu statu.
Passau 'n'annu ccu' 'nsistimienti,
ma sordi ha trovatu chilli fetienti.
Marru Mattia è carutu malatu,
'na 'nfluenzella ll'ha ammunzzellatu,
roppu tri jurni s'ha cuoto i filati
mannannu a fa futtere pension'e arretrati.
Mentr'era stisu 'u libretto è benuto,
cci l'hau mmisu 'ntra lu tavutu.
Marru Mattia, vatinne squitatu,
tieni 'u librettu c'ha sospirato,
'mmatriculatu, bullatu e grisu
mo' te va paghi allu paradisu.
Si nun te quatre, mintecce sale,
c'u tiampu ce pierdi a te 'ncazzare;
chissu è l'usu 'ntra chissu statu,
ca roppu muartu, si accuntentatu.
Con il video della poesia letta dal fu sindaco di San Fili (Cs) Alfonso Rinaldi
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venerdì 16 dicembre 2011
Maria De Filippi NOSTRA SIGNORA DEI TURPI
Di Carlotta Vissani su il fatto quotidiano del 16/12/2011
FARE UNA COSA o non farla in questa trasmissione ha un senso.
Sai quello che devi dire e che si aspettano che dici.
Non c’è amore se non è inquadrato l’amore».
Si può sempre spegnere la TV, consiglia una delle voci nate dalla penna di Emanuele Kraushaar.
«Certo», giunge pronta la risposta, «è un modo come un altro per suicidarsi».
Conta solo ciò che accade dentro la scatola nera.
Se decidi di presentarti alla Redazione di Uomini e Donne a Cinecittà bada bene di non aver nulla di sensato da dire ché l’autenticità emotiva e la cultura sono un ostacolo.
È tutto teatro di serie zeta, rappresentazione fasulla.
A Uomini e Donne si va per diventare qualcuno, per rimorchiare, per fare le esterne con i tronisti, per essere riconosciuti in strada.
Alla corte del vuoto cosmico accorrono anche quelli a cui non interessa essere la scelta finale perché è meglio esser trattate male «così poi mi eliminano ma se piaccio al pubblico dello studio, di casa e a quello internet, Maria mi sceglie per fare la tronista.
Poi se ho successo sui giornali riesco forse ad agganciare un calciatore o il figlio di qualcuno che lavora in tv».
D’altronde nulla dies sine Maria, presenza angelica che nel nome racchiude profumo di miracolo.
Seduta sui gradini, impenetrabile, in mezzo a fedeli opinionisti pagati per scannarsi, osserva, ascolta, ammicca ma non interviene per sedare le diatribe, non esprime opinioni.
Quando capita suona come verbo sacro.
Il successo – effimero, triste e disperato – passa dai suoi capelli biondi e attraverso la erre moscia.
Quanti se la ricordano nel ’92, timida e inesperta, condurre le prime puntate di Amici al posto di Lella Costa?
Nessuno immaginava, forse solo Costanzo, che sarebbe stata lei a rivoluzionare il significato dello stare dentro
la TV con tutto il corpo e nessun messaggio se non l’idea che scendere da quelle scale con una rosa in mano, o attendere appollaiata sul trono come un’ape regina, equivalga a poter ingrassare il portafoglio grazie alla stupidità.
Anche vent’anni fa era riservata e mai ingombrante, la parola lasciata a terzi, ma erano ragazzi in jeans e scarpe da tennis che avevano voglia di confrontarsi su famiglia, amore, amicizia, paure e speranze.
Oggi l’eldorado di molti è un passaggio su Mediaset fatto di tacchi e labbra a canotto, pelle cotta dalle lampade e camicia aperta sul petto depilato.
Il romano trentenne Kraushaar, terzo tassello della collana Iconoclasti curata da Giulia Belloni, confeziona 110 frammenti brevi – dialoghi, pensieri, resoconti fulminanti – sul mostro mediatico che ha cambiato il modus
pensandi di milioni di persone.
Gente che ha presto capito che una manciata di minuti sullo schermo può fruttare più di una vita di sani principi e sacrifici e che un cervello spento, essendo innocuo, può voler dire soldo facile.
Emanuele Kraushaar, Maria De Filippi, Alet, pagg. 140, € 10,00
FARE UNA COSA o non farla in questa trasmissione ha un senso.
Sai quello che devi dire e che si aspettano che dici.
Non c’è amore se non è inquadrato l’amore».
Si può sempre spegnere la TV, consiglia una delle voci nate dalla penna di Emanuele Kraushaar.
«Certo», giunge pronta la risposta, «è un modo come un altro per suicidarsi».
Conta solo ciò che accade dentro la scatola nera.
Se decidi di presentarti alla Redazione di Uomini e Donne a Cinecittà bada bene di non aver nulla di sensato da dire ché l’autenticità emotiva e la cultura sono un ostacolo.
È tutto teatro di serie zeta, rappresentazione fasulla.
A Uomini e Donne si va per diventare qualcuno, per rimorchiare, per fare le esterne con i tronisti, per essere riconosciuti in strada.
Alla corte del vuoto cosmico accorrono anche quelli a cui non interessa essere la scelta finale perché è meglio esser trattate male «così poi mi eliminano ma se piaccio al pubblico dello studio, di casa e a quello internet, Maria mi sceglie per fare la tronista.
Poi se ho successo sui giornali riesco forse ad agganciare un calciatore o il figlio di qualcuno che lavora in tv».
D’altronde nulla dies sine Maria, presenza angelica che nel nome racchiude profumo di miracolo.
Seduta sui gradini, impenetrabile, in mezzo a fedeli opinionisti pagati per scannarsi, osserva, ascolta, ammicca ma non interviene per sedare le diatribe, non esprime opinioni.
Quando capita suona come verbo sacro.
Il successo – effimero, triste e disperato – passa dai suoi capelli biondi e attraverso la erre moscia.
Quanti se la ricordano nel ’92, timida e inesperta, condurre le prime puntate di Amici al posto di Lella Costa?
Nessuno immaginava, forse solo Costanzo, che sarebbe stata lei a rivoluzionare il significato dello stare dentro
la TV con tutto il corpo e nessun messaggio se non l’idea che scendere da quelle scale con una rosa in mano, o attendere appollaiata sul trono come un’ape regina, equivalga a poter ingrassare il portafoglio grazie alla stupidità.
Anche vent’anni fa era riservata e mai ingombrante, la parola lasciata a terzi, ma erano ragazzi in jeans e scarpe da tennis che avevano voglia di confrontarsi su famiglia, amore, amicizia, paure e speranze.
Oggi l’eldorado di molti è un passaggio su Mediaset fatto di tacchi e labbra a canotto, pelle cotta dalle lampade e camicia aperta sul petto depilato.
Il romano trentenne Kraushaar, terzo tassello della collana Iconoclasti curata da Giulia Belloni, confeziona 110 frammenti brevi – dialoghi, pensieri, resoconti fulminanti – sul mostro mediatico che ha cambiato il modus
pensandi di milioni di persone.
Gente che ha presto capito che una manciata di minuti sullo schermo può fruttare più di una vita di sani principi e sacrifici e che un cervello spento, essendo innocuo, può voler dire soldo facile.
Emanuele Kraushaar, Maria De Filippi, Alet, pagg. 140, € 10,00
mercoledì 14 dicembre 2011
SI PAGA pure l’affitto sulla strada
Prostituzione sulla 106, cambiano i “contratti di lavoro” con i protettori Le ragazze “coprono” un tratto della Statale versando una caparra
Di Alessandro Trotta su Calabria ora del 14/12/2011
Hanno un’età media di 23 anni e provengono dalla Romania, Lettonia, Estonia, Lituania, Africa e (dopo l’ultimo flusso) Albania.
Costrette a turni di “lavoro” che arrivano fino a 15 ore al giorno.
Questo l’identikit delle ragazze che si prostituiscono sulla 106.
Tutte raccolte in un fazzoletto di strada di circa 18 chilometri, da Sibari a Corigliano comprese le zone interne. Il prezzo della prestazione parte dalle 30 euro per le ragazze dell’Est, 25 euro invece per andare con una di colore.
I clienti più assidui sono gli over 50 che svolgono «lavori di fatica», ci rivela una di loro e per lo più «sono camionisti di passaggio e uomini che fanno gli agricoltori».
Ovviamente non mancano i professionisti che «cambiano auto per venire da noi per non essere riconosciuti». E per quanto riguarda i più giovani il target varia tra i 16 e i 23 anni, e sono, per lo più, ragazzi alla ricerca della prima esperienza.
Percorriamo e ripercorriamo l’intera zona e subito ci rendiamo conto che la maggior parte delle ragazze “in posa” sono slave, quelle africane, invece, si contano sulle dita di una mano.
L’osservazione trova subito una risposta.
Le “meretrici”, infatti, sono divise e sistemate a seconda delle richieste di mercato.
Sul tratto principale della 106, che va da Sibari allo svincolo di Corigliano - direzione Crotone -, lavorano le ragazze dell’Est-Europa (le più gettonate ndr). Per trovarne una di colore dobbiamo percorrere le stradine interne della statale, quelle - per intenderci - di Cantinella che bypassano San Giorgio Albanese per giungere verso il centro del Comune ausonico.
Lì troviamo le nigeriane.
Sono le meno richieste - come dicevamo prima - dai clienti e quindi quelle che procurano meno profitto ai protettori.
Infatti non è una coincidenza che occupino le vie secondarie più buie e isolate.
Per loro meno guadagno ma allo stesso tempo un affitto più basso rispetto alle colleghe.
Da qualche tempo a questa parte, infatti, pare siano stati rivoluzionati, o quantomeno rimodulati, i “contratti lavorativi” tra datore (protettore) e dipendente (la prostituta).
Non si rende conto più al capo in base al guadagno delle prestazioni sessuali quotidiane ma al posteggio.
Un modo più sicuro (evidentemente) per non far evadere le “tasse” alle proprie ragazze.
Fino a qualche tempo fa, addirittura, il pappone forniva alle lavoratrici un quantitativo giornaliero di preservativi e su quelli consumati si calcolava il fatturato della giornata, e quindi la parcella da consegnare.
Un metodo oggi anche questo divenuto ormai obsoleto dal momento che si è passati all’affitto del pezzo di
strada con tanto di tariffario.
Più il tratto è transitato, e di facile sosta per i clienti, e più il prezzo lievita.
Si abbassa, invece, per quei punti stretti e bui delle stradine secondarie.
Esistono, così, delle vere e proprie fasce: quelle di categoria A (le più costose) corrispondono ai “presidi” allestiti lungo il rettifilo principale della 106, che sono generalmente occupati dalle ragazze dell’Est.
Le zone di fascia B, invece, a maggiore presenza di nigeriane, sono quelle isolate della zona industriale di Corigliano.
Rientrano nella seconda fascia anche quelle zone della statale a ridosso dei curvoni che non offrono una buona e comoda visuale di avvistamento al cliente.
Ma come arrivano in Italia queste ragazze?
Il percorso che le porta dalle nostre parti differisce a seconda del Paese d’origine.
Il cosiddetto “gancio” utilizza un approccio diverso per adescare le vittime.
La maggior parte delle ragazze che giungono dall’Est sono state vendute a intermediari, che a loro volta le consegnano agli imprenditori del sesso che gestiscono il monopolio della prostituzione sulla zona di competenza.
Da qui l’ultimo passaggio per metterle sulla strada senza se e senza ma.
E se rifiutano ciò che è stato deciso per loro sono guai.
Chi si ribella o tenta di sottrarsi agli ordini diventa bersaglio di violenze fisiche.
Un atteggiamento diverso con le nigeriane, invece, le quali vengono soggiogate psicologicamente.
Proprio perché provengono da una cultura che crede all’esoterismo e ai riti voodoo si fa presa sul ricatto.
Nel senso che se non eseguono ciò che viene richiesto si fa credere loro che una terribile maledizione le
perseguiterà.
E in questo lavaggio del cervello giocano un ruolo fondamentale le stesse connazionali a cui vengono affidate (dagli stessi protettori) una volta arrivate in Italia.
Una sorta di guida che prima le accolgono e poi le avviano alla prostituzione.
Alcune - a distanza di tempo - riescono a fuggire facendo perdere le loro tracce agli aguzzini, altre invece rimangono imprigionate in quella rete di sfruttamento buia e degradante che non vedrà alcuna luce.
Di Alessandro Trotta su Calabria ora del 14/12/2011
Hanno un’età media di 23 anni e provengono dalla Romania, Lettonia, Estonia, Lituania, Africa e (dopo l’ultimo flusso) Albania.
Costrette a turni di “lavoro” che arrivano fino a 15 ore al giorno.
Questo l’identikit delle ragazze che si prostituiscono sulla 106.
Tutte raccolte in un fazzoletto di strada di circa 18 chilometri, da Sibari a Corigliano comprese le zone interne. Il prezzo della prestazione parte dalle 30 euro per le ragazze dell’Est, 25 euro invece per andare con una di colore.
I clienti più assidui sono gli over 50 che svolgono «lavori di fatica», ci rivela una di loro e per lo più «sono camionisti di passaggio e uomini che fanno gli agricoltori».
Ovviamente non mancano i professionisti che «cambiano auto per venire da noi per non essere riconosciuti». E per quanto riguarda i più giovani il target varia tra i 16 e i 23 anni, e sono, per lo più, ragazzi alla ricerca della prima esperienza.
Percorriamo e ripercorriamo l’intera zona e subito ci rendiamo conto che la maggior parte delle ragazze “in posa” sono slave, quelle africane, invece, si contano sulle dita di una mano.
L’osservazione trova subito una risposta.
Le “meretrici”, infatti, sono divise e sistemate a seconda delle richieste di mercato.
Sul tratto principale della 106, che va da Sibari allo svincolo di Corigliano - direzione Crotone -, lavorano le ragazze dell’Est-Europa (le più gettonate ndr). Per trovarne una di colore dobbiamo percorrere le stradine interne della statale, quelle - per intenderci - di Cantinella che bypassano San Giorgio Albanese per giungere verso il centro del Comune ausonico.
Lì troviamo le nigeriane.
Sono le meno richieste - come dicevamo prima - dai clienti e quindi quelle che procurano meno profitto ai protettori.
Infatti non è una coincidenza che occupino le vie secondarie più buie e isolate.
Per loro meno guadagno ma allo stesso tempo un affitto più basso rispetto alle colleghe.
Da qualche tempo a questa parte, infatti, pare siano stati rivoluzionati, o quantomeno rimodulati, i “contratti lavorativi” tra datore (protettore) e dipendente (la prostituta).
Non si rende conto più al capo in base al guadagno delle prestazioni sessuali quotidiane ma al posteggio.
Un modo più sicuro (evidentemente) per non far evadere le “tasse” alle proprie ragazze.
Fino a qualche tempo fa, addirittura, il pappone forniva alle lavoratrici un quantitativo giornaliero di preservativi e su quelli consumati si calcolava il fatturato della giornata, e quindi la parcella da consegnare.
Un metodo oggi anche questo divenuto ormai obsoleto dal momento che si è passati all’affitto del pezzo di
strada con tanto di tariffario.
Più il tratto è transitato, e di facile sosta per i clienti, e più il prezzo lievita.
Si abbassa, invece, per quei punti stretti e bui delle stradine secondarie.
Esistono, così, delle vere e proprie fasce: quelle di categoria A (le più costose) corrispondono ai “presidi” allestiti lungo il rettifilo principale della 106, che sono generalmente occupati dalle ragazze dell’Est.
Le zone di fascia B, invece, a maggiore presenza di nigeriane, sono quelle isolate della zona industriale di Corigliano.
Rientrano nella seconda fascia anche quelle zone della statale a ridosso dei curvoni che non offrono una buona e comoda visuale di avvistamento al cliente.
Ma come arrivano in Italia queste ragazze?
Il percorso che le porta dalle nostre parti differisce a seconda del Paese d’origine.
Il cosiddetto “gancio” utilizza un approccio diverso per adescare le vittime.
La maggior parte delle ragazze che giungono dall’Est sono state vendute a intermediari, che a loro volta le consegnano agli imprenditori del sesso che gestiscono il monopolio della prostituzione sulla zona di competenza.
Da qui l’ultimo passaggio per metterle sulla strada senza se e senza ma.
E se rifiutano ciò che è stato deciso per loro sono guai.
Chi si ribella o tenta di sottrarsi agli ordini diventa bersaglio di violenze fisiche.
Un atteggiamento diverso con le nigeriane, invece, le quali vengono soggiogate psicologicamente.
Proprio perché provengono da una cultura che crede all’esoterismo e ai riti voodoo si fa presa sul ricatto.
Nel senso che se non eseguono ciò che viene richiesto si fa credere loro che una terribile maledizione le
perseguiterà.
E in questo lavaggio del cervello giocano un ruolo fondamentale le stesse connazionali a cui vengono affidate (dagli stessi protettori) una volta arrivate in Italia.
Una sorta di guida che prima le accolgono e poi le avviano alla prostituzione.
Alcune - a distanza di tempo - riescono a fuggire facendo perdere le loro tracce agli aguzzini, altre invece rimangono imprigionate in quella rete di sfruttamento buia e degradante che non vedrà alcuna luce.
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domenica 11 dicembre 2011
Due domande ai leghisti
Andando a rivedere vecchie prime pagine de "la padania" giornale della lega nord, mi vengono in mente 2 domande:
Nella padania del 24 gennaio 2008, descrivevate Prodi come un novello Hussein (Saddam), (quando poi il vostro alleato Berlusconi elogiava dittatori veri quali Gheddafi, Mubarak e Ben Ali), ma la domanda è, visto che affermavate che all'epoca finisce il peggior governo della storia, perché voi ritenete che il vostro governo sia stato migliore del precedente, e in che modo?
Seconda domanda: Nella Padania del 25 gennaio 2008 parlate di un Prodi senza pudore, ma dopo 3 anni non ritenete che oggi quella mancanza di pudore sia da addebitare a voi, dove sopratutto il vostro leader Bossi si sia espresso con il dito medio, pernacchie, gestacci vari, insulti assolutamente senza pudore fuori e dentro il parlamento come possiamo vedere in questo filmato
Nella padania del 24 gennaio 2008, descrivevate Prodi come un novello Hussein (Saddam), (quando poi il vostro alleato Berlusconi elogiava dittatori veri quali Gheddafi, Mubarak e Ben Ali), ma la domanda è, visto che affermavate che all'epoca finisce il peggior governo della storia, perché voi ritenete che il vostro governo sia stato migliore del precedente, e in che modo?
Seconda domanda: Nella Padania del 25 gennaio 2008 parlate di un Prodi senza pudore, ma dopo 3 anni non ritenete che oggi quella mancanza di pudore sia da addebitare a voi, dove sopratutto il vostro leader Bossi si sia espresso con il dito medio, pernacchie, gestacci vari, insulti assolutamente senza pudore fuori e dentro il parlamento come possiamo vedere in questo filmato
giovedì 8 dicembre 2011
Il natale del Grinch cosentino
Perché per tutti questi anni è stato permesso tutto questo?
Pensavo che il Grinch fosse un personaggio di fantasia nato dalla penna di Theodor Seuss Geisel nel 1958, invece mi accorgo che il Grinch esiste e c'è ne è più di uno
Pensavo che il Grinch fosse un personaggio di fantasia nato dalla penna di Theodor Seuss Geisel nel 1958, invece mi accorgo che il Grinch esiste e c'è ne è più di uno
domenica 4 dicembre 2011
Quando i cosentini “smanettavano” sul Commodore 64
I videogiochi pionieristici degli anni ’80 rivivono in una mostra a Palazzo Arnone
Di Camillo Giuliani su Calabria ora del 4/12/2011
Nella preistoria dei videogiochi non c'erano trame da film: pizze gialle a cui mancava una fetta si muovevano attraverso labirinti, mangiando pallini o frutta ed evitando -o divorando anche quelli, a seconda delle circostanze- quattro fantasmi colorati. Nella preistoria dei videogiochi la grafica non era in alta definizione e bisognava affidarsi alla propria fantasia per trasformare una manciata di quadretti colorati nei personaggi e
gli universi al centro di un'avventura da vivere sullo schermo. Nessuno notava quelle pecche, però, perché i
videogiochi preistorici, pur nella loro semplicità (o forse proprio per quella) erano divertentissimi. Per averne la prova, fate un salto a Palazzo Arnone, dove ieri pomeriggio si è tenuta l'inaugurazione di
“Insert coin - Retrogaming 2011”, una mostra che terminerà l'ultimo giorno dell'anno.
A curarla, l'associazione culturale”Verde binario”, che, in quasi un decennio di attività, ha raccolto e restaurato tanto materiale da poter realizzare un museo di archeologia informatica. «Un lavoro di ricerca duro, fatto per raccontare la storia del primo ingresso dei computer nelle nostre case», spiega Irene De Franco, presidente di “Verde binario”.
Le sezioni dell'esposizione, ospitata nella sala Angela Mazzuca, sono tre: le prime due dedicate all'arte, con
un'esposizione di Mail Art e un'altra in cui si potrà interagire con le opere inedite di dodici autori, sul tema delle contaminazioni tra linguaggio artistico e videoludico; la terza, più tecnologica, ospita invece una
raccolta di computer e console prodotte negli anni '70 e '80, macchine perfettamente funzionanti, a disposizione dei visitatori che vorranno usarle.
«La mostra è interamente giocabile, cosa non banale se si pensa alle condizioni in cui abbiamo ritrovato parte del materiale: un Vic 20 esposto, per esempio, era in mezzo a vestiti dismessi donati in beneficienza», racconta De Franco.
I più giovani potranno sfidarsi a Pong, il primo videogioco mai prodotto, o magari fare una partita a “Burger Time” sull'Intellivision, costruita quando a contendersi il mercato dei giocatori non erano Sony, Microsoft e Nintendo (che comunque si dava da fare già all'epoca), ma Atari, Mattel e Commodore. Quelli che trent'anni fa erano ancora ragazzi avranno l'occasione di fare un salto nel passato, rigiocando a titoli che hanno fatto
la storia dell'intrattenimento domestico, da Space Invaders al primo Mario Bros . I visitatori troveranno cimeli come “Ping O Tronic” della Zanussi, la prima console costruita in Italia, o personal computer che oggi possono sembrare antidiluviani, ma che appena usciti rappresentavano lo stadio più avanzato dell'informatica, come l'Apple IIe (il progenitore, costruito nel 1983, degli attuali Mac) o i vecchi Ibm. La mostra- realizzata con la collaborazione di Unical, Mediocrati, Comune, Provincia e Sovrintendenza- è gratuita. Al massimo, se avete ancora da qualche parte una moneta da 200 lire, portate quella. C'è un Pacman da sala giochi che vi
aspetta.
Di Camillo Giuliani su Calabria ora del 4/12/2011
Nella preistoria dei videogiochi non c'erano trame da film: pizze gialle a cui mancava una fetta si muovevano attraverso labirinti, mangiando pallini o frutta ed evitando -o divorando anche quelli, a seconda delle circostanze- quattro fantasmi colorati. Nella preistoria dei videogiochi la grafica non era in alta definizione e bisognava affidarsi alla propria fantasia per trasformare una manciata di quadretti colorati nei personaggi e
gli universi al centro di un'avventura da vivere sullo schermo. Nessuno notava quelle pecche, però, perché i
videogiochi preistorici, pur nella loro semplicità (o forse proprio per quella) erano divertentissimi. Per averne la prova, fate un salto a Palazzo Arnone, dove ieri pomeriggio si è tenuta l'inaugurazione di
“Insert coin - Retrogaming 2011”, una mostra che terminerà l'ultimo giorno dell'anno.
A curarla, l'associazione culturale”Verde binario”, che, in quasi un decennio di attività, ha raccolto e restaurato tanto materiale da poter realizzare un museo di archeologia informatica. «Un lavoro di ricerca duro, fatto per raccontare la storia del primo ingresso dei computer nelle nostre case», spiega Irene De Franco, presidente di “Verde binario”.
Le sezioni dell'esposizione, ospitata nella sala Angela Mazzuca, sono tre: le prime due dedicate all'arte, con
un'esposizione di Mail Art e un'altra in cui si potrà interagire con le opere inedite di dodici autori, sul tema delle contaminazioni tra linguaggio artistico e videoludico; la terza, più tecnologica, ospita invece una
raccolta di computer e console prodotte negli anni '70 e '80, macchine perfettamente funzionanti, a disposizione dei visitatori che vorranno usarle.
«La mostra è interamente giocabile, cosa non banale se si pensa alle condizioni in cui abbiamo ritrovato parte del materiale: un Vic 20 esposto, per esempio, era in mezzo a vestiti dismessi donati in beneficienza», racconta De Franco.
I più giovani potranno sfidarsi a Pong, il primo videogioco mai prodotto, o magari fare una partita a “Burger Time” sull'Intellivision, costruita quando a contendersi il mercato dei giocatori non erano Sony, Microsoft e Nintendo (che comunque si dava da fare già all'epoca), ma Atari, Mattel e Commodore. Quelli che trent'anni fa erano ancora ragazzi avranno l'occasione di fare un salto nel passato, rigiocando a titoli che hanno fatto
la storia dell'intrattenimento domestico, da Space Invaders al primo Mario Bros . I visitatori troveranno cimeli come “Ping O Tronic” della Zanussi, la prima console costruita in Italia, o personal computer che oggi possono sembrare antidiluviani, ma che appena usciti rappresentavano lo stadio più avanzato dell'informatica, come l'Apple IIe (il progenitore, costruito nel 1983, degli attuali Mac) o i vecchi Ibm. La mostra- realizzata con la collaborazione di Unical, Mediocrati, Comune, Provincia e Sovrintendenza- è gratuita. Al massimo, se avete ancora da qualche parte una moneta da 200 lire, portate quella. C'è un Pacman da sala giochi che vi
aspetta.
venerdì 2 dicembre 2011
No alle multe per chi va a prostitute
«Illegittimi» i poteri «da sceriffo» dei sindaci di Cassano e Corigliano
Di Rossella Molinari su Calabria ora del 2/12/2011
Stop ai “sindaci sceriffi”. E stop anche alle multe alle prostitute e ai loro clienti, effettuate dal 2008 sul territorio di Corigliano e di Cassano Jonio sulla base di ordinanze sindacali emanate proprio sulla scorta di
quel “pacchetto sicurezza”, varato dall’ex ministro Maroni, ora censurato in gran parte dalla Corte Costituzionale. In pratica, con sentenza dello scorso aprile, la Corte Costituzionale si è espressa su una questione sollevata dal Tar Veneto bocciando il potere di ordinanza dei cosiddetti “sindaci sceriffo” (la norma è stata dichiarata incostituzionale poiché viola il principio di eguaglianza dei cittadini e la riserva di legge) previsto dalla legge 125/2008 (pacchetto sicurezza). Nello specifico, il potere dei sindaci di emanare ordinanze a tutela dell’incolumità pubblica (e anche la prostituzione rientrava tra questi motivi) non è stato completamente abrogato, ma solo limitato «ai casi in cui sussistano presupposti di contingibilità e urgenza, a condizione della temporaneità dei loro effetti e, comunque, nei limiti della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare». Si suppone, quindi, che la legittimità delle ordinanze possa essere oggetto di una valutazione caso per caso. Nel frattempo, intanto, venuti a conoscenza della sentenza della Corte costituzionale, le multe alle prostitute e ai clienti non vengono più effettuate né a Corigliano né a Cassano
Jonio dove, tra l’altro, grazie ad una proficua sinergia tra il Comune e le forze dell’ordine (carabinieri, guardia di finanza e polizia municipale) il fenomeno è stato in parte arginato. Proprio Corigliano, invece, era stata la prima città del Mezzogiorno ad attuare un provvedimento consentito dal pacchetto sicurezza varato dal Governo il 24 luglio 2008, con l’ordinanza emanata ad ottobre di quello stesso anno dall’allora commissario
prefettizio Paola Galeone a contrasto della prostituzione su strada e a tutela della sicurezza urbana. Sulla
base di quell’ordinanza, le forze dell’ordine iniziarono ad elevare numerose multe sia alle prostitute (per
“invito al libertinaggio”) sia ai clienti (la somma iniziale era 200 euro, poi innalzata a 500 dall’ex sindaco
Pasqualina Straface nel 2009) procedendo anche al sequestro delle vetture. Nello specifico, l’ordinanza
sindacale, emessa poi anche dal primo cittadino di Cassano Jonio Gianluca Gallo, vietava «a chiunque
di contrattare, ovvero concordare prestazioni sessuali a pagamento, oppure intrattenersi, anche dichiaratamente solo per chiedere informazioni, con soggetti che esercitano l’attività di meretricio su strada». Il
tutto considerato anche il rischio, determinato dalla presenza delle lucciole, di turbativa alla circolazione stradale con code, frenate, arresti improvvisi e manovre azzardate. Ora, “congelate” le ordinanze sindacali, i due Comuni dovranno fare i conti anche con i mancati introiti che quelle multe consentivano di incamerare nelle casse comunali e che a Corigliano si attestavano intorno ai 200mila euro annui. Una cifra che la dice tutta sul florido mercato del sesso.
Di Rossella Molinari su Calabria ora del 2/12/2011
Stop ai “sindaci sceriffi”. E stop anche alle multe alle prostitute e ai loro clienti, effettuate dal 2008 sul territorio di Corigliano e di Cassano Jonio sulla base di ordinanze sindacali emanate proprio sulla scorta di
quel “pacchetto sicurezza”, varato dall’ex ministro Maroni, ora censurato in gran parte dalla Corte Costituzionale. In pratica, con sentenza dello scorso aprile, la Corte Costituzionale si è espressa su una questione sollevata dal Tar Veneto bocciando il potere di ordinanza dei cosiddetti “sindaci sceriffo” (la norma è stata dichiarata incostituzionale poiché viola il principio di eguaglianza dei cittadini e la riserva di legge) previsto dalla legge 125/2008 (pacchetto sicurezza). Nello specifico, il potere dei sindaci di emanare ordinanze a tutela dell’incolumità pubblica (e anche la prostituzione rientrava tra questi motivi) non è stato completamente abrogato, ma solo limitato «ai casi in cui sussistano presupposti di contingibilità e urgenza, a condizione della temporaneità dei loro effetti e, comunque, nei limiti della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare». Si suppone, quindi, che la legittimità delle ordinanze possa essere oggetto di una valutazione caso per caso. Nel frattempo, intanto, venuti a conoscenza della sentenza della Corte costituzionale, le multe alle prostitute e ai clienti non vengono più effettuate né a Corigliano né a Cassano
Jonio dove, tra l’altro, grazie ad una proficua sinergia tra il Comune e le forze dell’ordine (carabinieri, guardia di finanza e polizia municipale) il fenomeno è stato in parte arginato. Proprio Corigliano, invece, era stata la prima città del Mezzogiorno ad attuare un provvedimento consentito dal pacchetto sicurezza varato dal Governo il 24 luglio 2008, con l’ordinanza emanata ad ottobre di quello stesso anno dall’allora commissario
prefettizio Paola Galeone a contrasto della prostituzione su strada e a tutela della sicurezza urbana. Sulla
base di quell’ordinanza, le forze dell’ordine iniziarono ad elevare numerose multe sia alle prostitute (per
“invito al libertinaggio”) sia ai clienti (la somma iniziale era 200 euro, poi innalzata a 500 dall’ex sindaco
Pasqualina Straface nel 2009) procedendo anche al sequestro delle vetture. Nello specifico, l’ordinanza
sindacale, emessa poi anche dal primo cittadino di Cassano Jonio Gianluca Gallo, vietava «a chiunque
di contrattare, ovvero concordare prestazioni sessuali a pagamento, oppure intrattenersi, anche dichiaratamente solo per chiedere informazioni, con soggetti che esercitano l’attività di meretricio su strada». Il
tutto considerato anche il rischio, determinato dalla presenza delle lucciole, di turbativa alla circolazione stradale con code, frenate, arresti improvvisi e manovre azzardate. Ora, “congelate” le ordinanze sindacali, i due Comuni dovranno fare i conti anche con i mancati introiti che quelle multe consentivano di incamerare nelle casse comunali e che a Corigliano si attestavano intorno ai 200mila euro annui. Una cifra che la dice tutta sul florido mercato del sesso.
giovedì 1 dicembre 2011
Piaceri e regali, ecco chi sono i compari di Calabria
Il consiglio regionale di Scopelliti ha il record degli arrestati per mafia
Di Enrico Fierro su il fatto quotidiano del 1/12/2011
’Ucumpari du cumpari, è tu cumpari. La filosofia di Francesco Morelli, il potentissimo consigliere regionale del Pdl-Scopelliti presidente, sta tutta in questa frase scandita qualche anno fa davanti alle telecamere di Annozero. Avevano ammazzato Franco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale, e fortissimi sospetti gravavano sull’uomo che gli subentrò, Mimmo Crea. Fu in quella occasione, abbracciando e baciando in modo plateale Crea, che Morelli dettò a tutta l’Italia la sua filosofia. Siamo una cosa sola, anche compare Mimmo, che oggi è in galera per mafia. Cose di Calabria, dove, a dar credito a un altro “esperto”, Roberto Moio,pentito di mafia, “la ‘ndrangheta è la politica e la politica è la ‘ndrangheta ”. Franco Morelli, secondo degli eletti nel Consiglio regionale con 16 mila voti, è un uomo di Peppe Scopelliti, il giovane governatore dj della Calabria. Grazie agli uomini che ha voluto nelle sue liste e che ha portato al governo della Regione, il Consiglio regionale calabrese è oggi quello con la più alta percentuale di onorevoli arrestati per mafia.
SANTI ZAPPALÀ, medico e supervotato pure lui nelle liste Pdl-Scopelliti, lo hanno ammanettato l’anno scorso perché andava in pellegrinaggio a casa del boss Pelle a chiedere voti. Franco Morelli è finito in galera ieri. Era il politico di riferimento della famiglia Lampada, calabresi trapiantati a Milano. Se li ricordano ancora al quartiere Archi di Reggio quando gestivano una scalcinata macelleria. Poi i Lampada trovarono in Lombardia la loro America, con le slot-machine truccate, una miriade di bar, ristoranti e imprese. Riciclavano i soldi di Pasquale Condello, ‘o Supremo, e dei Tegano. Ma volevano arrivare in alto, a gestire il business del gioco in tutto il Nord, e a mettere le mani sui cantieri Expo, per questo serviva la politica. Franco Morelli era il loro uomo. Ex democristiano, consigliere regionale da anni, legatissimo a Gianni Alemanno e all’ex governatore di centrodestra Giuseppe Chiaravalloti, numero due dell’Autorità delle Telecomunicazioni. L’uomo giusto. Che presenta i Lampada ad Alemanno. Siamo alla vigilia delle elezioni del 2008, in quel periodo il sindaco di Roma è ministro dell’Agricoltura e Morelli organizza un evento elettorale al Café
de Paris, in via Veneto. Mai location fu più indicata.Il caffè della dolce vita era allora nelle mani degli Alvaro di Sinopoli, altra ‘ndrangheta, altri compari. Entusiasta per l’accoglienza calorosa, Alemanno impugna il microfono e parla. “Ringrazio il gruppo Lampada, noti industriali calabresi trapiantati a Milano”. Giulio, rampollo della famiglia, se la ride al telefono con un suo amico quando racconta la giornata: “E noi eravamo lì,in un angolino che gli alzavamo la mano, tipo cià, cià”. Il sindaco di Roma non è indagato, precisano i magistrati milanesi.
L’INGENUITÀ non è ancora reato, ma è una colpa grave per un uomo politico che in quel momento aveva addirittura responsabilità ministeriali. “Che Alemanno –scrive il gip –non avesse idea alcuna di chi fossero in realtà i Lampada, conta poco o nulla. Quello che conta è che il gruppo mafioso riesca ad accedere ad alcune relazioni personali di favore”. “Eravamo la Reggio bene”, dice raggiante Giulio Lampada. Perché lui e la sua famiglia avevano bisogno come il pane di relazioni eccellenti. Quella col giudice Vincenzo Giglio, magistrato di democratici sentimenti (ha la tessera di Md) e responsabile dei sequestri dei beni mafiosi, è vitale. Il giudice fa
l’informatore, cerca di capire a che punto sono le indagini sui Lampada e sui loro protettori politici che il capo dei Ros di Reggio, il colonnello Valerio Giardina, e un giovane pm, Giuseppe Lombardo, stanno portando avanti. In cambio riceve amicizia politica dall’onorevole Morelli. “Mia moglie –scrive in un sms al consigliere – fa parte della piccola schiera di persone cui piace lavorare molto . . .”. Chiede un posto per la signora, un incarico di prestigio, ma “fortemente operativo”. E lo ottiene. La consorte viene nominata commissaria straordinaria dell’azienda ospedaliera di Vibo Valentia, un carrozzone dove la ‘ndrangheta comandava tutto. Posti, appalti e forniture. Un bengodi che continuò, si legge nella relazione di scioglimento per mafia, anche
nel periodo in cui la Asl è stata gestita da Alessandra Sarlo, la moglie del magistrato. Che oggi, grazie agli appoggi di Morelli e ai buoni rapporti con Scopelliti, è dirigente generale del “settore controllo strategico”della Regione.Morelli subentra nel rapporto con i Lampada, dei quali è socio e dai quali riceve un bonus di 50 mila euro, quando si allentano i legami con un altro politico calabrese. Si tratta di Alberto Sarra, nominato dal
governatore Scopelliti, sottosegretario della giunta regionale.“È un esponente politico che può vantare incarichi utili per qualsiasi consorteria mafiosa”, non è indagato, precisano i magistrati, ma ha “contatti consapevoli ed evidenti con esponenti della ‘ndrangheta e costituisce uno dei terminali dei Lampada”. Quando le indiscrezioni sui suoi rapporti con i “milanesi”si fanno insistenti, si fa da parte e subentra Morelli. “Politico spregiudicato che cerca i voti della ‘ndrangheta, il grimaldello che consente ai Lampada di entrare nel grande mondo della politica e delle istituzioni”. Siamo tutti compari in Calabria.
Di Enrico Fierro su il fatto quotidiano del 1/12/2011
’Ucumpari du cumpari, è tu cumpari. La filosofia di Francesco Morelli, il potentissimo consigliere regionale del Pdl-Scopelliti presidente, sta tutta in questa frase scandita qualche anno fa davanti alle telecamere di Annozero. Avevano ammazzato Franco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale, e fortissimi sospetti gravavano sull’uomo che gli subentrò, Mimmo Crea. Fu in quella occasione, abbracciando e baciando in modo plateale Crea, che Morelli dettò a tutta l’Italia la sua filosofia. Siamo una cosa sola, anche compare Mimmo, che oggi è in galera per mafia. Cose di Calabria, dove, a dar credito a un altro “esperto”, Roberto Moio,pentito di mafia, “la ‘ndrangheta è la politica e la politica è la ‘ndrangheta ”. Franco Morelli, secondo degli eletti nel Consiglio regionale con 16 mila voti, è un uomo di Peppe Scopelliti, il giovane governatore dj della Calabria. Grazie agli uomini che ha voluto nelle sue liste e che ha portato al governo della Regione, il Consiglio regionale calabrese è oggi quello con la più alta percentuale di onorevoli arrestati per mafia.
SANTI ZAPPALÀ, medico e supervotato pure lui nelle liste Pdl-Scopelliti, lo hanno ammanettato l’anno scorso perché andava in pellegrinaggio a casa del boss Pelle a chiedere voti. Franco Morelli è finito in galera ieri. Era il politico di riferimento della famiglia Lampada, calabresi trapiantati a Milano. Se li ricordano ancora al quartiere Archi di Reggio quando gestivano una scalcinata macelleria. Poi i Lampada trovarono in Lombardia la loro America, con le slot-machine truccate, una miriade di bar, ristoranti e imprese. Riciclavano i soldi di Pasquale Condello, ‘o Supremo, e dei Tegano. Ma volevano arrivare in alto, a gestire il business del gioco in tutto il Nord, e a mettere le mani sui cantieri Expo, per questo serviva la politica. Franco Morelli era il loro uomo. Ex democristiano, consigliere regionale da anni, legatissimo a Gianni Alemanno e all’ex governatore di centrodestra Giuseppe Chiaravalloti, numero due dell’Autorità delle Telecomunicazioni. L’uomo giusto. Che presenta i Lampada ad Alemanno. Siamo alla vigilia delle elezioni del 2008, in quel periodo il sindaco di Roma è ministro dell’Agricoltura e Morelli organizza un evento elettorale al Café
de Paris, in via Veneto. Mai location fu più indicata.Il caffè della dolce vita era allora nelle mani degli Alvaro di Sinopoli, altra ‘ndrangheta, altri compari. Entusiasta per l’accoglienza calorosa, Alemanno impugna il microfono e parla. “Ringrazio il gruppo Lampada, noti industriali calabresi trapiantati a Milano”. Giulio, rampollo della famiglia, se la ride al telefono con un suo amico quando racconta la giornata: “E noi eravamo lì,in un angolino che gli alzavamo la mano, tipo cià, cià”. Il sindaco di Roma non è indagato, precisano i magistrati milanesi.
L’INGENUITÀ non è ancora reato, ma è una colpa grave per un uomo politico che in quel momento aveva addirittura responsabilità ministeriali. “Che Alemanno –scrive il gip –non avesse idea alcuna di chi fossero in realtà i Lampada, conta poco o nulla. Quello che conta è che il gruppo mafioso riesca ad accedere ad alcune relazioni personali di favore”. “Eravamo la Reggio bene”, dice raggiante Giulio Lampada. Perché lui e la sua famiglia avevano bisogno come il pane di relazioni eccellenti. Quella col giudice Vincenzo Giglio, magistrato di democratici sentimenti (ha la tessera di Md) e responsabile dei sequestri dei beni mafiosi, è vitale. Il giudice fa
l’informatore, cerca di capire a che punto sono le indagini sui Lampada e sui loro protettori politici che il capo dei Ros di Reggio, il colonnello Valerio Giardina, e un giovane pm, Giuseppe Lombardo, stanno portando avanti. In cambio riceve amicizia politica dall’onorevole Morelli. “Mia moglie –scrive in un sms al consigliere – fa parte della piccola schiera di persone cui piace lavorare molto . . .”. Chiede un posto per la signora, un incarico di prestigio, ma “fortemente operativo”. E lo ottiene. La consorte viene nominata commissaria straordinaria dell’azienda ospedaliera di Vibo Valentia, un carrozzone dove la ‘ndrangheta comandava tutto. Posti, appalti e forniture. Un bengodi che continuò, si legge nella relazione di scioglimento per mafia, anche
nel periodo in cui la Asl è stata gestita da Alessandra Sarlo, la moglie del magistrato. Che oggi, grazie agli appoggi di Morelli e ai buoni rapporti con Scopelliti, è dirigente generale del “settore controllo strategico”della Regione.Morelli subentra nel rapporto con i Lampada, dei quali è socio e dai quali riceve un bonus di 50 mila euro, quando si allentano i legami con un altro politico calabrese. Si tratta di Alberto Sarra, nominato dal
governatore Scopelliti, sottosegretario della giunta regionale.“È un esponente politico che può vantare incarichi utili per qualsiasi consorteria mafiosa”, non è indagato, precisano i magistrati, ma ha “contatti consapevoli ed evidenti con esponenti della ‘ndrangheta e costituisce uno dei terminali dei Lampada”. Quando le indiscrezioni sui suoi rapporti con i “milanesi”si fanno insistenti, si fa da parte e subentra Morelli. “Politico spregiudicato che cerca i voti della ‘ndrangheta, il grimaldello che consente ai Lampada di entrare nel grande mondo della politica e delle istituzioni”. Siamo tutti compari in Calabria.
Libero eurodelirio
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La superficialità e la sciatteria in materia economica, per assecondare gli interessi forti di questo e quello, sono all’ordine del giorno. Per anni si discute, per ordine del cavalier Berlusconi, dei presunti effetti nefasti dell’euro sull’economia italiana, visto che la moneta europea avrebbe consentito le peggiori speculazioni sui prezzi a causa dei mancati controlli del governo. Tutta colpa di Romano Prodi che nel 1998, da presidente del Consiglio, portò l’Italia nel sistema della moneta europea. Pochi ricordano che quell’operazione ebbe un altro artefice: Carlo Azeglio Ciampi. E che il passaggio dalla lira all’euro avvenne il primo gennaio 2002, in pieno governo Berlusconi. Dunque, se c’era bisogno di controlli, chi non li dispose è lui. Il fatto è che lui, all’epoca, sulla moneta unica la pensava diversamente: era un grande tifoso dell’euro e diceva che «con l’euro ci sono le premesse di una nuova stabilità.
Diamo il benvenuto alla nuova moneta, è un’idea straordinaria che è diventata realtà. Con l’euro è stato bandito il peccato monetario» (26 novembre 2001).
Persino Umberto Bossi, in quei mesi, magnificava l'euro, improvvisandosi economista e ricordando a Pontida che, «se la lira non fosse entrata nell'euro, non sarebbero fallite soltanto le grandi imprese italiane, ma anche le piccole imprese, perché il costo del denaro e l'inflazione sarebbero saliti alle stelle» (16 giugno 2001).
Strano che nessun giornalista e/o economista di centrodestra l'abbia mai fatto notare: «euristi» finché lo erano Berlusconi e Bossi, sono diventati tutti «antieuristi» quando i padroni hanno voltato gabbana. Così oggi, se si chiedesse agli italiani sotto quale governo l'Italia entrò nell'euro, quasi tutti risponderebbero: sotto il governo Prodi. Invece, l'abbiamo visto, fu sotto il governo Berlusconi.
martedì 29 novembre 2011
«Il piano di rientro non va»
Lo denunciano Principe e Pacenza: troppe critiche al tavolo Massicci
Di Saverio Paletta su Calabria ora del 29/11/2011
«Non siamo disfattisti», ha dichiarato Franco Pacenza, l’ex consigliere regionale, Ds prima Pd poi, durante
la conferenza stampa svoltasi ieri mattina all’Hotel San Francesco, uno dei “santuari” del socialismo rendese.
Non a caso, assieme a Pacenza c’era Sandro Principe, il capogruppo democrat a palazzo Campanella,
a denunciare il brusco stop che il piano di rientro per la Sanità regionale ha subito dal tavolo Massicci.
Non sarà bocciatura, visto che Scopelliti ha tentato venerdì scorso di correre ai ripari con il varo di un decreto (il 120/2011), ma poco ci manca.
«Il primo rilievo che emerge dall’ultimo tavolo Massicci è che il debito storico non è stato certificato», ha proseguito Pacenza.
Quindi del “buco”, anzi della voragine su cui tutti, dal 2010 in poi, hanno dato i numeri (a quanto pare senza azzeccarli) si sa ancora poco.
E non finisce qui.
Perché se è già difficile capire di quanto rientrare se non si conosce il deficit, non riuscire a mantenere troppo
la spesa corrente, che vuol dire altri debiti, è una tragedia, almeno a sentire Pacenza.
«Il calo dei debiti negli ultimi tre anni è stato troppo basso», ha insistito il big di Corigliano.
E sarebbe, a sentir lui, un “taglio” che sa di bluff: «Nel 2010 siamo scesi di 67 milioni. Questa somma è il prodotto di due elementi: la riduzione della spesa farmaceutica e il blocco del turn over nel personale».
Come a dire tanti sacrifici per nulla.
Già perché i 950 e rotti milioni di premialità, di cui si parla da oltre un anno «non sono stati sbloccati».
Al danno si aggiunge la beffa.
Infatti, ha incalzato Pacenza, «mentre il Lazio e la Campania, commissariati anch’essi, hanno ottenuto i residui, noi abbiamo solo avuto la possibilità, lo scorso luglio, di contrarre un mutuo di 398 milioni, con una rata annuale di 30 milioni che peserà per due lustri sulle spalle dei calabresi».
Si consideri tutto ciò e si pensi che il tempo stringe: «Il dibattito in consiglio regionale riprenderà venerdì
prossimo», ha ribadito Principe, ma «il piano di rientro scadrà il 31 dicembre».
In questa data dovrebbe chiudersi il ciclo iniziato da Loiero a dicembre 2009.
Il piano, secondo i dati forniti dai due dirigenti del Pd: «È arrivato ai due terzi di avanzamento», quando dovrebbe essere quasi concluso.
E non è avanzato nemmeno bene, «visto che lo Stato e il tavolo Massicci hanno impugnato diversi provvedimenti normativi della Regione», ha proseguito Principe.
Che non ha rinunciato a una delle sue sortite classiche: «Se fallisse la Sanità fallirebbe pure il regionalismo. Noi daremo il nostro contributo per scongiurare questo rischio. Certo, dall’altra parte abbiamo visto comportamenti istituzionali non corretti. Ma noi pensiamo prima alla Calabria».
Di Saverio Paletta su Calabria ora del 29/11/2011
«Non siamo disfattisti», ha dichiarato Franco Pacenza, l’ex consigliere regionale, Ds prima Pd poi, durante
la conferenza stampa svoltasi ieri mattina all’Hotel San Francesco, uno dei “santuari” del socialismo rendese.
Non a caso, assieme a Pacenza c’era Sandro Principe, il capogruppo democrat a palazzo Campanella,
a denunciare il brusco stop che il piano di rientro per la Sanità regionale ha subito dal tavolo Massicci.
Non sarà bocciatura, visto che Scopelliti ha tentato venerdì scorso di correre ai ripari con il varo di un decreto (il 120/2011), ma poco ci manca.
«Il primo rilievo che emerge dall’ultimo tavolo Massicci è che il debito storico non è stato certificato», ha proseguito Pacenza.
Quindi del “buco”, anzi della voragine su cui tutti, dal 2010 in poi, hanno dato i numeri (a quanto pare senza azzeccarli) si sa ancora poco.
E non finisce qui.
Perché se è già difficile capire di quanto rientrare se non si conosce il deficit, non riuscire a mantenere troppo
la spesa corrente, che vuol dire altri debiti, è una tragedia, almeno a sentire Pacenza.
«Il calo dei debiti negli ultimi tre anni è stato troppo basso», ha insistito il big di Corigliano.
E sarebbe, a sentir lui, un “taglio” che sa di bluff: «Nel 2010 siamo scesi di 67 milioni. Questa somma è il prodotto di due elementi: la riduzione della spesa farmaceutica e il blocco del turn over nel personale».
Come a dire tanti sacrifici per nulla.
Già perché i 950 e rotti milioni di premialità, di cui si parla da oltre un anno «non sono stati sbloccati».
Al danno si aggiunge la beffa.
Infatti, ha incalzato Pacenza, «mentre il Lazio e la Campania, commissariati anch’essi, hanno ottenuto i residui, noi abbiamo solo avuto la possibilità, lo scorso luglio, di contrarre un mutuo di 398 milioni, con una rata annuale di 30 milioni che peserà per due lustri sulle spalle dei calabresi».
Si consideri tutto ciò e si pensi che il tempo stringe: «Il dibattito in consiglio regionale riprenderà venerdì
prossimo», ha ribadito Principe, ma «il piano di rientro scadrà il 31 dicembre».
In questa data dovrebbe chiudersi il ciclo iniziato da Loiero a dicembre 2009.
Il piano, secondo i dati forniti dai due dirigenti del Pd: «È arrivato ai due terzi di avanzamento», quando dovrebbe essere quasi concluso.
E non è avanzato nemmeno bene, «visto che lo Stato e il tavolo Massicci hanno impugnato diversi provvedimenti normativi della Regione», ha proseguito Principe.
Che non ha rinunciato a una delle sue sortite classiche: «Se fallisse la Sanità fallirebbe pure il regionalismo. Noi daremo il nostro contributo per scongiurare questo rischio. Certo, dall’altra parte abbiamo visto comportamenti istituzionali non corretti. Ma noi pensiamo prima alla Calabria».
giovedì 24 novembre 2011
La Calabria deve fare di più ma c'è bisogno dello stato
Lettera al neopremier Mario Monti scritta da Sandro Principe, capogruppo Pd al consiglio regionale calabrese, pubblicata su Calabria ora del 24/11/2011
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mercoledì 23 novembre 2011
Principe scrive a Mario Monti
Una lettera per “ricordare” al premier le annose questioni calabresi
Di Antonio Cantisani su Calabria ora del 23/11/2011
L’autocritica ma anche l’appello affinché la Calabria non sia dimenticata dallo Stato. Accorata lettera del capogruppo del Pd alla Regione Sandro Principe al neo presidente del Consiglio Monti. La premessa di Principe: «È mia sincera convinzione che i ritardi della Calabria sono dovuti, anche in modo rilevante, ai limiti di direzione politica e istituzionale della nostra Regione e del nostro sistema delle autonomie locali».
Ma Principe evidenzia anche i limiti dell’azione che Roma finora ha svolto per la Calabria: «Se la nostra autostrada non ha caratteristiche europee; se l’alta velocità si ferma a Battipaglia; se la linea ferroviaria tirrenica non viene neanche fatta oggetto di interventi per velocizzarla (anzi vengono soppressi treni a lunga percorrenza, ultimamente in numero di 21); se la linea ferroviaria ionica è ancora a binario unico; se il porto di Gioia Tauro, vera e propria eccellenza calabrese, viene abbandonato a se stesso; se le nostre contrade non sono sicure in ragione della presenza di una potentissima delinquenza organizzata, non può cadere in dubbio -
prosegue il capogruppo regionale del Pd - che tutte queste situazioni, e altre ancora, sono di competenza dello Stato e pertanto è da attribuire alla sua responsabilità la condizione in cui versano».
Principe passa quindi alla proposta: «Con infrastrutture antidiluviane e senza sicurezza chi avrà il coraggio di investire in Calabria? Lo sfruttamento turistico delle nostre bellissime coste e dei nostri monti, la commercializzazione dei nostri prodotti, l’auspicabile creazione di un tessuto produttivo, grazie anche alla ricerca che si produce nelle nostre università, è pensabile senza investimenti nelle infrastrutture?».
«È significativo - aggiunge nella lettera a Monti - che il governo da lei presieduto mostri di condividere questa tesi: in tal senso, penso, vada interpretata la decisione di affidare a un solo dicastero la cura delle politiche per lo sviluppo economico e il potenziamento delle infrastrutture E a proposito di tessuto produttivo, nel Mezzogiorno e in Calabria è proprio fuori luogo pensare a sgravi fiscali e contributivi per le imprese, elargiti se le stesse fanno investimenti normali e in ricerca e procedono all’assunzione di giovani?».
A parere di Principe «il prestigio» di cui gode in Europa permetterà a Monti «di negoziare l’autorizzazione della Ue ad adottare un provvedimento di questa natura, che aiuterebbe molto la coesione territoriale. Signor presidente, la classe dirigente calabrese a tutti i livelli deve fare fino in fondo la propria parte, deve mettercela tutta, ma la Calabria ha bisogno dello Stato. L’Italia deve tornare a crescere. Saprà farlo grazie ai provvedimenti che adotterà il governo da lei presieduto, che certamente mireranno anche a far crescere il Mezzogiorno e la nostra Calabria».
Principe conclude: «La presenza nel suo governo di un ministro per la coesione territoriale è un buon segnale; ma per raggiungere una effettiva coesione sull’intero territorio nazionale sarà necessario avviare a soluzione anche le annose questioni menzionate».
Di Antonio Cantisani su Calabria ora del 23/11/2011
L’autocritica ma anche l’appello affinché la Calabria non sia dimenticata dallo Stato. Accorata lettera del capogruppo del Pd alla Regione Sandro Principe al neo presidente del Consiglio Monti. La premessa di Principe: «È mia sincera convinzione che i ritardi della Calabria sono dovuti, anche in modo rilevante, ai limiti di direzione politica e istituzionale della nostra Regione e del nostro sistema delle autonomie locali».
Ma Principe evidenzia anche i limiti dell’azione che Roma finora ha svolto per la Calabria: «Se la nostra autostrada non ha caratteristiche europee; se l’alta velocità si ferma a Battipaglia; se la linea ferroviaria tirrenica non viene neanche fatta oggetto di interventi per velocizzarla (anzi vengono soppressi treni a lunga percorrenza, ultimamente in numero di 21); se la linea ferroviaria ionica è ancora a binario unico; se il porto di Gioia Tauro, vera e propria eccellenza calabrese, viene abbandonato a se stesso; se le nostre contrade non sono sicure in ragione della presenza di una potentissima delinquenza organizzata, non può cadere in dubbio -
prosegue il capogruppo regionale del Pd - che tutte queste situazioni, e altre ancora, sono di competenza dello Stato e pertanto è da attribuire alla sua responsabilità la condizione in cui versano».
Principe passa quindi alla proposta: «Con infrastrutture antidiluviane e senza sicurezza chi avrà il coraggio di investire in Calabria? Lo sfruttamento turistico delle nostre bellissime coste e dei nostri monti, la commercializzazione dei nostri prodotti, l’auspicabile creazione di un tessuto produttivo, grazie anche alla ricerca che si produce nelle nostre università, è pensabile senza investimenti nelle infrastrutture?».
«È significativo - aggiunge nella lettera a Monti - che il governo da lei presieduto mostri di condividere questa tesi: in tal senso, penso, vada interpretata la decisione di affidare a un solo dicastero la cura delle politiche per lo sviluppo economico e il potenziamento delle infrastrutture E a proposito di tessuto produttivo, nel Mezzogiorno e in Calabria è proprio fuori luogo pensare a sgravi fiscali e contributivi per le imprese, elargiti se le stesse fanno investimenti normali e in ricerca e procedono all’assunzione di giovani?».
A parere di Principe «il prestigio» di cui gode in Europa permetterà a Monti «di negoziare l’autorizzazione della Ue ad adottare un provvedimento di questa natura, che aiuterebbe molto la coesione territoriale. Signor presidente, la classe dirigente calabrese a tutti i livelli deve fare fino in fondo la propria parte, deve mettercela tutta, ma la Calabria ha bisogno dello Stato. L’Italia deve tornare a crescere. Saprà farlo grazie ai provvedimenti che adotterà il governo da lei presieduto, che certamente mireranno anche a far crescere il Mezzogiorno e la nostra Calabria».
Principe conclude: «La presenza nel suo governo di un ministro per la coesione territoriale è un buon segnale; ma per raggiungere una effettiva coesione sull’intero territorio nazionale sarà necessario avviare a soluzione anche le annose questioni menzionate».
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Sandro Principe
SCOPELLITI: BOIA CHI MI MOLLA
Inchieste dei giornali e indagini dei pm rovinano il compleanno del governatore
Di Enrico Fierro sul fatto quotidiano del 22/11/2011
È stato un compleanno avvelenato quello di Peppe Scopelliti. Classe 1966, giorno di nascita il 21 novembre, giovane politico in ascesa. Avvelenato dalle polemiche violente scatenate contro tre giornali, il Fatto, La Stampa,il Sole 24 Ore, e dalle reazioni che hanno provocato con comunicati dei cdr e della Fnsi.
Ma ancora di più a rendergli amari i giorni sono le inchieste della magistratura. L’ultima che ha portato in galera una serie di colletti bianchi, mafiosi e affaristi, e che ha svelato quello che in città tutti sapevano: la
‘ndrangheta, quella potente della famiglia Tegano, era in società col Comune di Reggio Calabria tramite la “Multiser vizi”.
Un colosso, centinaia di dipendenti e milioni di euro da gestire. Una tegola sulla testa del giovane golden - boy della destra in Riva allo Stretto. Uno che non dimentica il suo passato missino, che celebra davanti al monumento di Ciccio Franco, il capo dei Boia chi Molla.
“PEPPE Scopelliti, una laurea in Economia presto chiusa nei cassetti: il potere pretende dedizione e il tempo per svolgere qualsiasi attività professionale non c’è. Segretario del Fronte della Gioventù nel 1992, nel
1994 candidato al Parlamento europeo, l’anno dopo primo degli eletti alla Regione, rieletto nel 2000, e poi presidente del Consiglio e assessore al Lavoro con la giunta Chiaravalloti. Nel 2002 la conquista di Reggio con il 53%dei voti e l’elezione a sindaco. Riconferma cinque anni dopo, ma questa volta con il 70% dei voti. E fa niente se nei giorni di fuoco della campagna elettorale i manifesti col suo faccione campeggiavano nei saloni del Teatro Margherita, gentilmente concesso “senza nulla a pretendere ” da Gioacchino Campolo, il “re dei videopoker ”. Quando il signor Gioacchino viene arrestato gli sequestrano immobili per qualche milione di euro a Roma e a Parigi. “Soldi accumulati – spiega il procuratore di Reggio, Giuseppe Pignatone – con la gestione monopolistica dei videogiochi, uno dei canali privilegiati dalla criminalità organizzata”. Ma Peppe, ragazzo in carriera, non se ne cura. Lui è il rinnovamento, spazzerà via la vecchia politica e costruirà il“modello Reggio”.
“Credere, obbedire, ballare”, è il motto che gli appiccicano addosso. Riletto oggi che il Comune è sull’orlo del default con 170 milioni di debiti accertati, e lui stesso è indagato per falso in atto pubblico, suona beffardo.
Scopelliti era ossessionato dal mondo dello show-biz, voleva stupire a tutti i costi. “Paolo ho bisogno di una cortesia, abbiamo intenzione di fare qualcosa di eccezionale a Reggio, per me sarebbe il massimo incontrare
Lele Mora”. Paolo Martino, uomo di collegamento della ‘ndrangheta calabrese con il bel mondo di Milano, racconta così il suo incontro con l’allora sindaco Scopelliti. “Conosco lui, suo fratello Tino e l’altro fratello
Francesco che sta a Como e fa l’assessore ”, ricorda Martino in un interrogatorio. L’incontro si fa e subito, Scopelliti quasi si commuove: “Paolo, per me conoscere uomini come te è qualcosa di gratificante”. Ma per
portare il manager delle starlette, Valeria Marini (60 mila euro per lo struscio nelle vie principali), forse non bastava l’uomo delle ‘ndrine interralombarda, bisognava rivolgersi anche ad altri. A Pasquale Rappoccio,
massone della “Gran loggia regionale d’Italia”col grado di “secondo principale”, oggi finito nei guai per storie di malasanità e rapporti con le cosche. “Frequentatore assiduo del sindaco”, si legge in un rapporto della
Gdf del 2007. Assieme al grembiulino di Reggio, Scopelliti vola a Milano per incontrare Mora,
ma non prende l’aereo di Lele, “altrimenti volano interrogazioni e polemiche” e fissano appuntamenti per andare in Sardegna sulla barca di Briatore.
LA BELLA VITA a Reggio e spese pazze. Alcune al limite del ridicolo, come i 23 mila euro buttati per comprare 100 mila salviettine rinfrescanti al bergamotto con la scritta no alla ‘ndrangheta. Perché il giovane
Scopelliti, eletto governatore della Calabria col 58% dei voti, la ‘ndrangheta la combatte, ma sempre in modo spettacolare. E guai a chi, fra i suoi, sbaglia. L’anno scorso gli hanno arrestato Santi Zappalà, uno fra i più votati nelle liste che lo sostenevano. I carabinieri lo filmarono e intercettarono mentre andava a chiedere voti a Giuseppe Pelle “Gambazza”, boss di San Luca. Scopelliti lo ha mollato, senza mai chiedersi se quei voti messi
a disposizione dalla ‘ndrangheta avessero contribuito anche al suo personale successo. Ed è di poche settimane fa un dossier consegnato dai magistrati di Genova alla Commissione parlamentare antimafia nel quale si parla delle ultime elezioni regionali e dell’“alacre sostegno di esponenti della cosca Raso-Gullace, anche conpalesi intimidazioni, a favore del candidato Antonio Stefano Caridi”. Si tratta di un assessore regionale, non indagato, storico uomo di Scopelliti. La mafia è solo quella folk di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, e quando i pentiti lo tirano in ballo, il governatore insorge: è una provocazione, non sapevo. Sono cinque (Lo Giudice, Fiume, Paolo Iannò, Fragapane, Moio) rappresentativi delle famiglie più potenti della città, parlano di lui e dei voti concessi.
LA REGOLA è smentire, ribattere. Mai chiarire. E mai chiarita fino in fondo è stata la partecipazione al pranzo per il cinquantesimo anniversario di matrimonio dei genitori di Mimmo Barbieri, finito al centro di una
poderosa inchiesta antimafia. “C’erano proprio tutti –racconta il giorno dopo Cosimo Alvaro – il sindaco, Gesuele Vilasi (assessore comunale di Forza Italia, ndr) e quelli della Margherita e dell’Udeur”. Cosimo Alvaro, rampollo della famiglia di Sinopoli, c’era. Quando Scopelliti venne eletto sindaco per la seconda volta, entusiasta, si lasciò scappare: “Ora entriamo in politica. Forza zio Peppino”.
Di Enrico Fierro sul fatto quotidiano del 22/11/2011
È stato un compleanno avvelenato quello di Peppe Scopelliti. Classe 1966, giorno di nascita il 21 novembre, giovane politico in ascesa. Avvelenato dalle polemiche violente scatenate contro tre giornali, il Fatto, La Stampa,il Sole 24 Ore, e dalle reazioni che hanno provocato con comunicati dei cdr e della Fnsi.
Ma ancora di più a rendergli amari i giorni sono le inchieste della magistratura. L’ultima che ha portato in galera una serie di colletti bianchi, mafiosi e affaristi, e che ha svelato quello che in città tutti sapevano: la
‘ndrangheta, quella potente della famiglia Tegano, era in società col Comune di Reggio Calabria tramite la “Multiser vizi”.
Un colosso, centinaia di dipendenti e milioni di euro da gestire. Una tegola sulla testa del giovane golden - boy della destra in Riva allo Stretto. Uno che non dimentica il suo passato missino, che celebra davanti al monumento di Ciccio Franco, il capo dei Boia chi Molla.
“PEPPE Scopelliti, una laurea in Economia presto chiusa nei cassetti: il potere pretende dedizione e il tempo per svolgere qualsiasi attività professionale non c’è. Segretario del Fronte della Gioventù nel 1992, nel
1994 candidato al Parlamento europeo, l’anno dopo primo degli eletti alla Regione, rieletto nel 2000, e poi presidente del Consiglio e assessore al Lavoro con la giunta Chiaravalloti. Nel 2002 la conquista di Reggio con il 53%dei voti e l’elezione a sindaco. Riconferma cinque anni dopo, ma questa volta con il 70% dei voti. E fa niente se nei giorni di fuoco della campagna elettorale i manifesti col suo faccione campeggiavano nei saloni del Teatro Margherita, gentilmente concesso “senza nulla a pretendere ” da Gioacchino Campolo, il “re dei videopoker ”. Quando il signor Gioacchino viene arrestato gli sequestrano immobili per qualche milione di euro a Roma e a Parigi. “Soldi accumulati – spiega il procuratore di Reggio, Giuseppe Pignatone – con la gestione monopolistica dei videogiochi, uno dei canali privilegiati dalla criminalità organizzata”. Ma Peppe, ragazzo in carriera, non se ne cura. Lui è il rinnovamento, spazzerà via la vecchia politica e costruirà il“modello Reggio”.
“Credere, obbedire, ballare”, è il motto che gli appiccicano addosso. Riletto oggi che il Comune è sull’orlo del default con 170 milioni di debiti accertati, e lui stesso è indagato per falso in atto pubblico, suona beffardo.
Scopelliti era ossessionato dal mondo dello show-biz, voleva stupire a tutti i costi. “Paolo ho bisogno di una cortesia, abbiamo intenzione di fare qualcosa di eccezionale a Reggio, per me sarebbe il massimo incontrare
Lele Mora”. Paolo Martino, uomo di collegamento della ‘ndrangheta calabrese con il bel mondo di Milano, racconta così il suo incontro con l’allora sindaco Scopelliti. “Conosco lui, suo fratello Tino e l’altro fratello
Francesco che sta a Como e fa l’assessore ”, ricorda Martino in un interrogatorio. L’incontro si fa e subito, Scopelliti quasi si commuove: “Paolo, per me conoscere uomini come te è qualcosa di gratificante”. Ma per
portare il manager delle starlette, Valeria Marini (60 mila euro per lo struscio nelle vie principali), forse non bastava l’uomo delle ‘ndrine interralombarda, bisognava rivolgersi anche ad altri. A Pasquale Rappoccio,
massone della “Gran loggia regionale d’Italia”col grado di “secondo principale”, oggi finito nei guai per storie di malasanità e rapporti con le cosche. “Frequentatore assiduo del sindaco”, si legge in un rapporto della
Gdf del 2007. Assieme al grembiulino di Reggio, Scopelliti vola a Milano per incontrare Mora,
ma non prende l’aereo di Lele, “altrimenti volano interrogazioni e polemiche” e fissano appuntamenti per andare in Sardegna sulla barca di Briatore.
LA BELLA VITA a Reggio e spese pazze. Alcune al limite del ridicolo, come i 23 mila euro buttati per comprare 100 mila salviettine rinfrescanti al bergamotto con la scritta no alla ‘ndrangheta. Perché il giovane
Scopelliti, eletto governatore della Calabria col 58% dei voti, la ‘ndrangheta la combatte, ma sempre in modo spettacolare. E guai a chi, fra i suoi, sbaglia. L’anno scorso gli hanno arrestato Santi Zappalà, uno fra i più votati nelle liste che lo sostenevano. I carabinieri lo filmarono e intercettarono mentre andava a chiedere voti a Giuseppe Pelle “Gambazza”, boss di San Luca. Scopelliti lo ha mollato, senza mai chiedersi se quei voti messi
a disposizione dalla ‘ndrangheta avessero contribuito anche al suo personale successo. Ed è di poche settimane fa un dossier consegnato dai magistrati di Genova alla Commissione parlamentare antimafia nel quale si parla delle ultime elezioni regionali e dell’“alacre sostegno di esponenti della cosca Raso-Gullace, anche conpalesi intimidazioni, a favore del candidato Antonio Stefano Caridi”. Si tratta di un assessore regionale, non indagato, storico uomo di Scopelliti. La mafia è solo quella folk di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, e quando i pentiti lo tirano in ballo, il governatore insorge: è una provocazione, non sapevo. Sono cinque (Lo Giudice, Fiume, Paolo Iannò, Fragapane, Moio) rappresentativi delle famiglie più potenti della città, parlano di lui e dei voti concessi.
LA REGOLA è smentire, ribattere. Mai chiarire. E mai chiarita fino in fondo è stata la partecipazione al pranzo per il cinquantesimo anniversario di matrimonio dei genitori di Mimmo Barbieri, finito al centro di una
poderosa inchiesta antimafia. “C’erano proprio tutti –racconta il giorno dopo Cosimo Alvaro – il sindaco, Gesuele Vilasi (assessore comunale di Forza Italia, ndr) e quelli della Margherita e dell’Udeur”. Cosimo Alvaro, rampollo della famiglia di Sinopoli, c’era. Quando Scopelliti venne eletto sindaco per la seconda volta, entusiasta, si lasciò scappare: “Ora entriamo in politica. Forza zio Peppino”.
lunedì 21 novembre 2011
«Purtroppo in Calabria non abbiamo un Monti...»
Intervista a Principe su Consiglio e futuro del Pd
Di Antonio Cantisani su Calabria ora del 20/11/2011
Il “vulnus” del consiglio regionale. Il capogruppo del Pd Sandro Principe torna sui lavori dell’ultima seduta di palazzo Campanella e contesta l’atteggiamento del presidente della Giunta Scopelliti e della maggioranza di centrodestra.
Onorevole Principe, l’altro ieri è andato di scena l’Aventino dell’opposizione: è un fatto molto significativo che l’opposizione abbia lasciato l’aula.
«Nessun Aventino, soltanto l’invito da parte nostra a rispettare le regole del corretto funzionamento delle istituzioni e della democrazia. Regole completamente disattese, ed è grave che sia successo su un tema così delicato come la sanità. Prima di iniziare i lavori si era convenuto su un’introduzione del presidente Scopelliti contenuta nei tempi per consentire un dibattito ampio, poi l’introduzione è durata molto di più. Il dibattito è iniziato con l’intervento di Loiero, quindi con quello di Mirabelli, che però ha parlato in un’aula che si svuota-
va e in mezzo a un chiacchiericcio fastidioso. Noi come opposizione siamo pronti a contribuire con
proposte e progetti, ma vorrei capire come si può assolvere a questo compito se non si può nemmeno parlare».
È stato questo il caso?
«Indubbiamente. Non si può ridurre il ruolo del Consiglio a puro sfogatoio. Quello che è accaduto venerdì è purtroppo una consuetudine da parte del presidente Scopelliti e del centrodestra. Un dibattito in Consiglio è un confronto di idee e di temi, ma come si può fare un dibattito se nessuno ascolta? Da parte della maggioranza c’è stata un’evidente mancanza di rispetto istituzionale. E poi un’altra considerazione me la deve concedere».
Prego...
«Ho notato in questi giorni che il neopresidente del Consiglio Monti, sia al Senato che alla Camera, non si è mosso un attimo dal suo posto seguendo tutti gli interventi. Un garbo istituzionale straordinario. Da noi invece Scopelliti lascia l’aula...».
Insomma, un’occasione sprecata, visto che si parlava del tema dei temi, la sanità?
«Secondo lei, se fossimo rimasti in aula a parlare alle sedie cosa sarebbe cambiato? Sarebbe finita
che sarebbe stato approvato un documento della maggioranza che avrebbe detto che Scopelliti è perfetto e che ha risolto tutti i problemi della sanità. È serietà questa?».
Il presidente Scopelliti e la maggioranza tuttavia sostengono che la vostra decisione di lasciare l’aula è nata in realtà dal fatto che non avevate argomenti per replicare, visti numeri citati dallo stesso governatore sulla sanità...
«Scopelliti può dire quello che vuole, ma la verità è che venerdì c’è stata una grave mancanza di rispetto. Nel merito, poi, mi sembra che la sanità stia affogando in un mare di problemi, a Cosenza è allo sbando e lo stesso avviene negli altri territori. Questi sono i fatti, altro che numeri e cifre... E poi oggi la sanità è gestita a colpi di decreti, senza alcun dialogo con nessuno. Poiché questa è la cultura che Scopelliti e il centrodestra prediligono a scapito del dialogo, a questa cultura non ci vogliamo stare. Noi vogliamo parlare dei tanti problemi che assillano i calabresi – e che questa Giunta sta aggravando – e di proposte concrete».
Un’ultima, quasi doverosa domanda: il Pd in Calabria. Siete in attesa di Roma, attesa però finora delusa...
«Come gruppo alla Regione abbiamo trovato una forte unità e stiamo conducendo iniziative in tutti i territori e battaglie in Consiglio, battaglie spesso solitarie. È chiaro che tutto questo lavoro di opposizione diverrebbe ancora più incisivo se si inserisse in un contesto politico in cui c’è un partito che fa la sua parte primaria. Il Pd nazionale in questi giorni convulsi si è concentrato sulla crisi di governo dimostrando grande sensibilità e capacità: ora speriamo che in tempi brevi si occupi della Calabria».
Di Antonio Cantisani su Calabria ora del 20/11/2011
Il “vulnus” del consiglio regionale. Il capogruppo del Pd Sandro Principe torna sui lavori dell’ultima seduta di palazzo Campanella e contesta l’atteggiamento del presidente della Giunta Scopelliti e della maggioranza di centrodestra.
Onorevole Principe, l’altro ieri è andato di scena l’Aventino dell’opposizione: è un fatto molto significativo che l’opposizione abbia lasciato l’aula.
«Nessun Aventino, soltanto l’invito da parte nostra a rispettare le regole del corretto funzionamento delle istituzioni e della democrazia. Regole completamente disattese, ed è grave che sia successo su un tema così delicato come la sanità. Prima di iniziare i lavori si era convenuto su un’introduzione del presidente Scopelliti contenuta nei tempi per consentire un dibattito ampio, poi l’introduzione è durata molto di più. Il dibattito è iniziato con l’intervento di Loiero, quindi con quello di Mirabelli, che però ha parlato in un’aula che si svuota-
va e in mezzo a un chiacchiericcio fastidioso. Noi come opposizione siamo pronti a contribuire con
proposte e progetti, ma vorrei capire come si può assolvere a questo compito se non si può nemmeno parlare».
È stato questo il caso?
«Indubbiamente. Non si può ridurre il ruolo del Consiglio a puro sfogatoio. Quello che è accaduto venerdì è purtroppo una consuetudine da parte del presidente Scopelliti e del centrodestra. Un dibattito in Consiglio è un confronto di idee e di temi, ma come si può fare un dibattito se nessuno ascolta? Da parte della maggioranza c’è stata un’evidente mancanza di rispetto istituzionale. E poi un’altra considerazione me la deve concedere».
Prego...
«Ho notato in questi giorni che il neopresidente del Consiglio Monti, sia al Senato che alla Camera, non si è mosso un attimo dal suo posto seguendo tutti gli interventi. Un garbo istituzionale straordinario. Da noi invece Scopelliti lascia l’aula...».
Insomma, un’occasione sprecata, visto che si parlava del tema dei temi, la sanità?
«Secondo lei, se fossimo rimasti in aula a parlare alle sedie cosa sarebbe cambiato? Sarebbe finita
che sarebbe stato approvato un documento della maggioranza che avrebbe detto che Scopelliti è perfetto e che ha risolto tutti i problemi della sanità. È serietà questa?».
Il presidente Scopelliti e la maggioranza tuttavia sostengono che la vostra decisione di lasciare l’aula è nata in realtà dal fatto che non avevate argomenti per replicare, visti numeri citati dallo stesso governatore sulla sanità...
«Scopelliti può dire quello che vuole, ma la verità è che venerdì c’è stata una grave mancanza di rispetto. Nel merito, poi, mi sembra che la sanità stia affogando in un mare di problemi, a Cosenza è allo sbando e lo stesso avviene negli altri territori. Questi sono i fatti, altro che numeri e cifre... E poi oggi la sanità è gestita a colpi di decreti, senza alcun dialogo con nessuno. Poiché questa è la cultura che Scopelliti e il centrodestra prediligono a scapito del dialogo, a questa cultura non ci vogliamo stare. Noi vogliamo parlare dei tanti problemi che assillano i calabresi – e che questa Giunta sta aggravando – e di proposte concrete».
Un’ultima, quasi doverosa domanda: il Pd in Calabria. Siete in attesa di Roma, attesa però finora delusa...
«Come gruppo alla Regione abbiamo trovato una forte unità e stiamo conducendo iniziative in tutti i territori e battaglie in Consiglio, battaglie spesso solitarie. È chiaro che tutto questo lavoro di opposizione diverrebbe ancora più incisivo se si inserisse in un contesto politico in cui c’è un partito che fa la sua parte primaria. Il Pd nazionale in questi giorni convulsi si è concentrato sulla crisi di governo dimostrando grande sensibilità e capacità: ora speriamo che in tempi brevi si occupi della Calabria».
Benritrovati
Mi sono trasferito qui dalla precedente piattaforma blog http://johnny7.over-blog.net/
Vi do a tutti il benvenuto in questo nuovo blog
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