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La superficialità e la sciatteria in materia economica, per assecondare gli interessi forti di questo e quello, sono all’ordine del giorno. Per anni si discute, per ordine del cavalier Berlusconi, dei presunti effetti nefasti dell’euro sull’economia italiana, visto che la moneta europea avrebbe consentito le peggiori speculazioni sui prezzi a causa dei mancati controlli del governo. Tutta colpa di Romano Prodi che nel 1998, da presidente del Consiglio, portò l’Italia nel sistema della moneta europea. Pochi ricordano che quell’operazione ebbe un altro artefice: Carlo Azeglio Ciampi. E che il passaggio dalla lira all’euro avvenne il primo gennaio 2002, in pieno governo Berlusconi. Dunque, se c’era bisogno di controlli, chi non li dispose è lui. Il fatto è che lui, all’epoca, sulla moneta unica la pensava diversamente: era un grande tifoso dell’euro e diceva che «con l’euro ci sono le premesse di una nuova stabilità.
Diamo il benvenuto alla nuova moneta, è un’idea straordinaria che è diventata realtà. Con l’euro è stato bandito il peccato monetario» (26 novembre 2001).
Persino Umberto Bossi, in quei mesi, magnificava l'euro, improvvisandosi economista e ricordando a Pontida che, «se la lira non fosse entrata nell'euro, non sarebbero fallite soltanto le grandi imprese italiane, ma anche le piccole imprese, perché il costo del denaro e l'inflazione sarebbero saliti alle stelle» (16 giugno 2001).
Strano che nessun giornalista e/o economista di centrodestra l'abbia mai fatto notare: «euristi» finché lo erano Berlusconi e Bossi, sono diventati tutti «antieuristi» quando i padroni hanno voltato gabbana. Così oggi, se si chiedesse agli italiani sotto quale governo l'Italia entrò nell'euro, quasi tutti risponderebbero: sotto il governo Prodi. Invece, l'abbiamo visto, fu sotto il governo Berlusconi.
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