Di Enrico Fierro sul fatto quotidiano del 07/10/2012
La città è col cappio al collo.
Stretto da una classe dirigente di ex fascisti diventati berlusconiani in doppio petto che ha portato il Comune sull’orlo del fallimento, infarcito la Regione di onorevoli che si inginocchiavano davanti a un boss in cambio di voti, o che al Café de Paris brindavano con mafiosi calabro-lombardi, oppure – ed è l’infamità più grande – che ingannavano giovani disoccupati promettendo inesistenti posti di lavoro.
REGGIO Calabria aspetta e trema.
Ormai non ci saranno più rinvii, il prossimo consiglio dei ministri deciderà se sciogliere il consiglio comunale per mafia e inviare una task-force di commissari.
Perché la ‘ndrangheta comanda a Reggio, ha eletto consiglieri comunali, ha parenti che sono pure assessori, è dentro le municipalizzate.
Il governo deciderà martedì, è la voce che rimbalza nei corridoi di Palazzo San Giorgio, la sede del Comune. E allora gli uomini di Berlusconi nella Fortezza Bastiani azzurra in riva allo Stretto, si ricordano di essere anche gli improbabili eredi di Ciccio Franco, il leader della rivolta del 1970.
Si appellano alla “rigginità”e chiamano alle armi.
Un manifesto firmato da 500 “personalità”, una manifestazione di studenti al grido d“non commissariate il nostro futuro”.
Due flop.
Perché alcuni firmatari dell’appello si sono dissociati e gli studenti in piazza erano una trentina.
Non è più tempio di rivolte.
MA DI CACCIA ai nemici sì, nel regno di Giuseppe Scopelliti, l’ex giocatore di basket diventato prima sindaco della città e poi governatore della Calabria.
“Vogliono alla gogna i nemici della città, i pochi non allineati al sistema. La verità è che stanno perdendo la testa, sentono che la stagione dell’impunità è finita e puntano sull’inganno della regginità. Come dire? Se finiamo nel baratro noi, ci finite tutti”.
La scrittrice Paola Bottero affonda senza pietà le mani negli angoli più oscuri del potere e nelle pieghe più purulenti della sua città.
“Reggio è grigia –dice – perché ormai ovunque, anche dove le ‘ndrine non sono arrivate, si respira questa cultura mafiosa, si cerca l’appartenenza a questa o quella fazione”.
Tremano i palazzi della politica e i loro voraci abitanti, portaborse, consulenti, gente che vive all'ombra del potere.
Guardano con allarme alle decisioni di Roma, e ancora di più alle notizie che filtrano dai brutti uffici del Cedir.
Un ginepraio di cemento e vetri dove lavorano i pm dell'antimafia.
Si parla di inchieste che colpiranno i “centri di potere della città ancora nell’ombra”, la massoneria e quei “tavolini” che guardano con interesse sia a destra che a sinistra.
Chi si gioca tutto è Giuseppe Scopelliti, l’inventore del “Modello Reggio”, festa, farina e forca (con le passeggiate in centro di Valeria Marini e dei Lele Mora boys) e l’illusione della città metropolitana.
Il risultato è un debito del Comune impossibile da quantificare e un disavanzo che oscilla tra i 160 e i 180 milioni.
Lui, il sindaco Demi Arena, e i politici che gli fanno da contorno, suonano la carica di una improbabile riscossa.
E negano un dibattito sulla legalità chiesto da un migliaio di aderenti all’associazione “Reggio Non Tace”. Brava gente che si è dovuta rivolgere al Tar per vedersi riconosciuto il diritto a un’assemblea sulla legalità, che il sindaco non vuole fare.
A tutti i costi, anche appellandosi al Consiglio di Stato.
Mezzucci.
L’eclissi violenta di un potere è iniziata.
Altri uomini, con insegne politiche diverse, sono pronti a sedersi allo stesso tavolino con i centri di potere occulto per fare il gioco di sempre.
Mangiarsi Reggio.
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