Di Carlotta Vissani su il fatto quotidiano del 16/12/2011
FARE UNA COSA o non farla in questa trasmissione ha un senso.
Sai quello che devi dire e che si aspettano che dici.
Non c’è amore se non è inquadrato l’amore».
Si può sempre spegnere la TV, consiglia una delle voci nate dalla penna di Emanuele Kraushaar.
«Certo», giunge pronta la risposta, «è un modo come un altro per suicidarsi».
Conta solo ciò che accade dentro la scatola nera.
Se decidi di presentarti alla Redazione di Uomini e Donne a Cinecittà bada bene di non aver nulla di sensato da dire ché l’autenticità emotiva e la cultura sono un ostacolo.
È tutto teatro di serie zeta, rappresentazione fasulla.
A Uomini e Donne si va per diventare qualcuno, per rimorchiare, per fare le esterne con i tronisti, per essere riconosciuti in strada.
Alla corte del vuoto cosmico accorrono anche quelli a cui non interessa essere la scelta finale perché è meglio esser trattate male «così poi mi eliminano ma se piaccio al pubblico dello studio, di casa e a quello internet, Maria mi sceglie per fare la tronista.
Poi se ho successo sui giornali riesco forse ad agganciare un calciatore o il figlio di qualcuno che lavora in tv».
D’altronde nulla dies sine Maria, presenza angelica che nel nome racchiude profumo di miracolo.
Seduta sui gradini, impenetrabile, in mezzo a fedeli opinionisti pagati per scannarsi, osserva, ascolta, ammicca ma non interviene per sedare le diatribe, non esprime opinioni.
Quando capita suona come verbo sacro.
Il successo – effimero, triste e disperato – passa dai suoi capelli biondi e attraverso la erre moscia.
Quanti se la ricordano nel ’92, timida e inesperta, condurre le prime puntate di Amici al posto di Lella Costa?
Nessuno immaginava, forse solo Costanzo, che sarebbe stata lei a rivoluzionare il significato dello stare dentro
la TV con tutto il corpo e nessun messaggio se non l’idea che scendere da quelle scale con una rosa in mano, o attendere appollaiata sul trono come un’ape regina, equivalga a poter ingrassare il portafoglio grazie alla stupidità.
Anche vent’anni fa era riservata e mai ingombrante, la parola lasciata a terzi, ma erano ragazzi in jeans e scarpe da tennis che avevano voglia di confrontarsi su famiglia, amore, amicizia, paure e speranze.
Oggi l’eldorado di molti è un passaggio su Mediaset fatto di tacchi e labbra a canotto, pelle cotta dalle lampade e camicia aperta sul petto depilato.
Il romano trentenne Kraushaar, terzo tassello della collana Iconoclasti curata da Giulia Belloni, confeziona 110 frammenti brevi – dialoghi, pensieri, resoconti fulminanti – sul mostro mediatico che ha cambiato il modus
pensandi di milioni di persone.
Gente che ha presto capito che una manciata di minuti sullo schermo può fruttare più di una vita di sani principi e sacrifici e che un cervello spento, essendo innocuo, può voler dire soldo facile.
Emanuele Kraushaar, Maria De Filippi, Alet, pagg. 140, € 10,00
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