- Principe Mai detta quella frase su Occhiuto
Con riferimento all'articolo "Rende Approva il parco acquatico" apparso sull'edizione di ieri, venerdì 30 marzo 2012, di Calabria ora, si precisa quanto segue:nel corso della seduta del consiglio comunale di Rende di giovedì 29 marzo, l'onorevole Sandro Principe ha affermato che mentre Rende ha sempre concentrato i finanziamenti europei per la realizzazione di un'unica grande opera, Cosenza li ha divisi per la costruzione di più opere, tra cui Piazza Bilotti. La frase del virgolettato "Con questi soldi noi facciamo un’opera utile per l’intera area urbana mentre lui si vede solo gli affari suoi investendo tutto sul progetto di Piazza Bilotti", riportata nel suddetto articolo, pertanto, non è mai stata pronunciata da Principe e, quindi, è frutto di fantasiose forzature tendenti ad alimentare polemiche.
L'ufficio stampa di Sandro Principe
- Io nato in riva allo Stretto? Ma se sono un salentino purosangue
Pregiatissima redazione, invio questa email in merito ad articolo giornalistico a firma del bravo Luigi Guido ed apparso nell'edizione di giovedì 29 marzo alla pagina 15 dal titolo "I campanili? Lasciateli al calcio" dove, in un passaggio l'estensore dell'articolo cita testualmente "funge un po’ anche da “arbitro terzo” grazie ai suoi natali in riva allo Stretto". Va bene come arbitro terzo, essendo stato anche arbitro di calcio per circa 40 anni, ma tengo a precisare che le mie origini sono pugliesi, precisamente leccesi, essendo nato a Gallipoli, ed avendo vissuto fino agli inizi degli studi universitari a Casarano.
sabato 31 marzo 2012
Doppia precisazione su Calabria Ora
Su Calabria ora del 31/03/2012 in merito a 2 articoli arriva una doppia precisazione che pubblico per amor di verità:
venerdì 30 marzo 2012
Rende approva il Parco acquatico
Discusso ieri in aula il progetto. E la guerra con Cosenza continua
Di Luigi Guido su Calabria ora del 30/03/2012
La seduta consiliare di ieri si è ridotta ad un unico punto all’ordine del giorno, da undici che erano: il progetto preliminare del parco acquatico.
Stiamo parlando di Rende.
La discussione è stata molto animata e ha dato agli esponenti della maggioranza d’Oltrecampagnano una nuova occasione per punzecchiare la città di Cosenza sull’argomento “area urbana”.
Con Sandro Principe in prima linea, naturalmente.
Precisazione apparsa su Calabria ora del 31/03/2012:
Principe Mai detta quella frase su Occhiuto
Con riferimento all'articolo "Rende Approva il parco acquatico" apparso sull'edizione di ieri, venerdì 30 marzo 2012, di Calabria ora, si precisa quanto segue:nel corso della seduta del consiglio comunale di Rende di giovedì 29 marzo, l'onorevole Sandro Principe ha affermato che mentre Rende ha sempre concentrato i finanziamenti europei per la realizzazione di un'unica grande opera, Cosenza li ha divisi per la costruzione di più opere, tra cui Piazza Bilotti. La frase del virgolettato "Con questi soldi noi facciamo un’opera utile per l’intera area urbana mentre lui si vede solo gli affari suoi investendo tutto sul progetto di Piazza Bilotti", riportata nel suddetto articolo, pertanto, non è mai stata pronunciata da Principe e, quindi, è frutto di fantasiose forzature tendenti ad alimentare polemiche.
L'ufficio stampa di Sandro Principe
In merito all'articolo a commento del consiglio comunale di Rende del 29 marzo ( "Rende approva il parco acquatico"), l'ufficio stampa del comune precisa che viene attribuita una frase al Sindaco che non ha mai pronunciato sia nelle parole che nei contenuti. E, peraltro, l'intero testo appare assai lontano sia dalla realtà, sia dalle possibili "sensazioni" giornalistiche. Al sindaco viene attribuita la frase "Le cose che sto leggendo sui giornali mi sta facendo vergognare di essere cosentino", si precisa che il sindaco non ha esordito con questa frase ma si era detto solo "mortificato" da cosentino, per aver letto sulla stampa locale alcune dichiarazioni di rappresentanti della città di Cosenza che definivano Rende una periferia della città capoluogo.
Ufficio stampa Comune di Rende
Di Luigi Guido su Calabria ora del 30/03/2012
La seduta consiliare di ieri si è ridotta ad un unico punto all’ordine del giorno, da undici che erano: il progetto preliminare del parco acquatico.
Stiamo parlando di Rende.
La discussione è stata molto animata e ha dato agli esponenti della maggioranza d’Oltrecampagnano una nuova occasione per punzecchiare la città di Cosenza sull’argomento “area urbana”.
Con Sandro Principe in prima linea, naturalmente.
Che schernisce il sindaco Mario Occhiuto sull’utilizzo dei fondi europei: «Con questi soldi noi facciamo un’opera utile per l’intera area urbana mentre lui si vede solo gli affari suoi investendo tutto sul progetto di Piazza Bilotti».
Una polemica, dunque, che continua a montare sino a rasentare l’astio vero e proprio, pari a quello manifestato, per esempio, dallo stesso primo cittadino di Rende, Vittorio Cavalcanti: «Le cose che sto
leggendo sui giornali - ha esordito in aula - mi sta facendo vergognare di essere cosentino».
Stizza campanilistica a parte, il consiglio comunale di ieri è stato in realtà ricco di attestati di soddisfazione
per l’opera che ci si appresta a realizzare.
Il progetto preliminare è stato infatti approvato a maggioranza, dopo essere stato ampiamente e dettagliatamente illustrato dai tecnici progettisti dello Studio Capolei di Roma.
Solo due i voti contrari (Bartucci e Volpentesta del Pdl) e l’astensione di Pino Munno (Lista Scopelliti Presidente) il quale ha profetizzato che «così riempiremo la città di zanzare».
Mentre i consiglieri Castiglione e Pupo hanno abbandonato l’aula, stranamente seguiti dal consigliere del Pd
De Rango.
Il lago artificale costerà circa 14 milioni di euro.
Si estenderà per sette ettari all’interno di un’area costeggiata dalla strada statale 107, in località Santa Chiara e prevede lo sviluppo di tutta la zona.
«Un’opera strategica, al servizio dell’area urbana- ha detto Sandro Principe nel suo intervento - che ha
una forte valenza sociale perché consentirà anche a chi non ha la possibilità economica di andare in vacanza,
di usufruire di luoghi di svago e di divertimento; una valenza sociale oggi ancora più significativa per via dalla
congiuntura economica negativa che stiamo vivendo».
Un attacco a testa bassa contro il progetto è arrivato dai banchi dell’opposizione con Bartucci in testa che
“interroga” l’aula sull’opportunità di spendere tanti soldi quando «per ripianare i debiti dobbiamo disfarci degli edifici dell’ex Crai».
Di natura meno “politica” è stato invece l’intervento del consigliere Spartaco Pupo, il quale ha anzitutto rilevato come l’opera stravolgerebbe il microclima dell’area, rendendo difficile se non addiritura «dannosa» l’esistenza stessa delle persone che andranno ad abitare nel parco.
Pupo eccepisce soprattutto l’assenza di una valutazione d’impatto ambientale: «Sette ettari di lago - diceva Pupo - non sono alberi. È acqua. Non si può chiamarlo “parco”. «È scientificamente provato - sostiene il consigliere del Gruppo Misto - che dal punto di vista climatico i laghi artificiali producono una gran quantità di metano, derivante dalla decomposizione subacquea delle sostanze organiche, liberando gas serra nell’ambiente circostante. Su questo mi sono documentato bene. Inoltre - prosegue Pupo - di solito intorno non vi sono case intorno a bacini simili a causa della invivibilità dei luoghi, mentre il progetto prevede la realizzazione di un intero complesso edilizio».
Il battagliero Pupo solleva pure un dubbio: «È strano che prima si costruiscono le opere pubbliche e poi si facciano i quartieri...».
Nulla di tutto ciò per il sindaco Cavalcanti, secondo cui il progetto «coglie appieno le logiche della programmazione europea».
Una polemica, dunque, che continua a montare sino a rasentare l’astio vero e proprio, pari a quello manifestato, per esempio, dallo stesso primo cittadino di Rende, Vittorio Cavalcanti: «Le cose che sto
leggendo sui giornali - ha esordito in aula - mi sta facendo vergognare di essere cosentino».
Stizza campanilistica a parte, il consiglio comunale di ieri è stato in realtà ricco di attestati di soddisfazione
per l’opera che ci si appresta a realizzare.
Il progetto preliminare è stato infatti approvato a maggioranza, dopo essere stato ampiamente e dettagliatamente illustrato dai tecnici progettisti dello Studio Capolei di Roma.
Solo due i voti contrari (Bartucci e Volpentesta del Pdl) e l’astensione di Pino Munno (Lista Scopelliti Presidente) il quale ha profetizzato che «così riempiremo la città di zanzare».
Mentre i consiglieri Castiglione e Pupo hanno abbandonato l’aula, stranamente seguiti dal consigliere del Pd
De Rango.
Il lago artificale costerà circa 14 milioni di euro.
Si estenderà per sette ettari all’interno di un’area costeggiata dalla strada statale 107, in località Santa Chiara e prevede lo sviluppo di tutta la zona.
«Un’opera strategica, al servizio dell’area urbana- ha detto Sandro Principe nel suo intervento - che ha
una forte valenza sociale perché consentirà anche a chi non ha la possibilità economica di andare in vacanza,
di usufruire di luoghi di svago e di divertimento; una valenza sociale oggi ancora più significativa per via dalla
congiuntura economica negativa che stiamo vivendo».
Un attacco a testa bassa contro il progetto è arrivato dai banchi dell’opposizione con Bartucci in testa che
“interroga” l’aula sull’opportunità di spendere tanti soldi quando «per ripianare i debiti dobbiamo disfarci degli edifici dell’ex Crai».
Di natura meno “politica” è stato invece l’intervento del consigliere Spartaco Pupo, il quale ha anzitutto rilevato come l’opera stravolgerebbe il microclima dell’area, rendendo difficile se non addiritura «dannosa» l’esistenza stessa delle persone che andranno ad abitare nel parco.
Pupo eccepisce soprattutto l’assenza di una valutazione d’impatto ambientale: «Sette ettari di lago - diceva Pupo - non sono alberi. È acqua. Non si può chiamarlo “parco”. «È scientificamente provato - sostiene il consigliere del Gruppo Misto - che dal punto di vista climatico i laghi artificiali producono una gran quantità di metano, derivante dalla decomposizione subacquea delle sostanze organiche, liberando gas serra nell’ambiente circostante. Su questo mi sono documentato bene. Inoltre - prosegue Pupo - di solito intorno non vi sono case intorno a bacini simili a causa della invivibilità dei luoghi, mentre il progetto prevede la realizzazione di un intero complesso edilizio».
Il battagliero Pupo solleva pure un dubbio: «È strano che prima si costruiscono le opere pubbliche e poi si facciano i quartieri...».
Nulla di tutto ciò per il sindaco Cavalcanti, secondo cui il progetto «coglie appieno le logiche della programmazione europea».
Luigi Guido
A seguire il link del filmato di repertorio della presentazione del progetto del lago di Santa Chiara e del rifacimento di piazza Bilotti illustrati durante una conferenza nel comune di Cosenza
Aggiornamento 31/03/2012
Precisazione apparsa su Calabria ora del 31/03/2012:Principe Mai detta quella frase su Occhiuto
Con riferimento all'articolo "Rende Approva il parco acquatico" apparso sull'edizione di ieri, venerdì 30 marzo 2012, di Calabria ora, si precisa quanto segue:nel corso della seduta del consiglio comunale di Rende di giovedì 29 marzo, l'onorevole Sandro Principe ha affermato che mentre Rende ha sempre concentrato i finanziamenti europei per la realizzazione di un'unica grande opera, Cosenza li ha divisi per la costruzione di più opere, tra cui Piazza Bilotti. La frase del virgolettato "Con questi soldi noi facciamo un’opera utile per l’intera area urbana mentre lui si vede solo gli affari suoi investendo tutto sul progetto di Piazza Bilotti", riportata nel suddetto articolo, pertanto, non è mai stata pronunciata da Principe e, quindi, è frutto di fantasiose forzature tendenti ad alimentare polemiche.
L'ufficio stampa di Sandro Principe
Aggiornamento 01/04/2012
«Quelle parole non le ho mai dette»In merito all'articolo a commento del consiglio comunale di Rende del 29 marzo ( "Rende approva il parco acquatico"), l'ufficio stampa del comune precisa che viene attribuita una frase al Sindaco che non ha mai pronunciato sia nelle parole che nei contenuti. E, peraltro, l'intero testo appare assai lontano sia dalla realtà, sia dalle possibili "sensazioni" giornalistiche. Al sindaco viene attribuita la frase "Le cose che sto leggendo sui giornali mi sta facendo vergognare di essere cosentino", si precisa che il sindaco non ha esordito con questa frase ma si era detto solo "mortificato" da cosentino, per aver letto sulla stampa locale alcune dichiarazioni di rappresentanti della città di Cosenza che definivano Rende una periferia della città capoluogo.
Ufficio stampa Comune di Rende
Padre nostro che sei nei Monti
La messa di pasqua nell'immagine tratta dal fatto quotidiano del 30/03/2012 a cura di fd'e con foto di Zip a cui hanno partecipato molti esponenti del Pdl, del terzo polo e qualcuno del Pd vicini alle posizioni del terzo polo!
giovedì 29 marzo 2012
Rende, acclamazioni bipartizan per l'area urbana
Acclamazioni bipartizan che mettono tutti d'accordo (o quasi) per l'area urbana CoRe (Cosenza-Rende) così come appare nella dichiarazione di Francesco Mirabelli e nell'articolo di Luigi Guido su Calabria ora del 29/03/2012
Partiamo con Francesco Mirabelli Consigliere comunale PD di Rende:
«Mi sento cittadino di un’unica città...»
Che mi senta cittadino di un’unica città è un dato di fatto.
Certo, sulla mia carta d’identità risulta che sono residente in Rende e che su quel territorio, precisamente in Arcavacata, sono cresciuto.
Tuttavia, è tra Cosenza e Rende che si svolge la mia vita quotidiana.
È tra Cosenza e Rende che prendono forma le mie relazioni sociali, che si sviluppano le mie attività professionali, che vivo il mio tempo libero.
Proprio perché si tratta di un’unica città, anche se con due municipi, due sindaci, due giunte e due consigli comunali.
Il punto è che siamo tutti cittadini di un unico contesto socio-culturale e, per quanto possiamo essere cresciuti in quartieri rendesi o cosentini, cosa che ci porta a nutrire un atavico campanilismo per la zona in cui si è svolta la nostra socializzazione primaria, siamo ben consapevoli di vivere ed usufruire dei servizi che l’unica città di CosenzaRende ci mette a disposizione.
Certo, alcuni distinguo sono evidenti: il comune di Rende si contraddistingue per una gestione dei servizi ai cittadini più efficiente, frutto di anni di politiche accorte (acqua, rifiuti, infrastrutture viarie), così come il fascino e la tradizione storica di Cosenza (l’antica Consentia, simbolo dell’alleanza tra i popoli delle colline, la città senza mura!) rappresentano dote imparagonabile, da custodire e tramandare alle generazioni future.
Per questi e molti altri motivi manifesto pubblicamente il mio dispiacere nel leggere le polemiche che, in questi giorni, stanno caratterizzando il dialogo tra esponenti amministrativi-politici delle due amministrazioni.
Le reputo inutili e fini a se stesse.
Puramente autoreferenziali, che nulla apportano al bene comune e al progresso sociale.
Affermazioni come “a Cosenza si fanno solo effetti speciali” o “Rende non è altro che la periferia di Cosenza” cosa producono, sostanzialmente, in termini di benessere civile?
Quanto pensate che interessi al comune cittadino la polemica tra il consigliere Tizio di Rende e quello Caio di
Cosenza?
Quanto credete che faccia bene alla nostra unica città il pungersi attraverso parole di vento?
Siamo ancora a un livello in cui conta quello che si dice invece che quello che si produce per la comunità?
A trent’anni non è questa la politica che ho in mente e che cerco di riprodurre nelle mie azioni e relazioni quotidiane.
Non posso e non voglio credere che si faccia il bene di un territorio con lo scopo di mettere in cattiva luce quello di fianco.
Non posso e non voglio credere che si promuova un’attività, un viale, un evento con l’unico scopo di mettersi in mostra nei confronti dei vicini e anticiparli nella programmazione.
No, non può funzionare così.
Le attività e le possibilità che offre il territorio della città di Cosenza si rivolgono anche a tutti i cittadini rendesi. E viceversa.
Perché è questa l’idea di amministrazione del territorio che mi hanno trasmesso all’Università della Calabria durante i miei studi e che ho sperimentato nei miei otto anni di attività politica.
Il rapporto tra le due amministrazioni deve essere improntato alla collaborazione: franca, aperta, condivisa. Attraverso un dialogo costruttivo che tenga presente il bene dei cittadini, a prescindere dalla loro residenza sulla carta d’identità.
Siamo tutti figli del Campagnano.
Apparteniamo tutti a un’unica città.
Passiamo all'altro articolo a cura di Luigi Guido dove parla Mario Rausa esponente in quota Pdl al consiglio comunale di Rende:
«I campanili? Lasciateli al calcio»
Rausa, consigliere rendese del Pdl: «Ma il capoluogo merita rispetto»
L’area urbana è un’idea che seduce molto chi vive fuori dalla cinta cittadina di Cosenza, piuttosto che i “cosentini” in senso stretto.
Gli abitanti del capoluogo e le loro stesse rappresentanze politiche a Palazzo dei Bruzi hanno invece l’atteggiamento vegliardo di chi occupa una posizione dominante che non si vuol in alcun modo perdere e, del resto, non s’intravede una ragione che giustifichi tale perdita.
Non a caso quando si è di fronte all’ipotesi di una conurbazione, sembra che il vessillo dei “sette colli” tenda quasi naturalmente ad affermarsi e rafforzarsi.
Scatenando una sorta di “nausea aristocratica” tutta di neo-matrice rendese.
D’altro canto si dicono tutti d’accordo sulla necessità di risolvere insieme «i problemi».
Se poi alla diatriba tra campanili si aggiungono le “faide” partitiche, molto più frequenti all’interno di uno stesso schieramento anziché tra due fazioni politiche opposte, le possibilità di una relazione costruttiva tra i Municipi dell’area urbana diventa impossibile e «i problemi» in comune irrisolvibili.
Sarà solo una questione di “panni sporchi” vecchi e nuovi che ciascuno vuol tenere per sé?
Può darsi.
È colpa della crisi della politica?
Sicuramente anche.
È il vuoto di potere lasciato da calibri come Giacomo Mancini?
Magari pure, della serie «’a gatta un c’è e i surici abballanu».
Certo è che i motivi di un declassamento dell’orbe bruzia, per quanto oggettivi o tangibili fossero, non autorizzano nessuno a tentare di surclassare, sia pure ideologicamente, l’antico capoluogo.
Esattamente così vede tale questione un consigliere comunale di Rende che, però, funge un po’ anche da “arbitro terzo” grazie ai suoi natali in riva allo Stretto: «Credo che il capoluogo è sempre il capoluogo, per storia, tradizione e motivi politici», sostiene Mario Rausa, originario di Reggio Calabria appunto.
«Cosenza - aggiunge il consigliere del Pdl rendese - va rispettata come capoluogo della provincia più estesa d'Italia».
Tuttavia Rausa non può negare che Rende, negli ultimi anni, abbia fatto «passi da gigante» nel fare di una valle «una zona moderna ed efficiente».
Senza contare l’Unical né la zona industriale.
Il consigliere scopellitiano a Rende spezza pure una lancia a favore dell’agonismo da campanile che «è bello sì ma limitatamente a una partita di calcio».
Sul resto, al contrario occorrerebbe «una grande collaborazione» sui problemi del trasporto, dell’ambiente, dei rifiuti, dell’acqua.
La strada maestra è una e «le due città (Cosenza e Rende, ndr) e aggiungo Montalto e Castrolibero», devono percorrerla insieme.
«Si mettessero a tavolino - ammonisce Rausa - per parlare di questi problemi senza che nessuno fagociti l’altro ma in grande sinergia sui grandi temi... poi è chiaro che ognuno ha il diritto di rivendicare le proprie appartenenze».
E non sfugge a nessuno che Cosenza sia «decaduta dopo i fasti dell’Era Mancini».
Va da sé che dopo secoli di storia “rossa”, ora sia il centro-destra a nutrire l’ambizione di dare a Cosenza, con l’insediamento di Mario Occhiuto, l’ormai insperato «salto in avanti» e restituire alla città «i fasti di un tempo».
Speranze legittime, sulla bilancia del tempo.
Io nato in riva allo Stretto? Ma se sono un salentino purosangue
Pregiatissima redazione, invio questa email in merito ad articolo giornalistico a firma del bravo Luigi Guido ed apparso nell'edizione di giovedì 29 marzo alla pagina 15 dal titolo "I campanili? Lasciateli al calcio" dove, in un passaggio l'estensore dell'articolo cita testualmente "funge un po’ anche da “arbitro terzo” grazie ai suoi natali in riva allo Stretto". Va bene come arbitro terzo, essendo stato anche arbitro di calcio per circa 40 anni, ma tengo a precisare che le mie origini sono pugliesi, precisamente leccesi, essendo nato a Gallipoli, ed avendo vissuto fino agli inizi degli studi universitari a Casarano.
Partiamo con Francesco Mirabelli Consigliere comunale PD di Rende:
«Mi sento cittadino di un’unica città...»
Che mi senta cittadino di un’unica città è un dato di fatto.
Certo, sulla mia carta d’identità risulta che sono residente in Rende e che su quel territorio, precisamente in Arcavacata, sono cresciuto.
Tuttavia, è tra Cosenza e Rende che si svolge la mia vita quotidiana.
È tra Cosenza e Rende che prendono forma le mie relazioni sociali, che si sviluppano le mie attività professionali, che vivo il mio tempo libero.
Proprio perché si tratta di un’unica città, anche se con due municipi, due sindaci, due giunte e due consigli comunali.
Il punto è che siamo tutti cittadini di un unico contesto socio-culturale e, per quanto possiamo essere cresciuti in quartieri rendesi o cosentini, cosa che ci porta a nutrire un atavico campanilismo per la zona in cui si è svolta la nostra socializzazione primaria, siamo ben consapevoli di vivere ed usufruire dei servizi che l’unica città di CosenzaRende ci mette a disposizione.
Certo, alcuni distinguo sono evidenti: il comune di Rende si contraddistingue per una gestione dei servizi ai cittadini più efficiente, frutto di anni di politiche accorte (acqua, rifiuti, infrastrutture viarie), così come il fascino e la tradizione storica di Cosenza (l’antica Consentia, simbolo dell’alleanza tra i popoli delle colline, la città senza mura!) rappresentano dote imparagonabile, da custodire e tramandare alle generazioni future.
Per questi e molti altri motivi manifesto pubblicamente il mio dispiacere nel leggere le polemiche che, in questi giorni, stanno caratterizzando il dialogo tra esponenti amministrativi-politici delle due amministrazioni.
Le reputo inutili e fini a se stesse.
Puramente autoreferenziali, che nulla apportano al bene comune e al progresso sociale.
Affermazioni come “a Cosenza si fanno solo effetti speciali” o “Rende non è altro che la periferia di Cosenza” cosa producono, sostanzialmente, in termini di benessere civile?
Quanto pensate che interessi al comune cittadino la polemica tra il consigliere Tizio di Rende e quello Caio di
Cosenza?
Quanto credete che faccia bene alla nostra unica città il pungersi attraverso parole di vento?
Siamo ancora a un livello in cui conta quello che si dice invece che quello che si produce per la comunità?
A trent’anni non è questa la politica che ho in mente e che cerco di riprodurre nelle mie azioni e relazioni quotidiane.
Non posso e non voglio credere che si faccia il bene di un territorio con lo scopo di mettere in cattiva luce quello di fianco.
Non posso e non voglio credere che si promuova un’attività, un viale, un evento con l’unico scopo di mettersi in mostra nei confronti dei vicini e anticiparli nella programmazione.
No, non può funzionare così.
Le attività e le possibilità che offre il territorio della città di Cosenza si rivolgono anche a tutti i cittadini rendesi. E viceversa.
Perché è questa l’idea di amministrazione del territorio che mi hanno trasmesso all’Università della Calabria durante i miei studi e che ho sperimentato nei miei otto anni di attività politica.
Il rapporto tra le due amministrazioni deve essere improntato alla collaborazione: franca, aperta, condivisa. Attraverso un dialogo costruttivo che tenga presente il bene dei cittadini, a prescindere dalla loro residenza sulla carta d’identità.
Siamo tutti figli del Campagnano.
Apparteniamo tutti a un’unica città.
Passiamo all'altro articolo a cura di Luigi Guido dove parla Mario Rausa esponente in quota Pdl al consiglio comunale di Rende:
«I campanili? Lasciateli al calcio»
Rausa, consigliere rendese del Pdl: «Ma il capoluogo merita rispetto»
L’area urbana è un’idea che seduce molto chi vive fuori dalla cinta cittadina di Cosenza, piuttosto che i “cosentini” in senso stretto.
Gli abitanti del capoluogo e le loro stesse rappresentanze politiche a Palazzo dei Bruzi hanno invece l’atteggiamento vegliardo di chi occupa una posizione dominante che non si vuol in alcun modo perdere e, del resto, non s’intravede una ragione che giustifichi tale perdita.
Non a caso quando si è di fronte all’ipotesi di una conurbazione, sembra che il vessillo dei “sette colli” tenda quasi naturalmente ad affermarsi e rafforzarsi.
Scatenando una sorta di “nausea aristocratica” tutta di neo-matrice rendese.
D’altro canto si dicono tutti d’accordo sulla necessità di risolvere insieme «i problemi».
Se poi alla diatriba tra campanili si aggiungono le “faide” partitiche, molto più frequenti all’interno di uno stesso schieramento anziché tra due fazioni politiche opposte, le possibilità di una relazione costruttiva tra i Municipi dell’area urbana diventa impossibile e «i problemi» in comune irrisolvibili.
Sarà solo una questione di “panni sporchi” vecchi e nuovi che ciascuno vuol tenere per sé?
Può darsi.
È colpa della crisi della politica?
Sicuramente anche.
È il vuoto di potere lasciato da calibri come Giacomo Mancini?
Magari pure, della serie «’a gatta un c’è e i surici abballanu».
Certo è che i motivi di un declassamento dell’orbe bruzia, per quanto oggettivi o tangibili fossero, non autorizzano nessuno a tentare di surclassare, sia pure ideologicamente, l’antico capoluogo.
Esattamente così vede tale questione un consigliere comunale di Rende che, però, funge un po’ anche da “arbitro terzo” grazie ai suoi natali in riva allo Stretto: «Credo che il capoluogo è sempre il capoluogo, per storia, tradizione e motivi politici», sostiene Mario Rausa, originario di Reggio Calabria appunto.
«Cosenza - aggiunge il consigliere del Pdl rendese - va rispettata come capoluogo della provincia più estesa d'Italia».
Tuttavia Rausa non può negare che Rende, negli ultimi anni, abbia fatto «passi da gigante» nel fare di una valle «una zona moderna ed efficiente».
Senza contare l’Unical né la zona industriale.
Il consigliere scopellitiano a Rende spezza pure una lancia a favore dell’agonismo da campanile che «è bello sì ma limitatamente a una partita di calcio».
Sul resto, al contrario occorrerebbe «una grande collaborazione» sui problemi del trasporto, dell’ambiente, dei rifiuti, dell’acqua.
La strada maestra è una e «le due città (Cosenza e Rende, ndr) e aggiungo Montalto e Castrolibero», devono percorrerla insieme.
«Si mettessero a tavolino - ammonisce Rausa - per parlare di questi problemi senza che nessuno fagociti l’altro ma in grande sinergia sui grandi temi... poi è chiaro che ognuno ha il diritto di rivendicare le proprie appartenenze».
E non sfugge a nessuno che Cosenza sia «decaduta dopo i fasti dell’Era Mancini».
Va da sé che dopo secoli di storia “rossa”, ora sia il centro-destra a nutrire l’ambizione di dare a Cosenza, con l’insediamento di Mario Occhiuto, l’ormai insperato «salto in avanti» e restituire alla città «i fasti di un tempo».
Speranze legittime, sulla bilancia del tempo.
Aggiornamento 31/03/2012
Precisazione apparsa su Calabria ora del 31/03/2012:Io nato in riva allo Stretto? Ma se sono un salentino purosangue
Pregiatissima redazione, invio questa email in merito ad articolo giornalistico a firma del bravo Luigi Guido ed apparso nell'edizione di giovedì 29 marzo alla pagina 15 dal titolo "I campanili? Lasciateli al calcio" dove, in un passaggio l'estensore dell'articolo cita testualmente "funge un po’ anche da “arbitro terzo” grazie ai suoi natali in riva allo Stretto". Va bene come arbitro terzo, essendo stato anche arbitro di calcio per circa 40 anni, ma tengo a precisare che le mie origini sono pugliesi, precisamente leccesi, essendo nato a Gallipoli, ed avendo vissuto fino agli inizi degli studi universitari a Casarano.
Rende: viaggio nel cuore di un sogno compiuto - il video
Parte 1 e 2 del convegno tramesso da telitalia dal titolo "Rende: viaggio nel cuore di un sogno compiuto, storia di una periferia diventata città...baricentrica" che si è svolto al villa Fabiano Palace Hotel dove sono intervenuti l'on. Sandro Principe capogruppo Pd alla regione Calabria, il sindaco di Rende Vittorio Cavalcati, il Geologo Carlo Tansi e il prof Franco Rossi ordinario di urbanistica e direttore dipartimento territoriale dell'Unical.
Toccatemi tutto, tranne il baffetto
Scrive Federico Mello sul fatto quotidiano del 29/03/2012 con un artico dal titolo A chi hai detto “dalemasessuale”? riprendendo un post satirico sul sito dell'avanti dal titolo Noi Giuovani Democratici e Dalemasessuali:
É uno psicodramma online quello che hainvestito i Giovani Democratici, la giovanile del Pd.
Un articolo in punta di penna li fa a fettine (“Abbiamo vent’anni, ma ne dimostriamo cinquantasei”) e porta migliaia di clic inaspettati al sito de L’Avanti!–testata online che sta cercando di darsi nuovo smalto dopo essere stata scambiata per il foglio truffaldino di Lavitola.
I giovani Pd però non ci stanno, si arrabbiano, e dalle loro tastiere si scagliano contro l’autrice dell’articolo sfoggiando il solito repertorio destro-maschilista (“escort”; “psicopatica”).
Ma ecco che scendono in campo altri navigatori a difesa della libertà di satira, i clic si impennano, i
“condividi su Facebook” superano in scioltezza la soglia delle migliaia, e il caso è servito.
La polemica nasce su avantionline.it, sito che ci tiene a precisare: “Niente c’entriamo con l’imbroglio messo in piedi dall’esule volontario e dal fuggiasco Lavitola” il quale “con ingegno criminale mise in piedi un’operazione per accedere ai finanziamenti per l’editoria registrando una testata di egual nome alla nostra storica”.
L’autrice del pezzo è invece la brillante Martina Alice de Carli, 32enne solitamente dedica agli articoli di moda e per una volta al servizio della satira politica – dopo il can can sollevato dal suo post, peraltro, si è trincerata dietro un forse eccessivo “no comment”.
IL SUO ARTICOLO si intitola “Noi Giuovani Democratici e Dalemasessuali” ed è una divertente fenomenologia del “giovane democratico”. “Noi siamo giuovani democratici – la voce narrante che prende a prestito la prima persona plurale –, e liberalizziamo pensieri al plurale maiestatico. Lanciamo una fatwa contro Luca Telese ché su Twitter attacca il nostro Segretario. Se tocchi Bersani ti facciamo male. Se tocchi D’Alema ti muore la mamma. D’Alema è il più lucido pensatore del panorama politico italiano, e ha sempre ragione. Walter Veltroni non esiste”.
Ce n’è per tutti: “Il nostro pilastro luddista, Stefano Fassina, è un eroe: sopravvissuto all’ostico ambiente bocconiano. Matteo Renzi è uno yuppie. Noi preferiamo la Cina agli Stati Uniti”.
Non manca naturalmente il finto politichese: “Le primarie si devono svolgere solo sulla base di un accordo con le parti sociali. Il pensiero cattolico può aiutare il Partito democratico a sconfiggere le drammatiche piaghe del liberismo, della finanza, e del libero mercato”.“Indossiamo giacche larghe e stropicciate come le nostre occhiaie. Per San Valentino organizzeremo una veglia di lettura (perché chiamarla ‘reading’?) dedicata alla
storia d’amore tra Nilde e Palmiro ”. E ancora, “le nostre amiche e compagne pensano all’articolo 18 non al tacco 12, e hanno deciso di non depilarsi le ascelle per ricordare l’insopportabile selva di contratti precari. Gli
amish sono nuovisti. Pippo Civati è un trasgressivo. Prendere la birra al bar da soli, è bello. Non siamo eterosessuali. Non siamo omosessuali. Siamo dalemasessuali”.
Una satira che ai giovani democratici fa male come sale sulle ferite – non così al segretario appena rieletto, Fausto Raciti, che replica senza astio su Facebok.
IN MOLTI sul social network si scagliano contro l’autrice che è “bionda”, “fa pena”, è “da prendere a schiaffi”in quanto “psicopatica”e“dannata decerebrata”.
Online, naturalmente, altrettanti difendono lo giornalista. Pippo Civati sul suo blog esprime “solidarietà a Martina e a tutti quelli che riescono ancora a non prendersi troppo sul serio”.
Una categoria forse più rara tra alcuni giovani Pd, soprattutto tra quelli “dalle giacche larghe e stropicciate” che sognano una vita alla D’Alema.
É uno psicodramma online quello che hainvestito i Giovani Democratici, la giovanile del Pd.
Un articolo in punta di penna li fa a fettine (“Abbiamo vent’anni, ma ne dimostriamo cinquantasei”) e porta migliaia di clic inaspettati al sito de L’Avanti!–testata online che sta cercando di darsi nuovo smalto dopo essere stata scambiata per il foglio truffaldino di Lavitola.
I giovani Pd però non ci stanno, si arrabbiano, e dalle loro tastiere si scagliano contro l’autrice dell’articolo sfoggiando il solito repertorio destro-maschilista (“escort”; “psicopatica”).
Ma ecco che scendono in campo altri navigatori a difesa della libertà di satira, i clic si impennano, i
“condividi su Facebook” superano in scioltezza la soglia delle migliaia, e il caso è servito.
La polemica nasce su avantionline.it, sito che ci tiene a precisare: “Niente c’entriamo con l’imbroglio messo in piedi dall’esule volontario e dal fuggiasco Lavitola” il quale “con ingegno criminale mise in piedi un’operazione per accedere ai finanziamenti per l’editoria registrando una testata di egual nome alla nostra storica”.
L’autrice del pezzo è invece la brillante Martina Alice de Carli, 32enne solitamente dedica agli articoli di moda e per una volta al servizio della satira politica – dopo il can can sollevato dal suo post, peraltro, si è trincerata dietro un forse eccessivo “no comment”.
IL SUO ARTICOLO si intitola “Noi Giuovani Democratici e Dalemasessuali” ed è una divertente fenomenologia del “giovane democratico”. “Noi siamo giuovani democratici – la voce narrante che prende a prestito la prima persona plurale –, e liberalizziamo pensieri al plurale maiestatico. Lanciamo una fatwa contro Luca Telese ché su Twitter attacca il nostro Segretario. Se tocchi Bersani ti facciamo male. Se tocchi D’Alema ti muore la mamma. D’Alema è il più lucido pensatore del panorama politico italiano, e ha sempre ragione. Walter Veltroni non esiste”.
Ce n’è per tutti: “Il nostro pilastro luddista, Stefano Fassina, è un eroe: sopravvissuto all’ostico ambiente bocconiano. Matteo Renzi è uno yuppie. Noi preferiamo la Cina agli Stati Uniti”.
Non manca naturalmente il finto politichese: “Le primarie si devono svolgere solo sulla base di un accordo con le parti sociali. Il pensiero cattolico può aiutare il Partito democratico a sconfiggere le drammatiche piaghe del liberismo, della finanza, e del libero mercato”.“Indossiamo giacche larghe e stropicciate come le nostre occhiaie. Per San Valentino organizzeremo una veglia di lettura (perché chiamarla ‘reading’?) dedicata alla
storia d’amore tra Nilde e Palmiro ”. E ancora, “le nostre amiche e compagne pensano all’articolo 18 non al tacco 12, e hanno deciso di non depilarsi le ascelle per ricordare l’insopportabile selva di contratti precari. Gli
amish sono nuovisti. Pippo Civati è un trasgressivo. Prendere la birra al bar da soli, è bello. Non siamo eterosessuali. Non siamo omosessuali. Siamo dalemasessuali”.
Una satira che ai giovani democratici fa male come sale sulle ferite – non così al segretario appena rieletto, Fausto Raciti, che replica senza astio su Facebok.
IN MOLTI sul social network si scagliano contro l’autrice che è “bionda”, “fa pena”, è “da prendere a schiaffi”in quanto “psicopatica”e“dannata decerebrata”.
Online, naturalmente, altrettanti difendono lo giornalista. Pippo Civati sul suo blog esprime “solidarietà a Martina e a tutti quelli che riescono ancora a non prendersi troppo sul serio”.
Una categoria forse più rara tra alcuni giovani Pd, soprattutto tra quelli “dalle giacche larghe e stropicciate” che sognano una vita alla D’Alema.
mercoledì 28 marzo 2012
UN REFERENDUM PER FAR DECIDERE I CITTADINI
Di Carlo Salatino (coordinatore Alleanza per l’Italia) su Calabria ora del 28/03/2012
I segnali di ripresa del dibattito sull'area urbana sono da accogliere positivamente specie quando, in molti, si chiedono che fine abbia fatto il progetto della grande città.
In merito appare del tutto rispettabile l'opinione secondo la quale l'area urbana si costruisce con i fatti, anche se, si potrebbe obiettare, le singole opere, che si tratti della metro o del nuovo ospedale, sono altra cosa dal costruire, organicamente, la grande città, un tema spesso strumentalizzato e che oggi, di fatto, sembra scomparso dall'agenda politica locale.
La cosa appare ancora più inspiegabile nel momento in cui la dote culturale e politica che i sindaci dei comuni interessati si portano dietro rappresenta un valore aggiunto non trascurabile per affrontare la questione.
Infatti, mentre Cosenza è amministrata da un architetto e urbanista e quindi proteso, naturalmente, verso la visione futura del territorio, a Rende governa un sindaco che ha abbattuto il vincolo della cittadinanza avendo vissuto e
operato nella città dei bruzi. Nel contempo Castrolibero ha un primo cittadino che, in quanto presidente del Consiglio provinciale, è portatore di una visione istituzionale che supera i confini municipali.
Infine il sindaco di Montalto, che spesso ha lamentato di essere tenuto ai margini, rivendica con forza, e giustamente, il diritto di partecipare.
E' insomma un momento favorevole dal punto di vista istituzionale, ma anche sociale, visto che i cittadini si sentono ormai parte di una unica grande realtà urbana.
Cittadini che potrebbero essere chiamati a esprimersi con l'indizione di un referendum consultivo.
Un momento propizio che, però, non registra passi concreti di costruzione della grande città: nessuno strumento di pianificazione condivisa è in cantiere; nessuna gestione sovracomunale di servizi (smaltimento rifiuti, sistema dei trasporti); musei e stagioni culturali, indipendenti l'una dalle altre.
Ma se è questa la chiave di lettura, lo si dica con chiarezza: la città unica non conviene; la ricchezza del territorio sta nelle municipalità e, perché no, nella sana competizione tra campanili.
Si ammetta che anni di confronti sono stati inutile esercitazione intellettuale.
Insomma si passi a un'azione politica pragmatica e non più incline alle chiacchiere vacue e dispendiose.
I segnali di ripresa del dibattito sull'area urbana sono da accogliere positivamente specie quando, in molti, si chiedono che fine abbia fatto il progetto della grande città.
In merito appare del tutto rispettabile l'opinione secondo la quale l'area urbana si costruisce con i fatti, anche se, si potrebbe obiettare, le singole opere, che si tratti della metro o del nuovo ospedale, sono altra cosa dal costruire, organicamente, la grande città, un tema spesso strumentalizzato e che oggi, di fatto, sembra scomparso dall'agenda politica locale.
La cosa appare ancora più inspiegabile nel momento in cui la dote culturale e politica che i sindaci dei comuni interessati si portano dietro rappresenta un valore aggiunto non trascurabile per affrontare la questione.
Infatti, mentre Cosenza è amministrata da un architetto e urbanista e quindi proteso, naturalmente, verso la visione futura del territorio, a Rende governa un sindaco che ha abbattuto il vincolo della cittadinanza avendo vissuto e
operato nella città dei bruzi. Nel contempo Castrolibero ha un primo cittadino che, in quanto presidente del Consiglio provinciale, è portatore di una visione istituzionale che supera i confini municipali.
Infine il sindaco di Montalto, che spesso ha lamentato di essere tenuto ai margini, rivendica con forza, e giustamente, il diritto di partecipare.
E' insomma un momento favorevole dal punto di vista istituzionale, ma anche sociale, visto che i cittadini si sentono ormai parte di una unica grande realtà urbana.
Cittadini che potrebbero essere chiamati a esprimersi con l'indizione di un referendum consultivo.
Un momento propizio che, però, non registra passi concreti di costruzione della grande città: nessuno strumento di pianificazione condivisa è in cantiere; nessuna gestione sovracomunale di servizi (smaltimento rifiuti, sistema dei trasporti); musei e stagioni culturali, indipendenti l'una dalle altre.
Ma se è questa la chiave di lettura, lo si dica con chiarezza: la città unica non conviene; la ricchezza del territorio sta nelle municipalità e, perché no, nella sana competizione tra campanili.
Si ammetta che anni di confronti sono stati inutile esercitazione intellettuale.
Insomma si passi a un'azione politica pragmatica e non più incline alle chiacchiere vacue e dispendiose.
martedì 27 marzo 2012
I cittadini hanno deciso: «La città unica esiste già»
Cosentini e rendesi distanti da ogni rivalità politica
Di Lidia Passarelli su Calabria ora del 27/03/2012 (a seguire comunicato del Gruppo consiliare Pd Rende e del circolo Pd Rende)
Il modello della città unica continua a far parlare di sé, ponendo in evidenza le attuali posizioni prese dal Comune di Cosenza e dal Comune di Rende.
Fazioni ideologiche contrapposte in questo tacito conflitto tra le amministrazioni comunali, che continuano a
rispettare la linea di confine che le accomuna.
Quella, per intenderci, attualmente marcata dall’ultima fermata della circolare veloce, che con partenza da Cosenza non si spinge oltre i confini di Campagnano.
Primo passo concreto mosso dal sindaco Occhiuto in favore della tanto discussa conurbazione che, seppur rivoluzionario per il traffico cittadino, è riuscito da una parte a soddisfare molti degli abitanti della città bruzia e
dall’altra a incuriosire la popolazione rendese che sembra non tirarsi indietro nel rivendicare l’unificazione cittadina.
«La città unica - spiega infatti Franco Guido, imprenditore cosentino - porterebbe vantaggi non indifferenti.
Che si parli anche solo dei trasporti, perché l’intensificazione di questi associati ad un collegamento ottimale tra i diversi comuni finirebbe per favorire anche l’evoluzione cittadina da un punto di vista extraurbano.
Stesso discorso per il campus universitario. Bisogna dare i giusti impulsi alla città se si vuole crescere.
Come accade il più delle volte, però, tutto finisce col ridursi ad una mera questione politica, ma un solo uomo non dovrebbe decidere per la collettività sempre che si parli di democrazia».
Convinzione che sembra trovare il proprio contrappunto nelle brevi dichiarazioni date da altri cittadini, pronti ad adottare il modello che lo scorso settembre era riuscito a richiamare all’attenzione i sindaci dei Comuni rispettivamente di: Cosenza, Castrolibero, Montalto e Rende.
In un convegno-dibattito dal titolo che adesso suona quasi come una previsione avverata “Convergenze parallele”.
Le ideologie delle rispettive amministrazioni sembrano infatti essere destinate a non incrociarsi mai, preservando in un futuro non troppo vicino le linee guida storiche.
Fatta eccezione naturalmente per il progressista sindaco di Cosenza che continua a difendere il proprio progetto di valorizzazione urbana e a credere nella possibile collaborazione con i suddetti Comuni.
Ricevendo inevitabilmente l’approvazione da coloro che hanno vissuto i cambiamenti conseguenti al suo
piano d'azione, ma anche da parte di coloro che al confine ne hanno documentato la riuscita.
«Grazie alla circolare veloce - ha infatti commentato Sara Gatto, giovane impiegata rendese ma residente a Cosenza - sono riuscita a recuperare qualche minuto rispetto la tratta precedente. Sebbene fermandosi a Campagnano, finisco inevitabilmente a spenderlo per raggiungere l'ufficio presso cui lavoro. Cosa che non accadrebbe se si inglobasse la città nella tratta percorsa dal pullman in questione. Circolare a parte però, il modello della città unica potrebbe rappresentare davvero una carta vincente per le amministrazioni, e poi è da sempre risaputo che è l’unione la vera forza».
Di Lidia Passarelli su Calabria ora del 27/03/2012 (a seguire comunicato del Gruppo consiliare Pd Rende e del circolo Pd Rende)
Il modello della città unica continua a far parlare di sé, ponendo in evidenza le attuali posizioni prese dal Comune di Cosenza e dal Comune di Rende.
Fazioni ideologiche contrapposte in questo tacito conflitto tra le amministrazioni comunali, che continuano a
rispettare la linea di confine che le accomuna.
Quella, per intenderci, attualmente marcata dall’ultima fermata della circolare veloce, che con partenza da Cosenza non si spinge oltre i confini di Campagnano.
Primo passo concreto mosso dal sindaco Occhiuto in favore della tanto discussa conurbazione che, seppur rivoluzionario per il traffico cittadino, è riuscito da una parte a soddisfare molti degli abitanti della città bruzia e
dall’altra a incuriosire la popolazione rendese che sembra non tirarsi indietro nel rivendicare l’unificazione cittadina.
«La città unica - spiega infatti Franco Guido, imprenditore cosentino - porterebbe vantaggi non indifferenti.
Che si parli anche solo dei trasporti, perché l’intensificazione di questi associati ad un collegamento ottimale tra i diversi comuni finirebbe per favorire anche l’evoluzione cittadina da un punto di vista extraurbano.
Stesso discorso per il campus universitario. Bisogna dare i giusti impulsi alla città se si vuole crescere.
Come accade il più delle volte, però, tutto finisce col ridursi ad una mera questione politica, ma un solo uomo non dovrebbe decidere per la collettività sempre che si parli di democrazia».
Convinzione che sembra trovare il proprio contrappunto nelle brevi dichiarazioni date da altri cittadini, pronti ad adottare il modello che lo scorso settembre era riuscito a richiamare all’attenzione i sindaci dei Comuni rispettivamente di: Cosenza, Castrolibero, Montalto e Rende.
In un convegno-dibattito dal titolo che adesso suona quasi come una previsione avverata “Convergenze parallele”.
Le ideologie delle rispettive amministrazioni sembrano infatti essere destinate a non incrociarsi mai, preservando in un futuro non troppo vicino le linee guida storiche.
Fatta eccezione naturalmente per il progressista sindaco di Cosenza che continua a difendere il proprio progetto di valorizzazione urbana e a credere nella possibile collaborazione con i suddetti Comuni.
Ricevendo inevitabilmente l’approvazione da coloro che hanno vissuto i cambiamenti conseguenti al suo
piano d'azione, ma anche da parte di coloro che al confine ne hanno documentato la riuscita.
«Grazie alla circolare veloce - ha infatti commentato Sara Gatto, giovane impiegata rendese ma residente a Cosenza - sono riuscita a recuperare qualche minuto rispetto la tratta precedente. Sebbene fermandosi a Campagnano, finisco inevitabilmente a spenderlo per raggiungere l'ufficio presso cui lavoro. Cosa che non accadrebbe se si inglobasse la città nella tratta percorsa dal pullman in questione. Circolare a parte però, il modello della città unica potrebbe rappresentare davvero una carta vincente per le amministrazioni, e poi è da sempre risaputo che è l’unione la vera forza».
C’erano una volta le circoscrizioni
Dimezzati gli uffici che oggi funzionano da Anagrafe e ospitano associazioni
Di Francesco Cangemi su Calabria ora del 27/03/2012
C’erano una volta le circoscrizioni.
Ve le ricordate?
Quelle che, quando erano aperte, sembravano non servire a nessuno.
Le stesse che oggi che sono state depotenziate, tramutate o addirittura chiuse, a qualcuno sembrano mancare.
Ai cittadini per esempio, soprattutto quelli un po’ più anziani, che non hanno più uno “sportello reclami” a portata di mano.
La storia delle circoscrizioni cittadine nella nostra città è cambiata radicalmente dal 2006 a oggi.
In sei anni infatti da sette sono passate a quattro con non pochi mugugni da parte delle frazioni di
Donnici, Sant’Ippolito e Borgo Partenope che si sono sentite sempre più emarginate.
Degli assessorati e dei progetti di decentramento studiati da Piperno nell’era Mancini e da Perugini durante il suo mandato (l’ex primo cittadino affido lo studio del nuovo statuto dei piccoli municipi all’allora assessore Giovanni De Rose, che venne però immolato sull’altare degli equilibri politici, un progetto a cui lavoro molto avvalendosi anche della collaborazione di consiglieri circoscrizionali particolarmente interessanti al tema come Massimiliano D’Acri), oggi non è rimasto più niente perché è entrata in vigore la Legge che ne impedisce la costituzione al di sotto dei 100mila abitanti.
Sono però rimasti i locali.
O meglio due delle quattro sedi delle circoscrizioni che, dopo le ultime elezioni del 2006, avevano tutti presidenti di centrosinistra e tutti sostenitori di Perugini sindaco.
La storica sede della Prima circoscrizione, quella del centro storico guidata fino al 2011 dall’architetto Giovanna Tartoni, oggi è chiusa.
Il portone di vico Cafarone è chiuso da allora.
Non ospita più nulla.
Così accade anche per i centralissimi magazzini di viale della Repubblica dove aveva sede la Terza circoscrizione guidata da Tonino Farina.
Qui saracinesche abbassate, restano solo le due: una con sopra scritto appunto il nuovo numero e l’altra fedele alla vecchia denominazione di Quinta circoscrizione.
La Quarta, quella in via degli Stadi e lasciata da Emanuele Sacchetti, oggi ospita uno sportello comunale che offre servizi anagrafici, un ufficio del vicino settore Manutenzione e l’associazione di tutela dei diritti dei disabili Avad.
Curioso come, il giorno in cui abbiamo visitato la struttura, non vi fosse nessun impiegato a cui chiedere informazioni.
Sarà stato colpa del cartello che indicava “terminali fuori uso”.
Tracce di vita si trovano anche alla Seconda, ex presidente Giovanni Cipparrone.
Lì c’è non solo la Ludoteca e il Servizio anagrafe; c’è anche un piccolo ambulatorio sanitario e l’Ufficio distrettuale per il servizio sociale dei minori.
Di Francesco Cangemi su Calabria ora del 27/03/2012
C’erano una volta le circoscrizioni.
Ve le ricordate?
Quelle che, quando erano aperte, sembravano non servire a nessuno.
Le stesse che oggi che sono state depotenziate, tramutate o addirittura chiuse, a qualcuno sembrano mancare.
Ai cittadini per esempio, soprattutto quelli un po’ più anziani, che non hanno più uno “sportello reclami” a portata di mano.
La storia delle circoscrizioni cittadine nella nostra città è cambiata radicalmente dal 2006 a oggi.
In sei anni infatti da sette sono passate a quattro con non pochi mugugni da parte delle frazioni di
Donnici, Sant’Ippolito e Borgo Partenope che si sono sentite sempre più emarginate.
Degli assessorati e dei progetti di decentramento studiati da Piperno nell’era Mancini e da Perugini durante il suo mandato (l’ex primo cittadino affido lo studio del nuovo statuto dei piccoli municipi all’allora assessore Giovanni De Rose, che venne però immolato sull’altare degli equilibri politici, un progetto a cui lavoro molto avvalendosi anche della collaborazione di consiglieri circoscrizionali particolarmente interessanti al tema come Massimiliano D’Acri), oggi non è rimasto più niente perché è entrata in vigore la Legge che ne impedisce la costituzione al di sotto dei 100mila abitanti.
Sono però rimasti i locali.
O meglio due delle quattro sedi delle circoscrizioni che, dopo le ultime elezioni del 2006, avevano tutti presidenti di centrosinistra e tutti sostenitori di Perugini sindaco.
La storica sede della Prima circoscrizione, quella del centro storico guidata fino al 2011 dall’architetto Giovanna Tartoni, oggi è chiusa.
Il portone di vico Cafarone è chiuso da allora.
Non ospita più nulla.
Così accade anche per i centralissimi magazzini di viale della Repubblica dove aveva sede la Terza circoscrizione guidata da Tonino Farina.
Qui saracinesche abbassate, restano solo le due: una con sopra scritto appunto il nuovo numero e l’altra fedele alla vecchia denominazione di Quinta circoscrizione.
La Quarta, quella in via degli Stadi e lasciata da Emanuele Sacchetti, oggi ospita uno sportello comunale che offre servizi anagrafici, un ufficio del vicino settore Manutenzione e l’associazione di tutela dei diritti dei disabili Avad.
Curioso come, il giorno in cui abbiamo visitato la struttura, non vi fosse nessun impiegato a cui chiedere informazioni.
Sarà stato colpa del cartello che indicava “terminali fuori uso”.
Tracce di vita si trovano anche alla Seconda, ex presidente Giovanni Cipparrone.
Lì c’è non solo la Ludoteca e il Servizio anagrafe; c’è anche un piccolo ambulatorio sanitario e l’Ufficio distrettuale per il servizio sociale dei minori.
sabato 24 marzo 2012
Rende: viaggio nel cuore di un sogno compiuto
Bellissima iniziativa ieri sera al villa Fabiano Palace Hotel, promossa dal Rotary club Rende dal titolo: "Rende: viaggio nel cuore di un sogno compiuto, storia di una periferia diventata città...baricentrica"
Tra gli altri sono intervenuti l'on. Sandro Principe capogruppo Pd alla regione, il sindaco di Rende Vittorio Cavalcati, il Geologo Carlo Tansi e il prof Franco Rossi ordinario di urbanistica e direttore dipartimento territoriale dell'Unical.
Nella splendida cornice della villa Fabiano Palace Hotel si sono susseguiti gli interventi per raccontare di una realtà anomala, una volta tanto nel senso buono del termine, come Rende, in una Calabria stretta dalla 'ndrangheta, la disoccupazione e la mancanza di posti di lavoro con una realtà come la zona industriale di Rende fiore all'occhiello nell'ambito lavorativo, con l'abuso edilizio, fenomeno diffuso in Calabria mentre a Rende si è costruito con un occhio rivolto al verde.
I lavori sono stati aperti e moderati dal geologo Carlo Tansi, che ha ricordato, quasi con affetto, il periodo della sua giovinezza quando andava al tennis club di Rende osservando nel contempo la crescita dell'urbanistica tra Cosenza e Rende, e proprio a tal proposito sono state proiettate delle slide che hanno mostrato la crescita urbanistica delle due sopracitate città nel corso degli anni '50, anni '70 e anni '90, di una Cosenza che nel 1952 si fermava a via Panebianco fino ad arrivare a una crescita che ha portato ad abbracciare le due realtà in una logica di area urbana che oggi conosciamo.
E a proposito di area Urbana, si è denotato l'assenza dei politici di Cosenza, anche quelli che sui media parlano di area urbana in una manifestazione, che come si è detto essendo lontana da elezioni politiche era scevra da qualsivoglia sospetto di manifestazione di tipo politico, era invece una manifestazione per raccontare Rende nella sua storia e nella sua leggenda di Arinthia così come ha raccontato Sandro Principe indossando i
Nella splendida cornice della villa Fabiano Palace Hotel si sono susseguiti gli interventi per raccontare di una realtà anomala, una volta tanto nel senso buono del termine, come Rende, in una Calabria stretta dalla 'ndrangheta, la disoccupazione e la mancanza di posti di lavoro con una realtà come la zona industriale di Rende fiore all'occhiello nell'ambito lavorativo, con l'abuso edilizio, fenomeno diffuso in Calabria mentre a Rende si è costruito con un occhio rivolto al verde.
I lavori sono stati aperti e moderati dal geologo Carlo Tansi, che ha ricordato, quasi con affetto, il periodo della sua giovinezza quando andava al tennis club di Rende osservando nel contempo la crescita dell'urbanistica tra Cosenza e Rende, e proprio a tal proposito sono state proiettate delle slide che hanno mostrato la crescita urbanistica delle due sopracitate città nel corso degli anni '50, anni '70 e anni '90, di una Cosenza che nel 1952 si fermava a via Panebianco fino ad arrivare a una crescita che ha portato ad abbracciare le due realtà in una logica di area urbana che oggi conosciamo.
E a proposito di area Urbana, si è denotato l'assenza dei politici di Cosenza, anche quelli che sui media parlano di area urbana in una manifestazione, che come si è detto essendo lontana da elezioni politiche era scevra da qualsivoglia sospetto di manifestazione di tipo politico, era invece una manifestazione per raccontare Rende nella sua storia e nella sua leggenda di Arinthia così come ha raccontato Sandro Principe indossando i
panni dello storico per raccontare Rende dalle sue origini che si perdono nel mito al raccontare la storia della città fino ad arrivare ad oggi con la costruzione di opere importanti, grazie a Cecchino Principe Prima e a Sandro Principe poi come l'università della Calabria, la zona industriale, la chiesa di San Carlo Borromeo che con la sua piazza acquista la centralità sopratutto grazie al viale Francesco e Caterina Principe costruito in pochi anni, e mentre, come diceva il prof Franco Rossi, Cosenza dopo il boom edilizio si è fermato e senza Rende sarebbe attecchito su se stesso, oltre il Campagnano i lavori e i progetti continuano, come per il lago tra il parco Robinson e il Nicolas Green.
Poi è toccato al sindaco di Rende, Vittorio Cavalcati, orgoglioso della sua cosentinità, ma nello stesso tempo in una logica di area urbana felice di poter essere primo cittadino di una realtà, che come diceva il manifesto della manifestazione, da " una periferia diventata città...baricentrica", una realtà nota sotto gli occhi di tutti.
Poi è toccato al sindaco di Rende, Vittorio Cavalcati, orgoglioso della sua cosentinità, ma nello stesso tempo in una logica di area urbana felice di poter essere primo cittadino di una realtà, che come diceva il manifesto della manifestazione, da " una periferia diventata città...baricentrica", una realtà nota sotto gli occhi di tutti.
martedì 20 marzo 2012
sabato 17 marzo 2012
E IL “GRANDE BORDELLO” DEI REALITY-SHOW?
Nanni Delbecchi chiude finalmente la vicenda della polemica "pornorai" apparsa su libero con un articolo sul fatto quotidiano del 17/03/2012:
C’è fascia e fascia. C’è la fascia protetta e c’è la fascia di bronzo, per così dire. Quella di chi grida alla pornografia se una rete tutta costruita sui serial propone in orario mattutino un teen drama di produzione spagnola in cui la vita sessuale degli studenti è descritta in modo molto realistico. Sarà scandalo autentico o puro pretesto? Il sospetto che si tratti della seconda ipotesi è forte, se si pensa che quegli stessi custodi del comune senso del pudore e della morale cattolica non hanno mai fatto una piega di fronte alla pornografia più o meno soft che invade a ogni ora del giorno non reti digitali di nicchia, ma le reti generaliste nazionali, che sono il vero bacino d’utenza del grande pubblico. Nei game-show della protettissima (in teoria) fascia preserale, quella che dovrebbe riunire la famosa famiglia auditel davanti al desco, è passato di tutto. Dalla “scossa”della valletta di Amadeus Giovanna Civitillo (L’eredità, Raiuno) a Raffaella Fico in perizoma, che si avvita a un immaginario palo di lap-dance (Cento per Cento, Italia 1). Capiamo che per il proprietario di quest’ultima rete si tratti solo di innocente bunga bunga, ma il Vaticano che fa, contestualizza? C’è poi la nuova frontiera del teleporno strisciante, ovvero “il grande bordello” dei reality show, ormai nient’altro che l’equivalente dei sexy film degli anni Settanta. Cristina Del Basso richiamata d’urgenza e subito messa sotto la doccia, è l’equivalente della Giovannona coscialunga di trent’anni fa. Isola dei famosi e Grande fratello vanno tutti i giorni in tutte le fasce, ma i nuovi Catoni non se ne sono mai accorti. Non sapevamo spiegarci il perché, ma ora lo sappiamo. Perché passano tutto il giorno incollati a Rai4.
C’è fascia e fascia. C’è la fascia protetta e c’è la fascia di bronzo, per così dire. Quella di chi grida alla pornografia se una rete tutta costruita sui serial propone in orario mattutino un teen drama di produzione spagnola in cui la vita sessuale degli studenti è descritta in modo molto realistico. Sarà scandalo autentico o puro pretesto? Il sospetto che si tratti della seconda ipotesi è forte, se si pensa che quegli stessi custodi del comune senso del pudore e della morale cattolica non hanno mai fatto una piega di fronte alla pornografia più o meno soft che invade a ogni ora del giorno non reti digitali di nicchia, ma le reti generaliste nazionali, che sono il vero bacino d’utenza del grande pubblico. Nei game-show della protettissima (in teoria) fascia preserale, quella che dovrebbe riunire la famosa famiglia auditel davanti al desco, è passato di tutto. Dalla “scossa”della valletta di Amadeus Giovanna Civitillo (L’eredità, Raiuno) a Raffaella Fico in perizoma, che si avvita a un immaginario palo di lap-dance (Cento per Cento, Italia 1). Capiamo che per il proprietario di quest’ultima rete si tratti solo di innocente bunga bunga, ma il Vaticano che fa, contestualizza? C’è poi la nuova frontiera del teleporno strisciante, ovvero “il grande bordello” dei reality show, ormai nient’altro che l’equivalente dei sexy film degli anni Settanta. Cristina Del Basso richiamata d’urgenza e subito messa sotto la doccia, è l’equivalente della Giovannona coscialunga di trent’anni fa. Isola dei famosi e Grande fratello vanno tutti i giorni in tutte le fasce, ma i nuovi Catoni non se ne sono mai accorti. Non sapevamo spiegarci il perché, ma ora lo sappiamo. Perché passano tutto il giorno incollati a Rai4.
venerdì 16 marzo 2012
Padre Fedele, campagna pro Congo: «Urgono medicinali, aiutatemi»
di l. p. su Calabria ora del 16/03/2012
Direttamente dal Congo, arriva una lettera di Padre Fedele indirizzata ai cosentini.
Il missionario, infatti, si trova come ogni anno in Africa, ma il suo viaggio, stavolta, è stato funestato dal grave attentato perpetrato ai danni della popolazione di Brazzaville con un arsenale di munizioni fatto saltare in aria lo scorso 4 marzo e un bollettino che parla e di oltre 300 morti, 2000 feriti e 8000 senza tetto.
«Dopo il mio precedente appello rivolto alle istituzioni locali - scrive Bisceglia nella lettera - al presidente della Provincia e al sindaco di Cosenza, rivolgo nuovamente, questa volta in maniera pressante, un accorato appello a tutte le varie farmacie e ai medici nonché alla popolazione di Cosenza e suo hinterland. Al mio rientro in Italia previsto per giovedì 22 marzo mi attiverò per la raccolta di medicinali, garze, siringhe, antibiotici, disinfettanti sanitari e tutto ciò possa servire a curare quante più persone possibili ferite in questa stupida ed assurda guerriglia. Vi ringrazio - conclude il monaco ultrà - e vi benedico ancora una volta da questa terra martoriata non soltanto dalla fame e dalle malattie che è l'Africa, e se Dio vuole ci rivedremo al mio rientro».
Direttamente dal Congo, arriva una lettera di Padre Fedele indirizzata ai cosentini.
Il missionario, infatti, si trova come ogni anno in Africa, ma il suo viaggio, stavolta, è stato funestato dal grave attentato perpetrato ai danni della popolazione di Brazzaville con un arsenale di munizioni fatto saltare in aria lo scorso 4 marzo e un bollettino che parla e di oltre 300 morti, 2000 feriti e 8000 senza tetto.
«Dopo il mio precedente appello rivolto alle istituzioni locali - scrive Bisceglia nella lettera - al presidente della Provincia e al sindaco di Cosenza, rivolgo nuovamente, questa volta in maniera pressante, un accorato appello a tutte le varie farmacie e ai medici nonché alla popolazione di Cosenza e suo hinterland. Al mio rientro in Italia previsto per giovedì 22 marzo mi attiverò per la raccolta di medicinali, garze, siringhe, antibiotici, disinfettanti sanitari e tutto ciò possa servire a curare quante più persone possibili ferite in questa stupida ed assurda guerriglia. Vi ringrazio - conclude il monaco ultrà - e vi benedico ancora una volta da questa terra martoriata non soltanto dalla fame e dalle malattie che è l'Africa, e se Dio vuole ci rivedremo al mio rientro».
giovedì 15 marzo 2012
domenica 11 marzo 2012
Rende? Una Ferrari E non trattatela come una “500”
Centro storico, interviene lo chef Napoli «Tutti insieme possiamo renderlo più bello»
Se c’è qualcuno che incarna lo spirito del centro storico di Rende senz’altro è lui.
Lassù, tra quei viottoli usciti da una fiaba, ci lavora da più di vent’anni. Delizia con i suoi sapori i palati di tutta
Cosenza, provincia e non solo.
Non è uno di quelli che ha mollato, Tonino Napoli, cuoco del Pantagruel.
Sarebbe stato troppo facile fare le valigie e scendere a valle, verso le “terre promesse” di Commenda e Quattromiglia.
Ha scelto di restare lì, in via Pittor Santanna, dimostrando di essere innamorato per davvero di quel borgo.
E di averci creduto sempre, anche quando nessuno lo faceva più.
Per questo, l’articolo apparso su CO qualche giorno fa non lo ha lasciato indifferente.
Lo incontriamo nel suo “regno”.
Tra un preparativo e l’altro per il pranzo.
Per qualche minuto, via il classico cappellone bianco con cui il “pubblico” è abituato a vederlo.
Va a ruota libera, con la stessa sicurezza che lo accompagna tra i fornelli.
Sembra polemico, ma alla fine non lo è.
«E’ giunta l’ora di dare a questa Ferrari il valore che ha - esordisce, con chiaro riferimento al centro storico - Non deve essere trattata più come una 500».
Il suo pensiero sta tutta in questa metafora.
Con la conseguenza che non gli va proprio giù quando vede il paese bistrattato e bersagliato.
Non lo dice, ma va da sé che il suo discorso voglia essere anche un po’ una replica a chi, attraverso queste colonne, ha voluto denunciare il presunto stato di abbandono della Rende vecchia. Vale a dire, il comitato “U sieggiu”.
«Non è stato messo sul piatto della bilancia tutto ciò che qui è stato fatto di buono negli ultimi dieci anni - spiega - E si è dimenticato, per esempio, che se le scale mobili sono rotte e se palazzo Basile è devastato, la colpa non è dell’amministrazione, ma dei vandali che non hanno rispetto per il patrimonio di tutti. Penso che chi opera nel centro storico, anche i “critici”, debbano unirsi e lavorare per rilanciare l’immagine del borgo».
E Tonino qualche idea ce l’ha già: trasformare il castello, ex municipio, in teatro di iniziative che spazino dalla cultura all’enogastronomia, passando attraverso mostre e fiere dei sapori.
Senza tralasciare l’ipotesi del turismo religioso, perfetta per un paese che vanta quasi dieci chiese.
Un progetto che in effetti ben si sposerebbe con le novità che pare stiano per coinvolgere il centro storico.
Sembrerebbe difatti che il paese sia in attesa del ritorno di almeno un assessorato: quello presieduto da Cesare Loizzo, che nella giunta Cavalcanti si occupa di Spettacolo, Sport e turismo, Affari generali e Marketing territoriale.
C’è dell’altro però: il vecchio cinema Santa Chiara, in fase di ristrutturazione,s’appresta a diventare di nuovo patrimonio del centro storico.
Lavori in corso anche al Maon e al Museo civico: il primo, addirittura, starebbe per ricevere 250mila euro, per effetto di un finanziamento voluto e richiesto dal capogruppo del Pd alla Regione Sandro Principe. Sperando, un giorno, di poter collegare le due strutture tramite un ponte “sospeso”.
Per il momento, Napoli ci anticipa che, a maggio, sarà la volta di una fiera-mostra di vini calabresi.
Dopo la primavera c’è l’estate.
E chissà che, come da lui auspicato, non si possa far tornare in vita la kermesse “Aspettando il settembre rendese”.
Tutti, insomma, ingredienti irrinunciabili per la ricetta che il signor Pantagruel ha in mente: dare il suo contributo affinché Rende possa entrare a far parte dell’associazione “I borghi più belli d’Italia”.
Cosa impossibile, sostiene lui, se «si continua a parlar male di questa realtà, facendola passare per un posto irraggiungibile e invivibile quando non lo è».
Perciò bando al pessimismo «di quei pochi che finora l’hanno denigrato» e largo all’atteggiamento propositivo. «Una cosa è certa - conclude Napoli - L’impegno dei politici rendesi, che hanno avuto una visione lungimirante e riformista, hanno proiettato la città in una visione europea.
E ora, con la consapevolezza che bisogna rilanciare questi vicoli, Principe e Cavalcanti sapranno dare le giuste risposte».
Di Lugi Maria Chiappetta su Calabria ora del 10/03/2012
Se c’è qualcuno che incarna lo spirito del centro storico di Rende senz’altro è lui.
Lassù, tra quei viottoli usciti da una fiaba, ci lavora da più di vent’anni. Delizia con i suoi sapori i palati di tutta
Cosenza, provincia e non solo.
Non è uno di quelli che ha mollato, Tonino Napoli, cuoco del Pantagruel.
Sarebbe stato troppo facile fare le valigie e scendere a valle, verso le “terre promesse” di Commenda e Quattromiglia.
Ha scelto di restare lì, in via Pittor Santanna, dimostrando di essere innamorato per davvero di quel borgo.
E di averci creduto sempre, anche quando nessuno lo faceva più.
Per questo, l’articolo apparso su CO qualche giorno fa non lo ha lasciato indifferente.
Lo incontriamo nel suo “regno”.
Tra un preparativo e l’altro per il pranzo.
Per qualche minuto, via il classico cappellone bianco con cui il “pubblico” è abituato a vederlo.
Va a ruota libera, con la stessa sicurezza che lo accompagna tra i fornelli.
Sembra polemico, ma alla fine non lo è.
«E’ giunta l’ora di dare a questa Ferrari il valore che ha - esordisce, con chiaro riferimento al centro storico - Non deve essere trattata più come una 500».
Il suo pensiero sta tutta in questa metafora.
Con la conseguenza che non gli va proprio giù quando vede il paese bistrattato e bersagliato.
Non lo dice, ma va da sé che il suo discorso voglia essere anche un po’ una replica a chi, attraverso queste colonne, ha voluto denunciare il presunto stato di abbandono della Rende vecchia. Vale a dire, il comitato “U sieggiu”.
«Non è stato messo sul piatto della bilancia tutto ciò che qui è stato fatto di buono negli ultimi dieci anni - spiega - E si è dimenticato, per esempio, che se le scale mobili sono rotte e se palazzo Basile è devastato, la colpa non è dell’amministrazione, ma dei vandali che non hanno rispetto per il patrimonio di tutti. Penso che chi opera nel centro storico, anche i “critici”, debbano unirsi e lavorare per rilanciare l’immagine del borgo».
E Tonino qualche idea ce l’ha già: trasformare il castello, ex municipio, in teatro di iniziative che spazino dalla cultura all’enogastronomia, passando attraverso mostre e fiere dei sapori.
Senza tralasciare l’ipotesi del turismo religioso, perfetta per un paese che vanta quasi dieci chiese.
Un progetto che in effetti ben si sposerebbe con le novità che pare stiano per coinvolgere il centro storico.
Sembrerebbe difatti che il paese sia in attesa del ritorno di almeno un assessorato: quello presieduto da Cesare Loizzo, che nella giunta Cavalcanti si occupa di Spettacolo, Sport e turismo, Affari generali e Marketing territoriale.
C’è dell’altro però: il vecchio cinema Santa Chiara, in fase di ristrutturazione,s’appresta a diventare di nuovo patrimonio del centro storico.
Lavori in corso anche al Maon e al Museo civico: il primo, addirittura, starebbe per ricevere 250mila euro, per effetto di un finanziamento voluto e richiesto dal capogruppo del Pd alla Regione Sandro Principe. Sperando, un giorno, di poter collegare le due strutture tramite un ponte “sospeso”.
Per il momento, Napoli ci anticipa che, a maggio, sarà la volta di una fiera-mostra di vini calabresi.
Dopo la primavera c’è l’estate.
E chissà che, come da lui auspicato, non si possa far tornare in vita la kermesse “Aspettando il settembre rendese”.
Tutti, insomma, ingredienti irrinunciabili per la ricetta che il signor Pantagruel ha in mente: dare il suo contributo affinché Rende possa entrare a far parte dell’associazione “I borghi più belli d’Italia”.
Cosa impossibile, sostiene lui, se «si continua a parlar male di questa realtà, facendola passare per un posto irraggiungibile e invivibile quando non lo è».
Perciò bando al pessimismo «di quei pochi che finora l’hanno denigrato» e largo all’atteggiamento propositivo. «Una cosa è certa - conclude Napoli - L’impegno dei politici rendesi, che hanno avuto una visione lungimirante e riformista, hanno proiettato la città in una visione europea.
E ora, con la consapevolezza che bisogna rilanciare questi vicoli, Principe e Cavalcanti sapranno dare le giuste risposte».
venerdì 9 marzo 2012
Fenomenologia del veltronismo
La biografia del fondatore del Pd come specchio per un bilancio, finora fallimentare, della “stagione democratica”
Di Luca Telese sul fatto quotidiano del 9/03/2012
QUANDO Marco Filoni, con un sorriso eloquente, mi ha messo in mano
la “biografia sociologica” scritta da Francesco Marchianò su Walter Veltroni perché ne scrivessi una recensione, sono rimasto interdetto e intrigato. Interdetto perché quel sottotitolo mi sembrava terribilmente ambizioso. Intrigato perché mi rendevo subito conto che Marchianò coglieva un tratto esemplare e rappresentativo che la storia politica di Veltroni e la sua ricchissima carriera indubbiamente hanno: se non è la storia di un popolo, infatti, si può senza dubbio dire che la storia politica del fondatore del Pd sia la biografia più adatta per raccontare la parabola di un gruppo dirigente tra la fine del comunismo e la breve (e per ora fallimentare) “stagione democratica”.
Marchianò disegna bene il profilo di questa vicenda, colleziona fonti e interviste importanti, ed è sobriamente simpatetico con il suo biografato. Il che non limita assolutamente la sua indagine ma, forse, la rende più interessante. Il libro inizia con i primi passi nella Fgci, ripercorre l’interessantissima vicenda (mai abbastanza approfondita) di “Net”, il consorzio di tv private vicine al Pci che Veltroni si trovò a dirigere (a 25 anni!), ripercorre l’ascesa folgorante nel gruppo dirigente berlingueriano, il ruolo nella Svolta, la prima (e le successive) “guerre veltrodalemiane ”, la brillante direzione de «l’Unità», il governo dell’Ulivo (vicepremier), la segreteria dei Ds, la conquista di Roma, la fondazione del Pd. Che cosa suggerisce Marchianò con discrezione e regolarità, ripercorrendo queste tappe? Che in tutti questi passaggi importantissimi Veltroni
ha sempre mantenuto un tratto eclettico, creativo e un filo di continuità “Nuovista ” e “Oltrista” ( oltre il Pci, oltre i Ds, oltre il giornale di partito, oltre il partito). Verissimo. Che cosa non dice? Un fatto che salta all’occhio in maniera lampante. E cioè che la sua stessa ricerca dimostra – con le importanti eccezioni della sindacatura capitolina e del lavoro a «l’Unità» – che tutte queste esperienze, malgrado un filo di continuità fortissimo e il grande sforzo inventivo, sono tutti fallimenti o opere incompiute.
Veltroni sa parlare, pubblica libri di successo, sa creare un immaginario come pochi altri, è di certo onesto e limpido, ma non mette radici. Veltroni è un geniale uomo di stampa e propaganda, per esempio, ma il
consorzio delle tv private che avrebbe potuto essere una contro-Mediaset rossa fallisce. La lettura veltroniana della Svolta resta minoritoria e muore con quella occhettiana. La sua poco convinta sfida a d’Alema (lo dice lui stesso intervistato dall’autore) si risolve con una bella sconfitta e con un “patteggiamento” con il
suo avversario. Esattamente come si riveleranno idee luminose ma incompiute: la “bella politica”, l’Ulivo dei cittadini, il secondo patteggiamento con D’Alema (tu vai a Palazzo Chigi, io vado a Botteghe Oscure), il sogno africano mai realizzato (che adesso lo insegue come una maledizione in qualsiasi invettiva internet) e, da ultimo, la costruzione ambiziosa e salvifica del partito democratico, prima vagheggiato, e poi inspiegabilmente abbandonato dopo la sconfitta delle regionali sarde: a metà strada, come un figlio negletto e con un vice che lo
t radisce.
Siccome la storia non si può ridurre a macchietta, il libro di Marchianò illumina bene cosa è andato storto in tutti questi passaggi. Ma la risposta che a me viene in mente dopo aver compulsato l’ultimo capitolo è politicamente scorretta. E cioè che Veltroni sia uno di quei personaggi anche importanti, nella storia, che restano stritolati dalla sfortuna e da un difetto fatale. O, peggio, affondati a metà del guado mentre si cimentano in grandi imprese.
Si potrebbe obiettare che lo stesso destino è spettato al suo fratello-coltello Massimo D’Alema, ma questa non è certo un’attenuante, quanto piuttosto un’aggravante e una conferma del tratto “sociolog ico” (e io direi anche generazionale) di un fallimento: quello degli ex quarantenni e dei post comunisti. Sia D’Alema che Veltroni sono figli dell’apparato comunista, con la sua grandezza e i suoi limiti: entrambi sono figli parricidi del berlinguerismo (che orrore quelle parole semi-smentite di Veltroni sulla “maggiore modernità” di Craxi rispetto al segretario del Pci). Entrambi sono post comunisti che hanno cercato una nuova identità senza riuscire a trovarla e smarrendo se stessi nella ricerca. Veltroni nel suo kennedismo nazional-popolar-disneyano (definizione non dispregiativa ma elogiativa, per me). D’Alema nel suo socialdemocratismo posticcio, politicista e ultratattico (definizione oggettiva). Entrambi hanno giocato e hanno perso. Entrambi non hanno ancora capito la portata della loro sconfitta, e nessuno dei due si preoccupa del fatto che insieme a loro abbiamo perso tutti quanti. Veltroni (e D’Alema) sono stati dei modernizzatori mancati proprio perché non si sono accorti di aver fondato la loro politica su una identità abiurata (non ha spiegazioni logiche il “Non sono
mai stato comunista” di Walter) e poi perché hanno cercato di costruire una nuova visione con vecchi metodi. Veltroni e D’Alema si sono combattuti con brillanti procedure da Comintern – sorrisi e pugnali –non hanno mai dato battaglia in campo aperto, non hanno mai capito fino in fondo che il fondamento delle leadership moderne sono il consenso, il coraggio, il rischio di perdere che comporta la rinuncia al ripescaggio “patteggiato”. Sono degli innovatori che hanno pensato di poter conquistare il centro con abiti postmoderni e modi di fare vetero-comunisti. Un paradosso che se volete ha una sua grandezza, ma anche una sua miseria. L’Italia è cambiata mentre loro si ingrigivano. La prossima “biografia sociologica” da compilare, va detto all’ottimo Marchianò, è quella dei tecnocrati che stanno provando a estinguere la ricchezza della politica e la difficoltà della democrazia. Quando questa missione sarà compiuta, finirà che lo rimpiangeremo, Veltroni.
Francesco Marchianò. Walter Veltroni. Una biografia sociologica, Ediesse, pagg. 232, € 14,00
Di Luca Telese sul fatto quotidiano del 9/03/2012
QUANDO Marco Filoni, con un sorriso eloquente, mi ha messo in mano
la “biografia sociologica” scritta da Francesco Marchianò su Walter Veltroni perché ne scrivessi una recensione, sono rimasto interdetto e intrigato. Interdetto perché quel sottotitolo mi sembrava terribilmente ambizioso. Intrigato perché mi rendevo subito conto che Marchianò coglieva un tratto esemplare e rappresentativo che la storia politica di Veltroni e la sua ricchissima carriera indubbiamente hanno: se non è la storia di un popolo, infatti, si può senza dubbio dire che la storia politica del fondatore del Pd sia la biografia più adatta per raccontare la parabola di un gruppo dirigente tra la fine del comunismo e la breve (e per ora fallimentare) “stagione democratica”.
Marchianò disegna bene il profilo di questa vicenda, colleziona fonti e interviste importanti, ed è sobriamente simpatetico con il suo biografato. Il che non limita assolutamente la sua indagine ma, forse, la rende più interessante. Il libro inizia con i primi passi nella Fgci, ripercorre l’interessantissima vicenda (mai abbastanza approfondita) di “Net”, il consorzio di tv private vicine al Pci che Veltroni si trovò a dirigere (a 25 anni!), ripercorre l’ascesa folgorante nel gruppo dirigente berlingueriano, il ruolo nella Svolta, la prima (e le successive) “guerre veltrodalemiane ”, la brillante direzione de «l’Unità», il governo dell’Ulivo (vicepremier), la segreteria dei Ds, la conquista di Roma, la fondazione del Pd. Che cosa suggerisce Marchianò con discrezione e regolarità, ripercorrendo queste tappe? Che in tutti questi passaggi importantissimi Veltroni
ha sempre mantenuto un tratto eclettico, creativo e un filo di continuità “Nuovista ” e “Oltrista” ( oltre il Pci, oltre i Ds, oltre il giornale di partito, oltre il partito). Verissimo. Che cosa non dice? Un fatto che salta all’occhio in maniera lampante. E cioè che la sua stessa ricerca dimostra – con le importanti eccezioni della sindacatura capitolina e del lavoro a «l’Unità» – che tutte queste esperienze, malgrado un filo di continuità fortissimo e il grande sforzo inventivo, sono tutti fallimenti o opere incompiute.
Veltroni sa parlare, pubblica libri di successo, sa creare un immaginario come pochi altri, è di certo onesto e limpido, ma non mette radici. Veltroni è un geniale uomo di stampa e propaganda, per esempio, ma il
consorzio delle tv private che avrebbe potuto essere una contro-Mediaset rossa fallisce. La lettura veltroniana della Svolta resta minoritoria e muore con quella occhettiana. La sua poco convinta sfida a d’Alema (lo dice lui stesso intervistato dall’autore) si risolve con una bella sconfitta e con un “patteggiamento” con il
suo avversario. Esattamente come si riveleranno idee luminose ma incompiute: la “bella politica”, l’Ulivo dei cittadini, il secondo patteggiamento con D’Alema (tu vai a Palazzo Chigi, io vado a Botteghe Oscure), il sogno africano mai realizzato (che adesso lo insegue come una maledizione in qualsiasi invettiva internet) e, da ultimo, la costruzione ambiziosa e salvifica del partito democratico, prima vagheggiato, e poi inspiegabilmente abbandonato dopo la sconfitta delle regionali sarde: a metà strada, come un figlio negletto e con un vice che lo
t radisce.
Siccome la storia non si può ridurre a macchietta, il libro di Marchianò illumina bene cosa è andato storto in tutti questi passaggi. Ma la risposta che a me viene in mente dopo aver compulsato l’ultimo capitolo è politicamente scorretta. E cioè che Veltroni sia uno di quei personaggi anche importanti, nella storia, che restano stritolati dalla sfortuna e da un difetto fatale. O, peggio, affondati a metà del guado mentre si cimentano in grandi imprese.
Si potrebbe obiettare che lo stesso destino è spettato al suo fratello-coltello Massimo D’Alema, ma questa non è certo un’attenuante, quanto piuttosto un’aggravante e una conferma del tratto “sociolog ico” (e io direi anche generazionale) di un fallimento: quello degli ex quarantenni e dei post comunisti. Sia D’Alema che Veltroni sono figli dell’apparato comunista, con la sua grandezza e i suoi limiti: entrambi sono figli parricidi del berlinguerismo (che orrore quelle parole semi-smentite di Veltroni sulla “maggiore modernità” di Craxi rispetto al segretario del Pci). Entrambi sono post comunisti che hanno cercato una nuova identità senza riuscire a trovarla e smarrendo se stessi nella ricerca. Veltroni nel suo kennedismo nazional-popolar-disneyano (definizione non dispregiativa ma elogiativa, per me). D’Alema nel suo socialdemocratismo posticcio, politicista e ultratattico (definizione oggettiva). Entrambi hanno giocato e hanno perso. Entrambi non hanno ancora capito la portata della loro sconfitta, e nessuno dei due si preoccupa del fatto che insieme a loro abbiamo perso tutti quanti. Veltroni (e D’Alema) sono stati dei modernizzatori mancati proprio perché non si sono accorti di aver fondato la loro politica su una identità abiurata (non ha spiegazioni logiche il “Non sono
mai stato comunista” di Walter) e poi perché hanno cercato di costruire una nuova visione con vecchi metodi. Veltroni e D’Alema si sono combattuti con brillanti procedure da Comintern – sorrisi e pugnali –non hanno mai dato battaglia in campo aperto, non hanno mai capito fino in fondo che il fondamento delle leadership moderne sono il consenso, il coraggio, il rischio di perdere che comporta la rinuncia al ripescaggio “patteggiato”. Sono degli innovatori che hanno pensato di poter conquistare il centro con abiti postmoderni e modi di fare vetero-comunisti. Un paradosso che se volete ha una sua grandezza, ma anche una sua miseria. L’Italia è cambiata mentre loro si ingrigivano. La prossima “biografia sociologica” da compilare, va detto all’ottimo Marchianò, è quella dei tecnocrati che stanno provando a estinguere la ricchezza della politica e la difficoltà della democrazia. Quando questa missione sarà compiuta, finirà che lo rimpiangeremo, Veltroni.
Francesco Marchianò. Walter Veltroni. Una biografia sociologica, Ediesse, pagg. 232, € 14,00
giovedì 8 marzo 2012
ALIMENA e quel crack d’altri tempi
Un milione di lire per illuminare la città
Politica e intrecci finanziari in municipio
Politica e intrecci finanziari in municipio
Di Saverio Paletta su Calabria ora del 08/03/2012
Cosenza, nell’ultimo decennio del 1800, non passa un bel momento. È piccola, non tocca i ventimila abitanti, e l’espansione urbana è di là da venire.
L’unico cenno di modernità è lo sviluppo della pianata del Carmine, una via lastricata che parte da una piazzetta che oggi non esiste più. La città nuova non esiste ancora. In compenso, quella vecchia inizia a declinare. Neppure i notabili passano un bel momento ma restano i protagonisti. Far progredire una città così, che campa di un commercio minuto basato sull’agricoltura povera del circondario, non è facile. I soldi nelle casse comunali sono pochi e ricorrere all’indebitamento è giocoforza, se si vuol realizzare qualche opera pubblica. Difatti, la Cosenza del 1890 è condizionata da un debito di un milione di vecchie lire, contratto nel 1877 dal sindaco Francesco Martire con il banchiere napoletano Gaetano Anaclerio per finanziare l’illuminazione pubblica. Si parla di lire vere che, secondo un motto dell’epoca, “fanno aggio” sull’oro.
Il contratto è un vero e proprio capestro: il Comune, in cambio del milione, che equivale a oltre 20 milioni di euro odierne, emette 3.036 obbligazioni di cinquecento lire l’una, da rimborsarsi in cinquant’anni. Le pratiche della finanza creativa sono vecchie quanto la contabilità pubblica, come si vede. Leader quasi indiscusso della politica dell’epoca è Luigi Miceli, un esponente della sinistra più dura.
Originario di Longobardi, già mazziniano e garibaldino, Miceli ha tutti i galloni risorgimentali. Difatti, dall’Unità a fine secolo, è un habitué della Camera. Ha un larghissimo seguito personale, che gli avversari bollano come “clientela”. A Cosenza Miceli conta.
Al punto di appoggiare Martire alla carica di sindaco, sebbene la sua lista fosse stata battuta alle urne da quella del conservatore Francesco Muzzillo. I sindaci, è doveroso precisarlo, li fa ancora il re. La mediazione di Miceli puntella Martire, al punto che nella sua giunta entrano vari “muzzilliani”. Il prestito, opportuno o
no, viene sottoscritto. E chi non è d’accordo deve abbozzare. Come Antonio Coiz, il preside del liceo Telesio, trasferito in Puglia pochi mesi prima del prestito.
Gli avversari di Miceli in città, cioè quasi tutti gli iscritti alla loggia Bruzia, sono all’angolo. Perché possano
prendersi la loro rivincita ci vorrà un decennio. Nel 1888 il clima politico è cambiato. L’epoca di Depretisè finita mentre l’astro di Francesco Crispi è forte, non ancora offuscato dal massacro di Adua e dallo scandalo della Banca romana. Miceli è ministro ai Lavori pubblici ed è lo stesso Miceli di sempre. Anche Crispi
è Crispi: decisionista e dirigista, continua a servirsi dei metodi di Depretis. Infatti Miceli è ministro con lui come lo è stato con chi lo ha preceduto. Con una differenza, che va a suo svantaggio: dal 30 dicembre del 1888 la nomina dei sindaci non è più di competenza del re e passa al consiglio comunale. Le logge cosentine,
la Bruzia, guidata dal patriota Pietro De Roberto, e la Telesio, nata a Rogliano ma trasferitasi nel capoluogo, preparano il contrattacco: il settimanale “La lotta”, organizza un meeting al Teatro Garibaldi.
Il motivo formale è quello di sempre: chiedere un reggimento dell’esercito di stanza in città. La sostanza è diversa: il comitato organizzatore è presieduto da De Roberto e il grosso del pubblico è costituito dagli esponenti delle due società operaie. L’una, filomassonica, guidata da Ippolito Mirabello, l’altra dal costruttore Roberto Palaia. È il 3 marzo 1889.
Michele Fera apre i lavori, e chiede di tutto e di più a Miceli e ai suoi deputati. Si arriva ai ferri corti. E la politica cosentina, come sempre, ne risente. Si va alle amministrative di novembre con la solita proliferazione di liste: 20 per un totale di 71 candidati. Vincono i candidati protetti dalla Bruzia, che ottengono 16 consiglieri su 30. Un risultato prevedibile, perché nel frattempo la loggia ha lavorato con finezza: si è inserita nelle società operaie, dove ha fatto proselitismo, e ora profitta dell’allargamento della base elettorale. Il problema, a questo punto, è fare il sindaco, visto che Cosenza non ne ha uno da tre anni e che, a farne le veci, è stato il barone Giuseppe Campagna, come “prosindaco”. La gatta da pelare è tosta, anche perché c’è da fare le pulci alle casse, per segnare la “discontinuità”. Infatti, il finanziere Angelo Quintieri, aristocratico bruzio di origine caroleano, rifiuta la poltrona di sindaco. Che viene offerta a un altro notabile: Bernardino Alimena. Figlio di Francesco, un principe del foro di Cosenza, Alimena non è avvocato: è addirittura un giurista. E non di scarso livello: libero docente a Napoli, ha creato una nuova dottrina del diritto penale, con cui rivaleggia col criminologo Cesare Lombroso. Il professore è un galantuomo stimatissimo: chi meglio di lui per risanare
le casse e, soprattutto, per prendersene le relative rogne? In giunta, con lui ci sono Mirabello, Tommaso Conflentie Fortunato Benvenuti, tre massoni. Gli altri due sono Michele Parise e Francesco Santelli. Alimena fa quel che può: cerca di far pagare le tasse a chi finora non l’ha fatto e, soprattutto, denuncia i conti: il vecchio milione di debiti, è salito a tre milioni e rotti, grazie alle clausole del prestito e all’inflazione. E Cosenza, come spesso accade, è insolvente: ha saldato solo 220 cartelle. Il debito si protrarrà fino al 1924. Alimena lavora di forbici, ma perde i pezzi della sua giunta da subito: vanno via Benvenuti e Parise. Il peggio deve ancora arrivare: quando Alimena mette mano alla pianta organica del personale del Comune, la maggioranza si sbanda.
E il sindaco subisce in pochi mesi due rimpasti. Ad Alimena resta solo l’appoggio di De Roberto. Che muore nel ’90. Nella Bruzia è uno stillicidio di defezioni. E al professore di Napoli, che non è tagliato per la politica, non resta che dimettersi. È il 24 maggio 1890. Nominato a novembre, Bernardino Alimena è restato in carica sei mesi. Vittima dei conti e, soprattutto, della rissosità cosentina, il professore torna ai suoi libri.
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